Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17984 del 02/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 02/08/2010, (ud. 30/06/2010, dep. 02/08/2010), n.17984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE

FABIANI, TRIOLO VINCENZO, STUMPO VINCENZO, giusta mandato in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

A.M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato MAFFEI ROSA, che la

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 175/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 01/03/2007 R.G.N. 30/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/06/2010 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso del 12 gennaio 2006 l’INPS impugnava, dinanzi alla Corte d’appello di L’Aquila, la sentenza del Tribunale di Avezzano, in data 29 novembre 2005, con cui era stata accolta la domanda avanzata da A.M.P., intesa ad ottenere la corresponsione dell’indennità per congedo parentale ai sensi del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 63, nella misura di legge, per il periodo dal (OMISSIS), a seguito della nascita del figlio avvenuta il (OMISSIS), che invece l’Istituto non aveva corrisposto ritenendo insussistente il requisito dell’iscrizione negli elenchi nominativi, di cui al R.D. n. 1949 del 1940, art. 2, per oltre cinquantuno giornate nell’anno 2001, che l’assicurata poteva ricevere la prestazione previdenziale solo nell’anno immediatamente successivo a quello lavorato, ossia nel 2001, ma non per il periodo successivo.

1.1. Con il proprio gravame l’Istituto si doleva dell’interpretazione adottata dal primo giudice in relazione alla normativa vigente in materia di prestazioni di maternità, stante la chiara dizione del D.L. n. 463 del 1983, art. 5, comma 6, convertito in L. n. 638 del 1983, poi riprodotto nel D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 63, secondo cui i lavoratori agricoli a tempo determinato hanno diritto alle prestazioni a condizione che risultino iscritti negli elenchi nominativi dell’anno precedente per almeno cinquantuno giornate; in particolare, non si poteva sostenere che lo svolgimento di tali giornate in un determinato anno può legittimare la fruizione non solo del congedo per astensione obbligatoria nell’anno successivo a quello di effettivo lavoro, ma anche del congedo per astensione facoltativa nell’anno ulteriormente successivo, operandosi in tal caso un’interpretazione estensiva contraria alle stesse finalità della norma.

2. Costituitasi la lavoratrice, che resisteva al gravame contestando la tesi interpretativa dell’Istituto, la Corte d’appello, con sentenza del 1 marzo 2007, respingeva l’impugnazione osservando che – come anche precisato dalla giurisprudenza di legittimità – il diritto alle prestazioni in esame permane pure nell’anno successivo a quello di efficacia degli elenchi e che per la verifica delle cinquantuno giornate devono conteggiarsi altresì le giornate di astensione obbligatoria, che vanno considerate come di effettivo lavoro, sì che l’indennità doveva essere riconosciuta anche nella fattispecie, nella quale l’astensione facoltativa dal lavoro decorreva dai primi mesi dell’anno successivo a quello di nascita del figlio.

3. Di questa sentenza l’Istituto domanda la cassazione con ricorso articolato in un unico motivo. La lavoratrice resiste con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare, va rilevata l’inammissibilità del controricorso, presentato per la notificazione in data 18 ottobre 2007, oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c. (in relazione alla data di notifica del ricorso in data 2 agosto 2007), non essendo applicabile nelle controversie di lavoro e previdenza la sospensione feriale dei termini del processo.

1.1. Consegue, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1 e 3, l’inammissibilità della memoria e della produzione dei documenti, osservandosi, per questi ultimi, che la previsione, di cui all’art. 372 cpv. c.p.c., del deposito dei documenti relativi all’ammissibilità del ricorso “indipendentemente da quello … del controricorso” presuppone comunque una valida notificazione dell’atto, al cui contenuto la produzione documentale è riferita. Ne deriva, ulteriormente, il mancato assolvimento dell’onere di dimostrazione dell’avvenuta notificazione della sentenza impugnata, in relazione all’eccezione – sollevata dalla resistente – di inammissibilità del ricorso per inosservanza del termine breve (in relazione alla dedotta notifica della medesima sentenza anteriormente alla sua correzione per errore materiale).

2. Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 63, comma 2, con riferimento all’art. 32, comma 1, lett. a), del citato decreto, l’INPS chiede alla Corte, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., di affermare che, ai fini della fruizione dell’indennità per congedo parentale, il requisito dell’iscrizione negli elenchi nominativi, per almeno cinquantuno giornate lavorative con riferimento all’anno precedente a quello in cui è avvenuta l’astensione, si matura per effetto di un periodo di lavoro interno ad un rapporto retribuito e soggetto a contribuzione, e non anche considerando equivalenti a giornate di lavoro effettivo le giornate in cui la lavoratrice agricola a tempo determinato sia stata in congedo di maternità.

3. Tale motivo non è fondato.

3.1. Una sommaria ricognizione del contesto normativo riguardante le prestazioni previdenziali e assistenziali connesse alla protezione sociale della maternità consente di rilevare che il relativo trattamento, tradizionalmente disciplinato insieme alle forme di tutela contro le malattie comuni in quanto diretto a sopperire a una temporanea limitazione della capacità reddituale, è stato gradualmente collocato fra le prestazioni giustificate dal cd. carico di famiglia, siccome destinato al particolare onere familiare – sostenuto personalmente ed esclusivamente dalla donna – connesso alla gestazione e al parto e all’assistenza del neonato nei primi mesi di vita, sì che la funzione di sostegno economico realizzata dalla relativa indennità corrisponde sia alla tutela della donna e del nascituro, sia ad evitare che la maternità determini una situazione di bisogno per la famiglia. In proposito, mette conto rilevare che la giurisprudenza costituzionale ha affermato, fin dagli anni ottanta, l’operatività della garanzia costituzionale – precipuamente riferita all’art. 31 Cost., – anche in situazioni indipendenti dall’evento della maternità naturale, sul presupposto che la tutela assolve anche alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino (cfr. Corte cost. n. 1 del 1987; n. 179 del 1993).

3.2. La successiva evoluzione del quadro normativo, secondo le linee indicate da questa giurisprudenza, ha portato – in base alla delega contenuta nella L. 8 marzo 2000, n. 53 – alla introduzione del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151.

La L. n. 53 del 2000, art. 1, lett. a), prevede l’istituzione dei congedi dei genitori in relazione alla generale finalità di promuovere il sostegno della maternità e della paternità.

L’art. 32 del D.Lgs. n. 151 del 2001 prevede i congedi parentali e dispone che per ogni bambino, nei suoi primi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro; tale diritto compete: alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi (comma 1, lett. a); al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi (comma 1, lett. b). Il congedo parentale non può superare complessivamente il limite di dieci mesi (comma 1, prima parte) e spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto (comma 4). Per i periodi di congedo parentale alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta un’indennità, calcolata in misura percentuale sulla retribuzione secondo le modalità previste per il congedo di maternità (art. 34, commi 1 e 4).

3.3. Anche per tale congedo si configura una ratio del tutto analoga a quella delineata dalla Corte costituzionale nelle pronunce che, come s’è visto, hanno storicamente influenzato le scelte del legislatore nella emanazione della Legge Delega del 2000 e del successivo testo unico del 2001: in particolare, con le sentenze n. 104 del 2003, n. 371 del 2003 e n. 385 del 2005 i giudici costituzionali hanno ribadito come la tutela si risolva in misure volte a garantire il rapporto dei genitori con la prole in modo da soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del bambino al fine dell’armonico e sereno sviluppo della sua personalità e del suo inserimento nella famiglia; tutte esigenze che, richiedendo evidentemente la presenza del genitore accanto al bambino, sono impedite dallo svolgimento dell’attività lavorativa e impongono pertanto la sospensione di questa, affinchè il genitore dedichi alla cura del figlio il tempo che invece avrebbe dovuto dedicare al lavoro.

3.4. Alla stregua di tali considerazioni, questa Corte ha avuto modo di osservare che il congedo parentale – nella specie qui in esame, richiesto dalla madre lavoratrice – si configura come un diritto potestativo costituito dal comportamento con cui il titolare realizza da solo l’interesse tutelato e a cui fa riscontro, nell’altra parte, una mera soggezione alle conseguenze della dichiarazione di volontà.

Tale diritto, in particolare, viene esercitato, nei confronti dell’ente previdenziale, nell’ambito del rapporto assistenziale che si costituisce ex lege per il periodo di congedo, con il conseguente obbligo del medesimo ente di corrispondere l’indennità (mediante conguaglio, ovvero direttamente in alcuni casi, come per le lavoratrici agricole assunte a tempo determinato) (cfr. Cass. 16207 del 2008).

