Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17991 del 02/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 02/08/2010, (ud. 30/06/2010, dep. 02/08/2010), n.17991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA

2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORDANO GIUSEPPE,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 631/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 21/03/2007 r.g.n. 782/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/06/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato PULLI CLEMENTINA per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 2/21.3.2007 la Corte di appello di Lecce confermava la sentenza resa dal Tribunale di Brindisi il 6.10.2005 che accoglieva la domanda proposta da A.G. per la liquidazione della pensione di anzianità previa rivalutazione del periodo contributivo della L. n. 257 del 1992, ex art. 8, comma 13.

Osservava in sintesi la corte territoriale che l’Istituto assicuratore aveva annullato precedente certificazione rilasciata al lavoratore per il conseguimento della maggiorazione contributiva senza svolgere ulteriori accertamenti, ma sulla base di un “immotivato ripensamento”, che non rifletteva la realtà della vita lavorativa dell’assicurato, la cui esposizione ad amianto risultava in via presuntiva dimostrata dagli esiti dell’istruttoria, ed, in particolare, dalle dichiarazioni testimoniali vertenti su tutte le circostanze riportate nell'”atto di indirizzo Guerrini” del 7.3.2001.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’INPS con due motivi.

Resiste con controricorso A.G..

Entrambi le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’Istituto ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 179 del 2002, art. 18 e dell’art. 2697 c.c., rilevando che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, non era stata in alcun modo fornita la prova di una esposizione del lavoratore all’abesto in misura superiore ai limiti di legge e di durata ultradecennale e che, a tal fine, non poteva ritenersi sufficiente la mera allegazione del solo atto di indirizzo ministeriale, che, in considerazione del suo contenuto generale ed astratto, non poteva valere ad attestare, o, comunque, a lasciar presumere, l’avvenuto superamento, in danno del singolo lavoratore, della prescritta soglia minima.

Con il secondo motivo prospetta vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) avendo la corte territoriale trascurato di appurare se, a prescindere dal tipo di mansioni svolte dal lavoratore, l’ambiente di lavoro, all’interno del quale tali mansioni erano state disimpegnate per oltre venti anni, fosse contaminato dall’amianto in misura tale da comportare dispersioni superiori ai limiti previsti dal D.Lgs. n. 277 del 1991, non potendo tale prova desumersi dalla mera coincidenza fra le mansioni svolte dal lavoratore e quelle annoverate nell’atto di indirizzo ministeriale.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, sono infondati.

Questa Corte ha più volte precisato che, ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova circa il superamento dei valori-limite di concentrazione delle fibre di amianto da parte dell’assicurato che voglia usufruire dei benefici contributivi connessi al rischio lavorativo, gli atti di indirizzo approntati dal Ministero hanno una efficacia non determinante ex se, trattandosi di atti generali bisognevoli di specifica certificazione dell’INAIL con riguardo alle singole situazioni lavorative (cfr. Cass. n, 27451 del 2006, e numerose altre conformi) e da valutare dal giudice con il concorso di ulteriori elementi idonei a riferire l’atto generale alla concreta posizione dedotta in giudizio (cfr. Cass. n. 3095 del 2007).

Nella specie, è pacifico che l’INAIL aveva dapprima emesso l’atto di certificazione con il quale, per come è incontroverso, “non fu richiesto all’INAIL un accertamento concreto sulla quantità delle polveri aereodisperse presso le aziende operanti all’interno del Petrolchimico di Brindisi, ma solo un controllo sulle mansioni concretamente e continuativamente svolte da alcune categorie di lavoratori, sul presupposto che dette lavorazioni avessero comportato il superamento della soglia di esposizione prevista dalla legge”:

così nella sentenza) e che successivamente tale certificazione era stata revocata, con una determinazione ritenuta dalla corte territoriale priva di effettivo supporto motivazionale, in quanto giustificata con riferimento a presupposti (e precisamente, perchè il curriculum del lavoratore “non corrisponde(va) a quanto riportato nell’atto di indirizzo Guerrini del 7.3.2001”) del tutto smentiti dalle risultanze dell’istruttoria, in particolare dalle prove testimoniali assunte “su tutte le circostanze indicate nello stesso atto di indirizzo come essenziali”. La valutazione così operata dai giudici di merito – in ordine- si ripete- al carattere del tutto ingiustificato del “ripensamento” dell’Istituto, incapace di riflettere “la realtà della vita lavorativa dell’interessato”, alla stregua dell’accertamento di fatto circa la sussistenza delle condizioni che legittimavano l’attestazione del rischio qualificato – non ha formato oggetto di specifica censura in questa sede, per come conferma lo stesso quesito di diritto conclusivo del primo motivo, nonchè le indicazioni relative al vizio di motivazione denunciato con il secondo (relativi esclusivamente al valore probatorio assegnabile alle risultanze concernenti la tipologia delle mansioni).

Ne deriva – come questa Corte ha già ritenuto in analoghe controversie riguardanti il medesimo ambito lavorativo (cfr. Cass. n. 8913 del 2009) – la configurazione di una fattispecie pienamente assimilabile a quelle per le quali la giurisprudenza riconosce il diritto al beneficio contributivo, caratterizzate dalla ricezione dell’atto di indirizzo in una specifica certificazione dell’INAIL, per essere la revoca dell’atto ricognitivo, nel caso, illegittima e, quindi, improduttiva di effetti, secondo come accertato dalla corte di merito, con indagine correttamente motivata e, pertanto, in questa sede insindacabile.

Alla stregua di tali considerazioni il ricorso dell’INPS deve essere respinto.

L’Istituto ricorrente va condannato, secondo soccombenza, alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore dei difensori, che se ne sono dichiarati anticipatari.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 28,00 per esborsi e in Euro 2.500,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore degli avvocati Giuseppe Sante Assennato e Giuseppe Giordano.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2010

 

 

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