Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17989 del 01/09/2011

Cassazione civile sez. I, 01/09/2011, (ud. 07/03/2011, dep. 01/09/2011), n.17989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SICILCASSA s.p.a in l.c.a., in persona dei commissari liquidatori

dott. P.C. e dott. P.V., rappresentata

e difesa dall’avv. MATTEI Giancarlo ed elett.te dom.ta presso il suo

studio in Roma, Via Orazio n. 31;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA COOPERATIVA “GIARDINO D’INFANZIA” a r.l., in persona

del curatore avv. D.B.M., rappresentato e difeso,

dall’avv. Spadaro Antonino ed elett.te dom.to presso il suo studio in

Siracusa, Via Andorra n. 5;

– controricorrente –

e nei confronti di:

BANCO DI SICILIA SOCIETA’ PER AZIONI s.p.a.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 926

depositata il 5 ottobre 2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

marzo 2011 dal Consigliere dott. Carlo DE CHIARA;

udito per la ricorrente l’avv. Giancarlo MATTEI;

udito per la controricorrente l’avv. M. Spadaro, per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione dell’11 giugno 1994 il curatore del fallimento della cooperativa a r.l. Giardino d’infanzia, dichiarato dal Tribunale di Siracusa, convenne davanti al medesimo Tribunale la Sicilcassa s.p.a.

per ottenere la revoca, ai sensi della L. Fall., art. 61, di pagamenti per complessive L. 645.514.960.

La banca convenuta resistette, quindi nel 1997 fu posta in liquidazione coatta amministrativa e la curatela attrice provvide alla riassunzione del processo sia nei confronti dei commissari liquidatori, sia nei confronti del Banco di Sicilia s.p.a., cessionario delle attività e delle passività della banca ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 90 (T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia), i quali si costituirono in giudizio.

I commissari liquidatori eccepirono preliminarmente l’improcedibilità della domanda ai sensi del D.Lgs. cit., art. 83, comma 3.

Il Tribunale accolse la domanda, revocò i pagamenti e condannò il Banco di Sicilia al rimborso della corrispondente somma, con gli interessi legali dalla data della citazione, condizionando la condanna all’ammissione del relativo credito al passivo della liquidazione coatta amministrativa.

I commissari liquidatori della Sicilcassa proposero appello, cui resistette il curatore del fallimento attore proponendo anche appello incidentale per ottenere la rivalutazione monetaria sulla somma riconosciutagli. Il Banco di Sicilia rimase contumace.

La Corte di Catania respinse entrambi i gravami. Osservò (per quanto ancora rileva):

che il conflitto tra la L. Fall., art. 24 e art. 52 – o, quanto alla liquidazione coatta amministrativa di banche, il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 83 – deve essere risolto nel senso che, mentre il tribunale che ha dichiarato il fallimento attore in revocatoria resta competente a decidere, nelle forme ordinarie, circa l’inefficacia o meno dell’atto oggetto della domanda, le pronunzie consequenziali alla dichiarazione d’inefficacia spettano al tribunale competente per l’accertamento del passivo della procedura concorsuale convenuta;

che era infondata la tesi dell’appellante, secondo cui i pagamenti non erano revocabili essendo stati eseguiti da terzi debitori della cooperativa in forza di mandati irrevocabili all’incasso dalla stessa rilasciati alla banca ben oltre il periodo sospetto: infatti non si trattava di pagamenti spontanei, bensì di pagamenti coattivi ottenuti dalla banca perseguendo la cooperativa con procedure esecutive presso terzi suoi debitori e rinunciando ad avvalersi dei mandati;

che la scientia decoctionis era ricavabile da una serie di circostanze, quali, tra le altre, le stesse modalità del pagamento;

che la censura riguardante la condanna agli interessi sulle somme oggetto di revocatoria era inanimissibile perchè immotivata.