3.5. La costituzione di tale rapporto assistenziale avviene secondo condizioni e modalità peculiari in relazione ad alcune attività di lavoro, per le quali la legge prevede una specifica disciplina mediante le “disposizioni speciali” dettate nel capo decimo del D.Lgs. n. 151 del 2001. In particolare, per il lavoro agricolo l’art. 63 prevede, al comma 2, che le lavoratrici e i lavoratori con contratto a tempo determinato iscritti o aventi diritto all’iscrizione negli elenchi nominativi di cui al D.L. n. 7 del 1970, art. 7, n. 5, convertito, con modificazioni, nella L. n. 83 del 1970, hanno diritto alle prestazioni di maternità e di paternità a condizione che risultino iscritti nei predetti elenchi nell’anno precedente per almeno cinquantuno giornate.

3.6. Questa previsione ha dato luogo ad un diffuso contenzioso, riferito alla particolarità del lavoro agricolo a tempo determinato e al riscontro di fattispecie in cui nell’anno precedente a quello della richiesta del congedo la lavoratrice non abbia prestato attività lavorativa, ma abbia fruito del periodo di astensione obbligatoria in relazione al parto; in tali ipotesi, come nella controversia in esame, l’INPS nega il diritto alla prestazione sul presupposto che il periodo di astensione obbligatoria non equivale ad attività lavorativa e che lo svolgimento di cinquantuno giornate di lavoro nell’anno precedente al parto può valere ai fini della fruizione dell’astensione obbligatoria nell’anno successivo, ma non ai fini del congedo per astensione facoltativa nell’anno ulteriormente successivo.

3.7. Per la soluzione della controversia devono trovare attuazione le considerazioni sopra premesse, che hanno condotto il Legislatore, come s’è visto, alla configurazione di una intensa tutela, dalla duplice funzione, e che non potrebbero non avere applicazione per le lavoratrici agricole a tempo determinato, per le quali questa Corte, con indirizzo ormai consolidato, ha puntualmente delineato limiti e modalità della tutela in relazione all’indennità connessa all’astensione obbligatoria e facoltativa per maternità, D.L. 12 settembre 1983, n. 463, ex art. 5, convertito, con modificazioni, nella L. 11 novembre 1983, n. 638.

3.8. Con riferimento a tale normativa, coordinata con la disciplina generale sulla tutela della maternità, la giurisprudenza di legittimità ha sempre precisato: a) che nel settore agricolo, ai fini del diritto alle indennità giornaliere di maternità per il periodo di astensione obbligatoria e per il periodo di astensione facoltativa, al requisito dell’esistenza di un rapporto di lavoro in atto si sostituisce il possesso della qualifica di lavoratrice agricola, che va comprovata con l’iscrizione negli elenchi nominativi o con l’apposito certificato di cui al D.Lgs.Lgt. 9 aprile 1946, n. 212, art. 4, comma 4; b) che, anche con riferimento alle norme anteriori alla nuova disciplina del congedo per maternità, e in particolare in base al combinato disposto delle due norme rilevanti (L. n. 1204 del 1971, art. 17 e D.L. n. 463 del 1983, art. 5, comma 6), si ricava che la tutela economica della maternità per le lavoratrici agricole a tempo determinato viene corrisposta a condizione che la lavoratrice risulti iscritta, per almeno cinquantuno giornate, nell’elenco anagrafico relativo all’anno precedente a quello in cui si verifica l’evento meritevole di tutela (astensione obbligatoria e assenza facoltativa (cfr, fra tante, Cass. n. 15257 del 2007; n. 16432 del 2007).

3.9. Con riguardo all’individuazione di tale condizione, poi, la giurisprudenza di questa Corte ha inizialmente affermato che la tutela si estende all’intero anno successivo a quello di svolgimento del numero minimo di giornate lavorative e che, per quanto concerne l’indennità per l’astensione obbligatoria, la stessa va corrisposta per tutto il periodo, anche se questo continui oltre l’anno di efficacia dagli elenchi, quindi nel secondo anno successivo all’espletamento del lavoro, mentre il diritto alla indennità per assenza facoltativa si estingue con lo scadere del periodo di efficacia dell’elenco, vale a dire non può superare l’anno successivo allo svolgimento del lavoro (v., fra tante, Cass. n. 7481 del 1992; n. 1223 del 1996; n. 6721 del 1999).

