Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17991 del 28/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/08/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 28/08/2020), n.17991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7041-2019 proposto da:

DIDONNA TRADE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 80,

presso lo STUDIO LEGALE ARBIA, rappresentata e difesa dall’avvocato

MICHELE DIDONNA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CASAMASSIMA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 73, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO PAOLO BELLO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3617/2018 del TRIBUNALE di BARI, depositata il

22/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza resa in data 22/8/2018, il Tribunale di Bari ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Didonna Trade s.r.l. avverso la sentenza con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta dalla medesima società per la condanna del Comune di Casamassima al risarcimento dei danni dalla stessa subiti a seguito del sinistro stradale dedotto in giudizio;

a fondamento della decisione assunta, il giudice d’appello ha evidenziato come la domanda originariamente proposta dalla società attrice – in quanto di valore inferiore all’importo di Euro 1.100,00 – era stata decisa secondo equità dal giudice di pace, con la conseguente appellabilità della sentenza di primo grado esclusivamente per violazione di norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali

o comunitarie, ovvero dei principi regolatori della materia, ai sensi dell’art. 339 c.p.c., comma 3;

ciò posto, non avendo l’appellante indicato in modo espresso alcuna violazione di dette norme o principi, l’appello doveva ritenersi inammissibile, essendosi l’appellante peraltro limitata, in ogni caso, a contestare l’erronea valutazione delle circostanze di fatto da parte del primo giudice, senza alcuna doglianza riferibile alla violazione di norme o principi;

avverso la sentenza d’appello, la Didonna Trade s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

il Comune di Casamassima resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., Didonna Trade s.r.l. ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 10 e ss., dell’art. 113, comma 2, e dell’art. 339 c.p.c., comma 3, (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto che la domanda originariamente proposta dalla società attrice fosse di valore inferiore all’importo di Euro 1.100,00, non avendo tenuto conto dell’importo che si sarebbe venuto a determinare con l’aggiunta degli interessi e della rivalutazione monetaria rivendicate contestualmente al capitale;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, al fine di stabilire la competenza per valore del giudice adito (nella specie, giudice di pace in base all’art. 113 c.p.c., comma 2), la rivalutazione monetaria, ove richiesta in aggiunta alla somma capitale e agli interessi sino al momento della proposizione della domanda, si cumula, ai sensi dell’art. 10 c.p.c., comma 2, con il capitale e gli interessi (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 4994 del 26/02/2008, Rv. 601750 – 01);

nella specie, il giudice a quo ha espressamente rilevato come, calcolando il valore della domanda aggiungendo, al capitale espressamente richiesto nell’importo di Euro 1.022,54, gli interessi e la rivalutazione dalla data del sinistro alla data di proposizione della domanda, detto valore complessivo era venuto determinandosi nella somma di Euro 1.051,28, come tale inferiore ai limiti previsti ai fini delle pronunce secondo equità;

ciò posto, del tutto infondata deve ritenersi l’odierna contestazione della ricorrente, avendo quest’ultima irritualmente preteso di considerare rilevante, ai fini della determinazione del valore della domanda all’atto della relativa proposizione, le somme che si sarebbero eventualmente aggiunte in corso di causa a titolo di rivalutazione e interessi, trattandosi di circostanze temporalmente posteriori al momento della decisione e meramente eventuali (si pensi, a titolo di esempio, all’ipotesi di un eventuale pagamento, totale o parziale, del risarcimento in corso di causa, di per sè idoneo a interrompere il decorso di quelle voci);

con secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 2 e dell’art. 339 c.p.c., comma 3, (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che, con l’atto d’appello, l’odierna ricorrente non avesse contestato la violazione dei principi regolatori della materia, segnatamente con riguardo al principio desumibile dall’art. 2051 c.c. in materia di responsabilità da custodia, essendo rimasti pacifici e incontestati i fatti di causa;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva al riguardo il Collegio come, attraverso l’appello proposto, l’odierna società ricorrente ebbe a contestare unicamente la violazione della norma (l’art. 2051 c.c.) individuata quale fonte normativa destinata a disciplinare la materia controversa, astenendosi integralmente dall’esatta individuazione del principio regolatore eventualmente richiamabile a fondamento della decisione invocata;

in tal senso, avendo l’appellante posto unicamente una questione di semplice applicabilità dell’art. 2051 c.c., deve escludersi che lo stesso abbia posto a fondamento della propria impugnazione la violazione dei c.d. principi regolatori della materia, non avendo propriamente individuato i canoni equitativi, dirimente ai fini della risoluzione della controversia, eventualmente violati;

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della società ricorrente al rimborso, in favore del Comune controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 700,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2020

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