Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17985 del 14/08/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 3 Num. 17985 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: AMENDOLA ADELAIDE

SENTENZA

sul ricorso 12667-2008 proposto da:
SARACCO LEGNAMI SRL 08699810019 in persona del legale
rappresentante FRANCESCO SARACCO quale società
incorporante per fusione la SARACCO SRL,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI RIZZO
36, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO IANNACCI,
2014
1471

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MARCO VERONELLI giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrente contro

1

Data pubblicazione: 14/08/2014

TIENGO PIERANTONIO TNGPNT63A06H355G, domiciliato ex
lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
GIOVANNI TRENTI giusta procura speciale in calce al
ricorso notificato;

avverso la sentenza n. 1945/2007 del TRIBUNALE di
TORINO, depositata il 21/03/2007, R.G.N. 30877/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/06/2014 dal Consigliere Dott. ADELAIDE
AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;

2

– controricorrente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 26 ottobre 2005 Pier Antonio
Tiengo propose opposizione avverso l’atto di precetto per
l’importo di euro 200.876,48, oltre interessi e spese,
notificatogli a istanza di Saracco s.r.1., in base a 75

Sostenne l’opponente di non avere avuto alcun rapporto con la
precettante. Evidenziò poi che i titoli recavano il timbro di
Arredo Style s.a.s. e la firma del legale rappresentante della
stessa. Eccepì infine la prescrizione dell’azione cambiaria.
Costituitasi in giudizio, la controparte contestò le avverse
deduzioni. Espose che gli ordinativi erano stati fatti dal
Tiengo e le cambiali dallo stesso sottoscritte. Espose che
solo insinuandosi al passivo di Arredo Style s.a.s. aveva
appreso che il firmatario dei titoli non era il legale
rappresentante della società, ma il marito della socia
accomandataria Emanuela Panzani. In ogni caso – dedusse l’opponente, che aveva sottoscritto le cambiali quale
rappresentante di una persona per la quale non aveva il potere
di agire, era obbligato cambiariamente in proprio,

ex art. 11

R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669.
In via subordinata e/o riconvenzionale chiese poi Saracco
s.r.l. la condanna dell’opponente al pagamento in suo favore
della somma di euro 199.938,84,

ex

art. 1705 e segg. cod.

civ., sul presupposto dell’esistenza, tra il Tiengo e Arredo
3

effetti cambiari.

Style s.a.s., di un rapporto di mandato senza rappresentanza,
ovvero di una società di fatto e/o occulta; ovvero ancora

ex

art. 2028 cod. civ., e cioè in base alla disciplina della
negotiorum gesti°.
Infine, in linea ulteriormente gradata, l’opposta domandò la

del 1933 nonché dell’art. 2041 cod. civ.
Con sentenza del 21 marzo 2007 il Tribunale di Torino, in
accoglimento della opposizione, ha dichiarato inefficace il
precetto, condannando Saracco s.r.l. a rifondere alla
controparte le spese di causa.
Per la cassazione di detta decisione ricorre a questa Corte
Saracco Legnami s.r.1., formulando cinque motivi.
Resiste con controricorso Pier Antonio Tiengo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo l’impugnante deduce violazione e falsa

applicazione degli artt. 11 R.D. n. 1669 del 1933, 1399 cod.
civ., 52 e 120 R.D. 16 marzo 1942, n. 267, nonché mancanza,
insufficienza e illogicità della motivazione,

ex art. 360, nn.

3 e 5, cod. proc. civ. Ricorda che, in base all’art. 11 della
fonte innanzi menzionata – espressamente richiamato nell’atto
di precetto – chi appone la firma su una cambiale quale
rappresentante di una persona per la quale non ha il potere di
agire, è obbligato cambiarmente come se avesse firmato in
proprio.
4

condanna della controparte ai sensi dell’art. 94 R.D. n. 1669

Il giudice di merito,
stato in ogni caso
concludentia;

che la

assumendo che l’operato del Tiengo era
ratificato
ratifica

da

Arredo

doveva

Style

ritenersi

per

facta

legittima,

posto che la procura ad assumere obbligazioni cambiarie può
essere anche tacita; che nella fattispecie, essa era insita

fallimentare senza che Arredo Style sollevasse eccezioni di
sorta, avrebbe erroneamente ignorato gli effetti di tale
disposizione.
1.2

Con il secondo mezzo l’esponente denuncia violazione e

falsa applicazione dell’art. 1705 cod. civ. nonché vizi
motivazionali,

ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. Oggetto

delle critiche è la ritenuta inapplicabilità alla fattispecie
dedotta in giudizio della disciplina in tema di mandato senza
rappresentanza argomentata con il rilievo che l’apposizione
del timbro della società sulle cambiali integrava
incontestabilmente una

contemplati° domini.