3.10. Una lettura costituzionalmente orientata delle norme ha poi indotto la Corte ad affermare che anche l’indennità per astensione facoltativa, quando il periodo di astensione sia iniziato nell’anno di efficacia degli elenchi, successivo a quello di espletamento di almeno cinquantuno giornate lavorative, debba essere corrisposta per l’intero periodo, a nulla rilevando l’eventuale sforamento nel secondo anno, e che, non diversamente da quanto accade per le prestazioni di malattia, l’efficacia degli elenchi principali si estende all’intero anno entro il quale si colloca la scadenza del termine di trasmissione, a prescindere dall’effettuazione, nel corso di tale anno, del numero minimo di giornate lavorative, il cui compimento nell’anno precedente ha determinato l’iscrizione nell’elenco in questione (cfr., ex plurimis, Cass. n. 20114 del 2004;

n. 15257 del 2007; n. 16432 del 2007).

3.11. Con riguardo all’ipotesi ulteriore, che rileva nella controversia in esame, e cioè di indennità per astensione facoltativa richiesta nell’anno successivo a quello di mancata prestazione di attività lavorativa e di fruizione dell’astensione obbligatoria, assumono rilievo determinante le precisazioni di questa Corte circa l’efficacia del periodo di astensione obbligatoria ai fini della configurazione del diritto alla prestazione. Si è infatti specificato che il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, durante il quale è vietata la prestazione dell’attività lavorativa, con divieto di licenziamento e con computabilità nella anzianità di servizio, equivale anche nel campo del lavoro agricolo ad attività lavorativa effettivamente prestata e quindi è valido, in tale settore economico, ai fini del raggiungimento del minimo di giornate lavorate previsto dalla legge per la valida instaurazione del rapporto assicurativo (cfr. Cass. n. 1959 del 1996; n. 356 del 1997;

n. 7671 del 2002; n. 24631 del 2009).

3.12. Tale conclusione, alla quale il Collegio intende dare continuità, si fonda sulla analitica esegesi delle disposizioni contenute nel D.L. n. 463 del 1983, art. 5, essendosi rilevato, in particolare: a) che la norma, nel precisare, in relazione a dubbi interpretativi insorti in ordine alla precedente normativa, sia che le giornate lavorate in numero di cinquantuno devono essere cadute nell’anno precedente l’evento, sia che le prestazioni di malattia non possono eccedere il numero di giornate di iscrizione (cioè lavorate) nell’anno precedente, conferma, nondimeno, che l’iscrizione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli per non meno di cinquantuno giornate ha efficacia costitutiva del diritto alle prestazioni di malattia e, quindi, di maternità; b) che la medesima norma, nel prevedere, al comma 8, che “ai fini del presente articolo i periodi di godimento del trattamento di cassa integrazione guadagni e di astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio sono assimilati ai periodi di lavoro”, sancisce in modo in equivoco la rilevanza del periodo di astensione obbligatoria anche ai fini delle prestazioni di maternità; C) che è infondato l’assunto dell’INPS, secondo cui il citato D.L. n. 468 del 1983, art. 5, comma 8, deve essere interpretato nel senso che il cumulo tra giornate effettive di lavoro e quelle trascorse in astensione obbligatoria debba essere valido solo al fine di stabilire il “limite temporale annuo”, cioè il numero delle giornate, pari a quelle di iscrizione dell’anno precedente, per le quali si ha diritto alle prestazioni assistenziali, atteso che il precedente citato art. 5, comma 6, non si limita a fissare il suddetto limite, ma ribadisce anche che il diritto alle prestazioni è condizionato alla iscrizione negli elenchi per un minimo di giornate, e che il comma 8 stabilisce l’assimilazione del periodo di astensione obbligatoria alle giornate effettive di lavoro “ai fini del presente articolo”, e cioè a “tutti” i fini ed a tutte le situazioni contemplati dall’art. 5; d) che non è possibile, dunque, ritenere che per l’instaurarsi di un valido rapporto assicurativo occorrano almeno cinquantuno giornate lavorative effettive, senza tenere conto del periodo di astensione obbligatoria, che una simile interpretazione andrebbe contro il chiaro tenore letterale della norma.

3.13. Queste puntuali considerazioni (che consentono di ritenere non determinante la contraria affermazione contenuta nella sentenza n. 23555 del 2004) trovano un significativo riscontro nelle finalità della nuova disciplina del congedo parentale, come sopra delineate, intese ad evitare – come la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, qui impugnata, non ha mancato di precisare – che il bambino resti privo di assistenza e cura dopo i primi mesi di vita e che la madre sia costretta a lavorare, al termine del congedo di maternità, onde ottenere ex novo le condizioni per usufruire del congedo parentale (sino ad un massimo di sei mesi nei primi otto anni di vita del bambino, D.Lgs. n. 151 del 2001, ex art. 32, comma 1, lett. a)).

3.14. Non potrebbe dirsi, in senso contrario alla valorizzazione del periodo di astensione obbligatoria (ora congedo di maternità, D.Lgs. n. 151 del 2001, ex art. 16) ai fini in esame, che la rilevanza di periodi di inattività lavorativa sia estranea ai principi che governano la tutela dei diritti sociali. Invero, per il periodo di astensione dal lavoro per congedo di maternità e per congedo parentale spetta l’accredito della contribuzione figurativa, quale sostanziale prestazione accessoria utile agli effetti del diritto alla pensione e della misura del relativo trattamento (cfr. del D.Lgs. n. 151 del 2001, artt. 25, 30 e 35), così configurandosi, ex lege, una equiparazione all’effettiva prestazione lavorativa ai fini della tutela previdenziale stricto sensu. Non va sottaciuto, d’altra parte, che proprio in relazione alla tutela della famiglia, con riguardo ai requisiti per il riconoscimento del diritto agli assegni per il nucleo familiare, questa Corte, nel premettere che la tutela non può configurarsi senza il concreto svolgimento di un certo numero di ore di lavoro, ha tuttavia precisato che in alcune situazioni l’inattività è equiparata al lavoro effettivo e che siffatta equiparazione è riconducibile alla tutela di beni costituzionalmente garantiti, in dipendenza, fra gli altri, di eventi, come la maternità, che comportano ex lege l’inattività lavorativa (cfr. Cass. n. 6155 del 2004). L’equiparazione, dunque, non pare ingiustificata, in virtù del principio di solidarietà su cui si fonda il sistema previdenziale anche a prescindere da problemi di specifica provvista, allorchè – in relazione a lavoratrici assunte a tempo determinato che abbiano acquisito il diritto all’astensione obbligatoria in virtù del lavoro prestato nell’anno precedente e della conseguente assunzione della qualifica di lavoratici agricole – si tratti di garantire, non soltanto il mero sostegno economico alla famiglia, ma anche la cura del bambino e il suo inserimento nella vita affettiva e sociale, in periodi che non cadano nel medesimo anno dell’astensione obbligatoria (cfr. Cass. 24634/09 cit.).

3.15. In conclusione, deve ribadirsi che, ai fini del riconoscimento, in favore delle lavoratrici agricole con contratto a tempo determinato, del congedo parentale previsto dal D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 32, il requisito della iscrizione negli elenchi nominativi, di cui al D.L. 3 febbraio, n. 7, art. 7, n. 5, convertito, con modificazioni, nella L. 11 marzo 1970, n. 83, per almeno cinquantuno giornate nell’anno precedente, richiesto dall’art. 63, comma 2, del citato D.Lgs., deve intendersi realizzato, in virtù di un’interpretazione delle predette disposizioni tendente alla piena attuazione della tutela garantita dall’art. 31 Cost., anche nell’ipotesi in cui la lavoratrice, nel predetto anno, non abbia prestato attività lavorativa, ma abbia fruito del congedo di maternità per astensione obbligatoria dal lavoro.

4. Alla stregua di tale principio, che risulta pienamente osservato dalla sentenza impugnata, il ricorso dell’INPS va respinto.

5. Le spese del giudizio (riferite alla sola discussione, stante l’inammissibilità del controricorso e della memoria) si compensano in ragione del comportamento processuale delle parti e della complessità delle questioni esaminate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2010

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