Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1799 del 27/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/01/2020, (ud. 16/10/2019, dep. 27/01/2020), n.1799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22127/2014 proposto da:

G.G.B., elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

MARTIRE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE (già Comune di Roma), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEMPIO DI GIOVE 21,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI D’OTTAVI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 594/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/03/2014 R.G.N. 6595/2010.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Roma, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale della stessa città, ha confermato la declinatoria di giurisdizione in favore del giudice amministrativo per il periodo fino al 30.6.1998 e la pronuncia di prescrizione fino al 17.7.2001, nel resto rigettando la domanda con cui G.G.B., dipendente del Comune di Roma, aveva chiesto il riconoscimento del proprio diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni riportabili alla categoria D, in luogo di quanto percepito rispetto alla categoria C di formale inquadramento;

la Corte territoriale premetteva che non poteva essere considerata, nella valutazione dell’attività svolta dal G., la creazione del sito internet cui egli era addetto, in quanto avvenuta nel 1997 e dunque in un orizzonte temporale che restava al di fuori della giurisdizione ordinaria;

rispetto al periodo rientrante nella giurisdizione ordinaria, il giudice di secondo grado sosteneva che l’attività svolta dal G., quale responsabile di fatto del sito internet, preposto alle due addette ed alla decisione sulle comunicazioni da inserire, non potesse essere riportata alla categoria D, in quanto quest’ultima era connotata da conoscenze plurispecialistiche acquisibili con la laurea ed a elevata complessità dei problemi, secondo caratteristiche riferibili a profili di maggiore caratura come quello esemplificato proprio all’interno della declaratoria contrattuale – del gestore del sistema informativo dell’intero ente, mentre il ricorrente era preposto solo al sito internet di un’articolazione di esso (il 2 Municipio);

con motivazione espressamente indicata come alternativa, la Corte distrettuale rimarcava come il G. espletasse anche le mansioni di addetto allo Sportello Unico per il Commercio, sicchè sarebbe stato onere della parte, rimasto inevaso, quello di dimostrare che l’attività asseritamente da riportare alla qualifica superiore fosse stata svolta in modo primario e caratterizzante, in ossequio al “criterio della prevalenza delle mansioni”;

2. avverso la sentenza il G. ricorre con due articolati motivi, resistiti dal Comune di Roma – Roma Capitale con controricorso;

entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. il primo motivo è articolato in una pluralità di censure;

1.1 in primis il ricorrente critica la sentenza impugnata per non avere tenuto conto che, fin dal maggio 2001, gli era stato conferito l’ulteriore incarico di responsabile per la U.O. Amministrativa e gli uffici di staff (nell’ambito dell’area informatica) e di referente per la medesima U.O.A., incarico che poteva essere assegnato unicamente a dipendenti di categoria D, come da declaratoria contrattuale che veniva trascritta nel corpo del ricorso per cassazione;

analogamente errata era la scelta del giudice di secondo grado di escludere di valutare la documentazione afferente al conferimento al ricorrente dell’incarico apicale di Capo redattore, già assegnato ad altro dipendente di categoria D, tra l’altro con preposizione ad altri addetti e referenti;

così come ingiustificata era – secondo il G. – la limitazione dell’esame della Corte territoriale all’attività di gestione del sito internet e non a quella di creazione del medesimo, tenuto conto in particolare che nel 2003 il sito era stato oggetto di rifacimento da parte di una società specializzata, che aveva visto l’odierno ricorrente come unico interlocutore istituzionale;

nel complesso la sentenza impugnata aveva quindi indebitamente limitato l’esame all’attività di webmaster, che non era l’unica assegnata al ricorrente, come emergeva dalle risultanze istruttorie documentali e testimoniali;

1.2 in altra prospettiva il ricorrente afferma che ingiustificatamente le conclusioni della Corte territoriale porterebbero ad affermare che mai ed in nessun caso l’attività di progettazione, implementazione e gestione del sito di una delle maggiori articolazioni territoriali di una capitale Europea come Roma potrebbe ricondursi ad una declaratoria di categoria D, in violazione del contratto collettivo di riferimento, nonchè delle declaratorie e dei profili in esso indicati;

1.3 in prosieguo del medesimo motivo si addebita alla Corte territoriale di avere apprezzato la questione sul livello delle prestazioni richieste al ricorrente solo sulla base della contrattazione nazionale, trascurando il rinvio che la medesima operava alla contrattazione integrativa e a quanto previsto dagli artt. 48 e seguenti del Contratto Collettivo Decentrato Integrativo 2002-2005 recepito ed attuato dal Comune di Roma, disposizioni alla luce delle quali andavano valutati gli incarichi nel tempo impartiti ed ulteriormente riepilogati;

1.4 infine, il ricorrente sostiene che vi è stata violazione e disapplicazione delle norme sull’interpretazione dei contratti (artt. 1362 e 1363 c.c.) nonchè sulle mansioni superiori (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, e norme correlate della contrattazione collettiva);