Deduce per contro

l’esponente che l’ammissione della prova testimoniale
articolata nel giudizio di merito avrebbe chiarito che il
Tiengo con il suo comportamento aveva indotto la precettante a
credere di essere titolare di Arredo Style e di agire nel
proprio interesse, con conseguente applicabilità del noto
principio dell’apparenza del diritto.
1.3 Con il terzo mezzo la ricorrente denuncia violazione degli

artt. 2028 e 2030 cod. civ. Le censure hanno ad oggetto
5

nel fatto che l’opposta era stata ammessa al passivo

l’affermazione del giudice di merito secondo cui nella
fattispecie non sussistevano i presupposti per l’applicabilità
delle norme in tema di

negotiorum gestio,

posto che non era

mai stato neppure dedotto che Arredo Style non potesse
provvedere da sola agli ordinativi e che, in ogni caso

un’obbligazione in capo all’interessato nel cui nome aveva
operato il gestore. Assume per contro l’impugnante che questi
è soggetto alle stesse obbligazioni che derivano dal mandato,
con conseguente applicabilità del disposto dell’art. 1705 cod.
civ., già innanzi richiamato
1.4

Con il quarto motivo l’impugnante prospetta violazione

degli artt. 2247 e segg. cod. civ. nonché vizi
motivazionali,

ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., con

riferimento alla ritenuta inipotizzabilità di una società di
fatto tra il Tiego e Arredo Style, essendo emersa in giudizio
la sola attività di contrattazione svolta dal primo e la
eventuale sottoscrizione, ad opera dello stesso, delle
cambiali, elementi del tutto inidonei, secondo il decidente, a
supportare la linea difensiva della precettante.
L’impugnante critica tali rilievi, deducendo che nella
fattispecie ricorrevano tutti i presupposti enucleati dalla
giurisprudenza per il riconoscimento, quanto meno alla stregua
dell’apparenza del diritto, dell’esistenza di una società di
fatto tra il precettato e Arredo Style. Lamenta poi vizi
6

l’istituto richiamato comportava l’assunzione di

motivazionali con riferimento alla mancata ammissione degli
articolati mezzi di prova.
1.5

Con il quinto mezzo infine la ricorrente torna a

denunciare,

ex

art. 360, n. 5, cod. proc. civ., difetti

dell’apparato argomentativo in relazione alla ritenuta

invocata in via di ulteriore

ingiustificato arricchimento,
subordine e/o riconvenzionale.
2 Tanto premesso, si osserva.

Il presente ricorso avverso sentenza depositata il 21 marzo
2007 risulta inoltrato per la notifica il 29 aprile del 2008.
Ne deriva che l’impugnazione, nella parte in cui è volta a
confutare le ragioni poste a base dell’accoglimento della
proposta opposizione a precetto, per la ritenuta insussistenza
di una obbligazione cambiaria in capo all’opponente, è
inammissibile per tardività, considerato che la sospensione
dei termini processuali in periodo feriale, prevista dalla
legge 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, non si applica ai
procedimenti di opposizione all’esecuzione, come stabilito dal
R.D. 39 gennaio 1941, n.12 art. 92, a quelli di opposizione
agli atti esecutivi e di opposizione di terzo all’esecuzione,
di cui agli artt. 615, 617 e 619 cod. proc. civ., nonché a
quelli di accertamento dell’obbligo del terzo di cui all’art.
548 cod. proc. civ..

7

insussistenza dei presupposti per l’operatività dell’azione di

3

Ciò posto, e precisato che in materia opera il principio

dell’apparenza, per cui il regime di impugnazione, e, di
conseguenza, anche le norme relative al computo dei termini
per impugnare, vanno individuati in base alla qualificazione
che il decidente abbia dato all’azione proposta in giudizio e
non in base al rito applicabile

(ex multis cfr. Cass., ord. 11

gennaio 2012, n. 171), neppure appare predicabile
l’operatività, In parte qua,

del criterio per cui, quando si

trovino cumulate fra loro per ragioni di connessione due o più
controversie, una delle quali sia soggetta al regime della
sospensione dei termini per il periodo feriale e l’altra non
lo sia, la decisione che intervenga su di esse senza
sciogliere detta connessione è soggetta all’applicazione della
sospensione (cfr. Cass. civ. sez. Unite, 19 ottobre 2000, n.
1122; Cass. civ. 11 agosto 1988, n. 4930).
Tale regola

enunciata da questa Corte sulla base dei

concorrenti rilievi che non è concepibile, per il fatto che
l’impugnazione può coinvolgere la decisione in riferimento ad
entrambe le domande connesse, né l’operare di due regimi
distinti né il non operare della sospensione per tutta la
controversia e che, per altro verso, essendo la sospensione
dei termini per il periodo feriale la regola e la non
operatività della stessa l’eccezione, non è possibile
immaginare l’operare dell’eccezione, posto che si avrebbe
altrimenti una vera e propria applicazione analogica della
8