I commissari liquidatori della Sicilcassa hanno quindi proposto ricorso per cassazione per quattro motivi, cui la curatela fallimentare ha resistito con controricorso illustrato anche da memoria. Il Banco di Sicilia non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 83 violazione di norme sulla competenza e vizio di motivazione. Si lamenta che la Corte d’appello abbia escluso l’improcedibilità della domanda, nonchè l’eccezione di incompetenza del tribunale che aveva dichiarato il fallimento attore, in applicazione di una giurisprudenza di legittimità formatasi con riguardo al fallimento e alla liquidazione coatta amministrativa in generale, e non con specifico riferimento alla liquidazione coatta amministrativa delle banche. Per quest’ultima vige infatti la disciplina speciale, nonchè successiva alla L. Fall., di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, il quale all’art. 83, comma 3, stabilisce che “contro la banca in liquidazione non può essere promossa nè proseguita alcuna azione” (fatte salve le opposizioni a stato passivo, le insinuazioni tardive di credito e le contestazioni sul bilancio finale di liquidazione, rendiconto finanziario e piano di riparto finale) e che “per le azioni civili di qualsiasi natura derivanti dalla liquidazione è competente esclusivamente il Tribunale del luogo in cui la banca ha sede legale”, quindi nella specie il Tribunale di Palermo.

1.1. – Il motivo è infondato.

1.1.1. – Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che, qualora il convenuto in revocatoria fallimentare sia dichiarato fallito nelle more del giudizio, quest’ultimo prosegue davanti al tribunale del pregresso fallimento, al quale il curatore ha proposto la domanda revocatoria, atteso che il conflitto ravvisabile tra L. Fall., art. 24, (secondo cui il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere delle azioni che ne derivano) e L. Fall., art. 52, (per il quale, aperto il fallimento, ogni credito deve essere accertato secondo le norme previste per l’insinuazione e la verificazione dello stato passivo) dev’essere risolto nel senso che, mentre il tribunale che ha dichiarato il fallimento del debitore che ha compiuto l’atto pregiudizievole ai creditori resta competente a decidere l’inefficacia (o meno) dell’atto, le pronunzie di pagamento o di restituzione, conseguenziali alla dichiarazione d’inefficacia, competono al tribunale che ha dichiarato il fallimento del terzo, secondo le modalità stabilite per l’accertamento del passivo e dei diritti dei terzi (Cass. 2746/1963). Il medesimo principio è stato poi ritenuto applicabile anche nel caso che il convenuto in revocatoria sia assoggettato a liquidazione coatta amministrativa, per il rinvio contenuto nella L. Fall., art. 201, comma 1, art. 52, comma 2. (Cass. 7583/1994).

I ricorrenti negano l’estensibilità di detto principio anche alla liquidazione coatta amministrativa di istituti di credito, ostandovi il richiamato art. 83, comma 3, T.U.B. cit.

1.1.2. – L’ostacolo, però, non sussite. Nulla, infatti, autorizza a ritenere che tale norma deroghi anche alla previsione di cui alla L. Fall., art. 24.

In realtà lo stesso art. 83, comma 3, cit., riproduce al suo interno, e precisamente fra le disposizioni di cui al primo e al secondo periodo, il conflitto fra la L. Fall., art. 52 e art. 24 già individuato dalla giurisprudenza sopra richiamata e risolto come si è visto. Anche nel nell’art. 83 T.U.B., comma 3 invero, accanto alla previsione – analoga a quella dell’art. 52, cit. – di esclusività delle vie interne alla procedura di liquidazione per l’accertamento delle pretese nei confronti della liquidazione stessa, contenuta nel primo periodo, vi è la previsione – analoga a quella dell’art. 24, cit. – della esclusività del foro della procedura stessa per le azioni civili derivanti dalla liquidazione esercitate dal liquidatore.