2. il secondo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e violazione dell’art. 112 c.p.c., concerne la parte della motivazione di appello con la quale la Corte territoriale ha ritenuto che a fondare il rigetto della domanda fosse anche, con portata autonoma, la mancata prova della prevalenza dell’attività asserita come di livello superiore;

2.1 da un primo punto vista il ricorrente afferma che tale valutazione manifesterebbe una vera e propria svista richiamando e trascrivendo documentazione prodotta in causa che espressamente qualificava come “principale” o come “continuativo e prevalente”, rispetto proprio a G., l’incarico relativo al sito internet;

2.2 oltre a ciò nel motivo si censura la mancata considerazione dell’attività svolta dal G. per tutto il 2007 quale addetto alla valorizzazione del patrimonio di memorie della città presso l’Ufficio del Consigliere del Sindaco, con carenza che, essendo tale profilo contemplato nell’ambito della domanda accolta in primo grado, avrebbe la consistenza di una vera e propria omessa pronuncia;

2.3 infine, si sottolinea l’inconferenza della parte di motivazione con la quale la corte territoriale afferma l’infondatezza “dell’eccezione di tardività dell’appello”, rimarcandosi come il G. non avesse mai proposto un’eccezione in tal senso, sicchè da questo punto di vista vi era stata ultrapetizione e violazione dell’art. 112 c.p.c.;

3 il primo motivo è inammissibile, per le ragioni che si illustrano di seguito;

quanto ai diversi aspetti riepilogati al punto 2.1 e con cui si deduce l’omesso esame di alcuni punti, il motivo, in parte qua da qualificare come censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non individua questioni che possano dirsi decisive, nè compiutamente delineate in modo da consentire di apprezzare tangibilmente tale decisività, intesa come alta probabilità di fornire sostegno ad una diversa ricostruzione del merito, il che è requisito di ammissibilità del motivo di critica di cui all’art. 360 c.p.c., citato n. 5;

infatti:

– il richiamo all’incarico di “responsabile per la U.O. Amministrativa e gli uffici di staff nell’ambito dell’Area informatica” e di “referente per la medesima U.O.A.”, non accompagnato da precisazioni sul concreto contenuto delle attività in tale contesto svolte, non permette di apprezzare in alcun modo la riferibilità di esso alle norme collettive (artt. 3 e 4 CCNL 5/999) dalle quali il ricorrente intenderebbe far desumere non solo l’afferire del suo lavoro alla rivendicata categoria D, ma addirittura a posizioni organizzative ritagliate all’interno di tale categoria e caratterizzate da “elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa” o “elevate autonomia ed esperienza”;

– il richiamo alla nomina quale “capo redattore” della redazione internet ed al fatto che precedentemente tale veste era coperta da addetta di categoria D, non significa di per sè che fosse dovuto l’inquadramento nella medesima categoria, in quanto lo stesso ricorrente afferma ripetutamente che anche prima quell’addetta si occupava di altro e quindi non può dirsi con certezza che l’inquadramento D da essa ricoperto derivasse appunto dalla veste di capo redattore del sito;

d’altra parte, la sovraordinazione al vice capo redattore ed al redattore non esula dall’ambito della categoria C, che contempla la responsabilità per specifici processi, mentre i 16 referenti, come risulta dallo stesso documento ivi trascritto dal ricorrente, erano persone che mantenevano lo svolgimento delle mansioni nell’ufficio di appartenenza e quindi ben potrebbe trattarsi soltanto di addetti che si interfacciavano con il G. per le attività di rilievo per il sito, senza per ciò divenire suoi subalterni;

– il fatto di essere stato l’unico interlocutore istituzionale della ditta appaltatrice del riferimento del sito non significa, nè che tale rifacimento sia stato svolto dal G. (l’incarico mediante appalto era infatti dato dall’Amministrazione all’esterno), nè che di per sè ciò comporti, proprio perchè eseguita da appositi tecnici esterni, quella “elevata complessità dei problemi” di cui la Corte territoriale ha escluso la ricorrenza;

neppure è corretta l’affermazione – comunque irrilevante stanti i profili di inammissibilità appena evidenziati – secondo cui la Corte di merito avrebbe inteso non esaminare tutti i fatti anteriori al luglio 2001 (momento oltre il quale in cui si fissa la prescrizione dei crediti pregressi, come statuito dal Tribunale e non fatto oggetto di impugnazione), avendo piuttosto, il giudice di secondo grado, ritenuto di non considerare il fatto in sè della creazione del sito, collocata al 1997, per ragioni attinenti al difetto di giurisdizione (anch’esso oggetto di pronuncia in giudicato);

3.2 il profilo riepilogato al punto 1.2 è parimenti inammissibile perchè con esso si formula un’affermazione generica ed apodittica secondo cui la gestione ed implementazione di un sito internet di un’articolazione di una città capitale comporterebbe di per sè l’inserimento nella categoria D;