,

stessa ad una fattispecie per cui il legislatore non l’ha
prevista e non un’interpretazione estensiva (Cass. civ. 3
aprile 2013, n. 8113; Cass. civ. 29 settembre 2007, n. 20594
in motivazione) – presuppone, appunto, che le cause connesse
debbano continuare a viaggiare insieme. Il che significa che

allorché, per l’incidenza di altri meccanismi processuali, le
domande racchiuse in un medesimo processo siano destinate a
spacchettarsi, seguendo ognuna il proprio regime impugnatorio.
4 È

a questo punto il caso di ricordare che, in via di

principio, la domanda riconvenzionale proposta dall’opposto,
quale convenuto nel giudizio di opposizione all’esecuzione,
per la sua completa autonomia rispetto alla causa principale,
non è soggetta alla disciplina dell’impugnazione dettata per
l’opposizione, ove difforme da quella ad essa applicabile, di
talché, qualora il capo di sentenza che decida sulla
opposizione sia ricorribile solo per cassazione, in forza del
dettato dell’art. 616 cod. proc. civ., nel testo novellato
dall’art. 14 della legge 24 febbraio 2006, n. 52, il capo che
decide sulla domanda riconvenzionale continua ad essere
impugnabile con gli ordinari mezzi di gravame (confr. Cass.
civ. 25 gennaio 2012, n. 1031).
A tale criterio si fa eccezione solo laddove siano state
unitariamente decise sia la domanda principale di opposizione
all’esecuzione a titolo esecutivo stragiudiziale, sia
9

la

la disciplina della sospensione non troverà applicazione

domanda riconvenzionale del creditore opposto, tendente ad
ottenere la pronuncia di un titolo esecutivo giudiziale che
tenga luogo del primo, e sempre che la questione agitata con
la domanda riconvenzionale possa considerarsi l’interfaccia
della questione sottesa alla causa principale (confr. Cass.

15731).
In casi siffatti, invero, la sentenza di primo grado, ove
depositata tra il 1 0 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (e quindi
nel periodo di vigenza dell’art. 616 cod. proc. civ. nel testo
risultante dalla novella di cui all’art. 14 della legge 24
febbraio 2006, n. 52), non può essere impugnata con appello
nemmeno solo quanto al secondo capo, restando unitariamente
soggetta al ricorso per cassazione. Tale interpretazione
dell’art. 616 cod. proc. civ. – si è detto – è l’unica idonea
a superare i dubbi di costituzionalità, in riferimento
all’art. 3, primo comma, della Costituzione, al quale darebbe
altrimenti luogo il trattamento ingiustificatamente deteriore
per il debitore derivante dal fatto che lo stesso,
nell’opposizione

tout court

o comunque in via principale,

avrebbe a sua disposizione soltanto un grado di merito per
difendersi e contestare la pretesa del creditore, mentre, a
fronte della riconvenzionale dallo stesso spiegata, sarebbe
esposto agli ordinari due gradi di merito, a tutto e

10

civ. 3 aprile 2013, n. 8113; Cass. civ. 18 luglio 2011, n.

ingiustificato vantaggio del creditore procedente (confr.
Cass. civ. 18 luglio 2011, n. 15731).
5

L’applicazione degli esposti principi al caso di specie

rende obbligate le seguenti conclusioni.
Come detto innanzi, i motivi di ricorso volti a far valere

Tiengo era obbligato cambiarmente in proprio, sono
inammissibili per tardività, in forza del principio sancito
dall’art. 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, che esclude
dalla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale
le cause previste dall’art. 92 del R.D. 30 gennaio 1941, n.
12, tra cui le opposizioni all’esecuzione. Ed è appena il caso
di aggiungere che, con riferimento al rilievo officioso della
tardività, non opera la regola di cui all’art. 384, terzo
comma, cod. proc. civ., la quale si riferisce alla sola
ipotesi in cui la Corte ritenga di dover decidere nel merito e
non quando si tratti di questione di diritto di natura
esclusivamente processuale (confr. Cass. civ. 8 aprile 2014,
n. 8137).
6 Gli altri motivi sono inammissibili perché la decisione di

rigetto andava impugnata con l’appello, non sussistendo quella
speciale e

liquida

inerenza tra causa di opposizione

all’esecuzione e causa riconvenzionale (riscontrabile, ad
esempio, tra precetto cambiario e domanda riconvenzionale di

11

che, contrariamente all’assunto del giudice di prime cure, il

pagamento

ex

art. 1988 cod. civ.), che sola giustifica la

sottoposizione di entrambe a un unico regime impugnatorio.
7 È il caso di evidenziare, per puro spirito di completezza,

che, in ogni caso, i motivi volti a far valere vizi
motivazionali sono inammissibili anche in quanto privi del

richiesto dall’art. 366

bis

cod. proc. civ., nel testo

applicabile ratione temporis, che, pur senza rigidità formali,
deve concretizzarsi nella esposizione chiara e sintetica del
fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le
quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a
giustificare la decisione (confr. Cass. civ. l ° ottobre 2007,
n. 20603).
In definitiva il proposto ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue la condanna della ricorrente società al pagamento delle
spese di giudizio, nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la
ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in
complessivi euro 6.500,00 (di cui euro 200,00 per esborsi),
oltre spese generali e accessori, come per legge.
Roma, 6 giugno 2014

momento di sintesi e cioè di quell’elemento espositivo,

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA