Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17992 del 02/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 02/08/2010, (ud. 30/06/2010, dep. 02/08/2010), n.17992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

QUINTILI 76, presso lo studio dell’avvocato ANGIUNI FILOMENA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SALZANO RITA, giusta mandato in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GENZANO

144, presso lo studio dell’avvocato GALDIERI FRANCO, rappresentata e

difesa dall’avvocato AIELLO ANTONIO, giusta mandato in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 996/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 12/07/2006 r.g.n. 963/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/06/2010 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.L. convenne in giudizio A.R., titolare dell’omonima impresa individuale di lavorazione artigianale e commercio ambulante di prodotti ortofrutticoli, chiedendo il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato intercorso con la convenuta, del cui figlio era stata prima fidanzata e poi coniuge, per il periodo dal (OMISSIS), con la conseguente condanna al pagamento della retribuzione dovuta e mai corrisposta.

Il primo Giudice accolse parzialmente il ricorso.

La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza del 7 – 12.7.2006, accolse l’impugnazione svolta dalla A. e rigettò integralmente la domanda della G., rilevando che:

– anche ove non operi, per difetto del requisito della convivenza, la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative rese fra persone legate da vincoli di parentela o affinità, la parte che faccia valere diritti derivanti dal rapporto lavorativo ha comunque l’obbligo di dimostrarne gli elementi costituitivi, con particolare riferimento a quelli inerenti l’onerosità e la subordinazione;

– alla luce delle acquisite risultanze istruttorie doveva reputarsi che la G. non aveva assolto a tale onere probatorio e che aveva invece reso prestazioni lavorative affectionis vel benevolentiae causa, dovendo considerarsi che: a) il rapporto di collaborazione si era svolto in un regime di sostanziale convivenza, atteso che la G. trascorreva l’intera giornata presso l’abitazione della suocera; b) nella piccola impresa dell’ A. operava anche il coniuge della G., che traeva in qualche modo dei vantaggi economici da tale attività; c) la G., unitamente al proprio gruppo familiare, consumava i pasti presso l’abitazione della suocera e riceveva da quest’ultima aiuti per sè e per il proprio bambino; d) l’assenza, per un lungo lasso di tempo, di una retribuzione o, comunque, di un compenso collegato alla prestazione lavorativa, costituiva circostanza valutabile a favore della tesi della parte resistente; e) non era risultato che la G. fosse tenuta al rispetto di un orario di lavoro e di specifiche direttive da parte della suocera, salvo, sotto quest’ultimo aspetto, un generico e non probante richiamo operato da due dei testi escussi; f) gli oltre quattro anni trascorsi tra la cessazione del presunto rapporto lavorativo e la prima documentata richiesta di trattamento economico costituiva elemento di giudizio non favorevole alla parte ricorrente. Avverso tale sentenza della Corte territoriale G.L. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo.

L’intimata A.R. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia violazione di legge (artt. 2094 e 2104 c.c.; artt. 115 e 116 c.p.c.), nonchè vizio di motivazione, dolendosi che la Corte territoriale non abbia valutato nella loro interezza le deposizioni testimoniali, sulla base delle quali avrebbe dovuto ritenere provati gli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato, non abbia rilevato che la parte datoriale non aveva prospettato e provato la ricorrenza dell’affectio e abbia formato il proprio erroneo convincimento anche sulla base di presunzioni.

2. La Corte territoriale si è conformata al principio, che il Collegio condivide, secondo cui, ove la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative fra persone legate da vincoli di parentela o affinità debba essere esclusa per l’accertato difetto della convivenza degli interessati, non opera ipso iure una presunzione di contrario contenuto, indicativa cioè dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, cosicchè, in caso di contestazione, la parte che faccia valere diritti derivanti da tale rapporto ha comunque l’obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili della onerosità e della subordinazione (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 8132/1999; 10923/2000; 7845/2003).

Costituisce del pari consolidato principio, a cui parimenti la Corte territoriale si è attenuta, che, ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, il fondamentale requisito della subordinazione si configura come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale deve estrinsecarsi nell’emanazione di ordini specifici (e non in semplici direttive, compatibili anche con il lavoro autonomo), oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni lavorative, e deve essere concretamente apprezzato con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 326/1996; 4036/2000; 5989/2001; 12364/2003; 20669/2004; 4171/2006;

7966/2006).

3. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte l’esistenza del vincolo della subordinazione costituisce un apprezzamento che va operato dal giudice del merito, fermo restando che, in sede di legittimità, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici -la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 4036/2000; 4171/2006).

Nella fattispecie la Corte territoriale, con motivazione priva di elementi di contraddittorietà, ha escluso, sulla base del contenuto delle esaminate dichiarazioni testimoniali, che fosse stata fornita la prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, sicchè si rileva inammissibile, in questa sede di legittimità, siccome rivolta ad un non consentito riesame del merito, la censura inerente alla concreta efficacia probatoria che dovrebbe invece essere riconosciuta, in senso contrario, alle ridette dichiarazioni, posto che, per consolidato orientamento di questa Corte, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti; con la conseguenza che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 13045/1997; 5802/1998).

In definitiva non possono rinvenirsi nella motivazione della sentenza impugnata nè l’omesso o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, nè elementi di contraddittorietà, nè errori giuridici, cosicchè le doglianze si risolvono in un’inammissibile richiesta di un nuovo esame delle emergenze istruttorie, prospettandone una difforme valutazione, peraltro fondata su elementi di giudizio non univoci e privi del requisito della decisività.

4. In base alle considerazioni che precedono il ricorso va dunque rigettato.

L’alterno esito dei giudizi di merito consiglia la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2010

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