3.3 il richiamo alla contrattazione integrativa ed alle posizioni organizzative da essa previste costituisce difesa inidonea a scalfire le conclusioni della Corte di merito, tenuto conto non solo che quelle posizioni presupporrebbero già il riconoscimento della categoria D, di cui costituiscono ulteriore specificazione organizzativa, ma che rispetto ad esse, secondo le declaratorie contrattuali che lo stesso G. trascrive, ancora più intenso è il richiamo a tratti di “particolare complessità”, “alta professionalità”, livello “sub-dirigenziale”, “elevata responsabilità”, che non si vede come possano essere affermati rispetto ad una valutazione fattuale della Corte territoriale che nell’attività del G. ha escluso l’esistenza dei connotati di “elevata complessità dei problemi”, sicchè è palese l’esame di quella contrattazione nulla aggiungerebbe alle conclusioni raggiunte e dunque non può dirsi decisiva;

3.4 infine, del tutto generico e quindi perimenti inammissibile, è il riferimento, riportabile alla censura di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, sintetizzato al punto 1.4, ai criteri ermeneutici del codice civile (che non si esplicita in quale passaggio e per quale ragione sarebbero stati esattamente violati) o alle norme sulle mansioni superiori;

4. rispetto ai vari profili evidenziati con il secondo motivo, deve farsi riferimento a quanto sopra riepilogato al punto 2.2., in quanto attinente ad un’asserita ulteriore omissione con riferimento all’attività svolta nel 2007 presso l’Ufficio del Consigliere del Sindaco preposto alla Valorizzazione del Patrimonio di Memoria della Città e con mansioni del G. di “gestione della comunicazione istituzionale”, caratterizzate a suo dire da “autonomia di pianificazione e realizzazione”;

il ricorrente fa riferimento a tale profilo come omissione di pronuncia su una parte della domanda munita di autonomia, il che porterebbe a qualificare la censura come svolta ai sensi dell’art. 112 c.p.c.;

tuttavia, non è per nulla chiaro, dal contesto del ricorso, se l’attività in questione fosse stata dedotta come svolta in aggiunta alla gestione del sito internet o come attività esclusiva di quel periodo;

solo in quest’ultimo caso, infatti, si potrebbe parlare di omissione di pronuncia o di motivazione mancante su una parte della domanda, perchè nell’altro caso si tratterebbe solo di omesso esame (art. 360 c.p.c., n. 5) di alcune caratteristiche di un’attività ulteriore svolta nell’ultimo periodo;

in proposito lo stralcio di ricorso di primo grado riportato è quanto mai equivoco, in quanto dopo avere riferito dell’adibizione a quell’ufficio, si aggiunge che si sarebbe trattato di “incarico durante il quale ha tuttavia continuato a svolgere ulteriore attività distinta e maggiormente qualificata come quella sopra descritta”;

resta pertanto incerto, dal tenore del motivo, se si sia trattato di attività “ulteriore” e “distinta” perchè aggiuntiva a “quella sopra descritta” o perchè “diversa” e tale, per la descrizione resa, da dover essere considerata “maggiormente qualificata”;

incertezza che non è risolta da altri passaggi e che, dovendo il motivo rispondere a criteri di chiarezza già sulla base della sua formulazione, rende impossibile affermare che si delinei realmente un’omissione di pronuncia o piuttosto l’omesso esame motivazionale soltanto di alcuni aspetti della situazione di fatto;

d’altra parte, se il profilo così addotto fosse da intendere come omesso esame di alcuni profili dell’attività dell’ultimo periodo e dunque ex art. 360 c.p.c., n. 5, mancherebbe ancora il requisito necessario della decisività, di cui si è già detto;

infatti lo svolgimento anche di quell’attività, di referente della comunicazione, non necessariamente esprime, come sembra sostenere il ricorrente, una manifestazione di quella competenza polispecialistica che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente escluso, in quanto si tratterebbe pur sempre di attività svolta (così dice il ricorso stesso) alle dirette dipendenze del Consigliere delegato, che non è per nulla detto, e tanto meno con la necessaria alta probabilità logica richiesta, integri gli estremi “dell’elevata conoscenza” cui la dizione contrattuale, e con essa la Corte d’Appello, riconnettono il riconoscimento della categoria D;

analoghe conclusioni valgono altresì per il cenno, fatto nel corpo del medesimo motivo, ad attività svolte presso l’Ufficio Commercio, da cui non è dato cogliere elementi di decisività, nei termini più volte sopra evidenziati, sotto il profilo della competenza plurispecialistica di “elevata” caratura;

5. in definitiva tutte le questioni che attengono alla ratio decidendi secondo cui l’attività svolta sarebbe stata di livello idoneo al riconoscimento delle retribuzioni di categoria D sono inammissibili per le ragioni appena dette;

resta dunque assorbito, perchè ininfluente stante la definitività del rigetto della domanda sotto tale aspetto, l’esame dei profili che attengono l’altra, autonoma ed aggiuntiva, ratio decidendi, relativa alla mancata prova della prevalenza delle mansioni superiori asseritamente svolte, come anche la questione processuale riepilogata al punto 2.3;

6. le spese del grado seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2020

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