Questo conflitto non viene risolto dall’art. 83, e comunque non viene risolto nel senso voluto dai ricorrenti. Basti pensare all’ipotesi in cui l’azione revocatoria fallimentare sia esercitata da una banca in liquidazione coatta amministrativa – davanti al tribunale della sua sede, ai sensi del secondo periodo dell’art. 83, comma 3, cit. – contro un’altra banca che, nelle more, venga a sua volta sottoposta alla medesima procedura. In tale ipotesi, disciplinata esclusivamente dall’art. 83, comma 3, cit., e per la quale dunque non può valere il criterio della prevalenza della norma speciale successiva, su cui fanno leva i ricorrenti, non si sarebbe in grado di indicare alcuna ragione per la quale la disposizione del primo periodo del comma in questione debba prevalere su quella del secondo.

Se, dunque, la nuova disposizione di legge non risolve diversamente il conflitto, resta valida la soluzione già indicata dalla giurisprudenza sopra richiamata.

Vanno aggiunte, per concludere sul punto, due ulteriori considerazioni. Anzitutto, che è priva di consistenza l’eccezione di illegittimità costituzionale della soluzione qui accolta, per violazione dell’art. 47 Cost., sollevata dai ricorrenti senza alcuna specificazione o motivazione. In secondo luogo, che sono del tutto inconferenti i richiami fatti dai medesimi ricorrenti a precedenti decisioni di questa Corte (Cass. 13374/1999, 15478/2000, 15825/2000) – peraltro stravolgendone il reale significato – riguardanti la procedura (ordinaria davanti al pretore del lavoro o speciale secondo il rito dell’accertamento del passivo fallimentare) da seguire per l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato dall’imprenditore poi fallito: con riguardo all’impugnativa di licenziamento, infatti, non viene in considerazione il principio di cui alla L. Fall., art. 24 relativo alle azioni derivanti dal fallimento esercitate dal curatore, e dunque neppure il conflitto di cui si è detto sopra.

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione della L. Fall., art. 67, e vizio di motivazione, si ripropone la tesi della non revocabilità dei pagamenti in quanto derivanti da mandati irrevocabili all’incasso, rilasciati in epoca non sospetta, integranti sostanzialmente cessioni di credito.

2.1. – Il motivo è inammissibile perchè non viene censurata la ratio della decisione della Corte d’appello – della quale non si da nemmeno atto – secondo cui si trattava di pagamenti coattivi ottenuti dalla banca mediante procedure esecutive presso terzi e rinunziando ad avvalersi dei mandati all’incasso.

3. – Con il terzo motivo, denunciando nuovamente violazione della L. Fall., art. 67, e vizio di motivazione, si censura l’accertamento della sussistenza del requisito della scientia decoctionis.

3.1. – Il motivo è inammissibile, perchè i ricorrenti si limitano a contrapporre agli elementi indiziari valorizzati dalla Corte d’appello altri elementi – quali l’ottimistica relazione che accompagnava il bilancio sociale, pur deficitario, del 1990, e il fatturato per centinaia di milioni nei confronti dì enti pubblici che la cooperativa cedeva al sistema bancario – da essi ritenuti prevalenti, e dunque non superano la soglia della mera rivalutazione del materiale probatorio, ossia delle critiche di puro merito.

4. – Il quarto motivo, con cui si denuncia vizio di motivazione, riguarda la condanna agli interessi sulla somma da rimborsare. Si lamenta che la Corte d’appello non abbia considerato che potevano essere posti a carico della Sicilcassa soltanto gli interessi maturati sino alla data in cui la stessa fu sottoposta a liquidazione coatta amministrativa.

4.1. – Anche questo motivo è inammissibile, perchè non viene censurata la effettiva ratio della decisione della Corte d’appello sugli interessi, consistente nella inammissibilità del relativo motivo di gravame.

5. – Il ricorso va in conclusione respinto. La novità e complessità della questione posta con il primo motivo giustificano la compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate fra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2011

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