Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17982 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 04/07/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 04/07/2019), n.17982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4437/2015 R.G. proposto da:

STUDIO S SRL, rappresentata e difesa dall’avv. Eugenio Briguglio e

dall’avv. Gianluca Boccalatte, elettivamente domiciliata in Roma,

via Germanico n. 146, presso lo studio dell’avv. Ernesto Mocci.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, sezione n. 31, n. 1075/31/2014, pronunciata il 26/05/2014,

depositata il 24/06/2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 maggio

2019 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con ricorso alla CTP di Vicenza, Studio S. Srl impugnò l’avviso di accertamento, notificato alla società in data 8/10/2012, con il quale l’Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione, ai fini IRES e IVA, per l’anno d’imposta 2005, costi non deducibili; altri analoghi avvisi erano stati notificati per le annualità 2006, 2007 e 2008 e la contribuente, per questi ultimi, aveva prestato acquiescenza;

gli atti impositivi scaturivano da una verifica della Guardia di Finanza, all’esito della quale era stata comunicata alla Procura della Repubblica di (OMISSIS) notizia di reato per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante artifici, il D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 3;

quale unico motivo di ricorso, la contribuente eccepì la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere d’accertamento, per decorrenza del termine quadriennale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in quanto lo stesso termine era scaduto in data 31/12/2010, mentre – come detto l’atto impositivo era stato notificato successivamente (8/10/2012);

2. la CTP, con la sentenza n. 84/4/2013, respinse il ricorso e la CTR, con la decisione indicata in epigrafe, ha disatteso l’appello della società;

la Commissione tributaria veneta, in particolare, ha fondato il proprio convincimento sulla decisione della Corte costituzionale (sent. n. 247 del 25/07/2011) che, nel riconoscere la legittimità del raddoppio del termine di decadenza dell’azione accertatrice in presenza di una notizia di reato tributario, innanzitutto, ha stabilito il principio che il termine raddoppiato consegue al mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale; in secondo luogo, ha rimesso al giudice tributario il compito di verificare l’obiettiva sussistenza dei presupposti per la denuncia penale ex art. 331 c.p.p.;

la CTR, ancora, ha negato rilevanza alla tesi difensiva dell’appellante secondo cui, diversamente da quanto affermato dalla CTP, la contribuente non aveva patteggiato, in sede penale, la pena per i reati tributari ad essa ascritti, riguardanti l’anno d’imposta 2005, essendo il patteggiamento circoscritto ad altre annualità in verifica (2006, 2007, 2008) – poichè ha rilevato che il PVC della GdF datato 20/12/2011 attestava il riscontro della suaccennata ipotesi di reato fiscale (da cui scaturiva l’obbligo di denuncia al Pubblico ministero) anche con riferimento al 2005;

3. la contribuente propone ricorso, con un unico motivo, illustrato da memoria, per la cassazione di questa sentenza della CTR; l’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con l’unico motivo del ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente censura la sentenza impugnata, che non avrebbe esaminato il profilo di nullità dell’atto impositivo dipendente da ciò, che l’Agenzia aveva illegittimamente usufruito del raddoppio del termine per l’accertamento facendo leva sulla denuncia penale, che era stata presentata in modo “pretestuoso e strumentale”, al solo scopo di estendere l’accertamento al periodo d’imposta 2005, per il quale il termine decadenziale era ormai decorso;

sotto altro profilo, la ricorrente rimarca che, nonostante il chiaro tenore della suaccennata pronuncia della Corte Cost. (che – precisa – per essere di rigetto non è vincolante), al giudice non sarebbe precluso ritenere che il raddoppio dei termini non operi quando la comunicazione della notitia criminis sia avvenuta, come nel caso di specie, successivamente alla scadenza dei termini per l’accertamento fiscale;

invoca, infine, l’applicazione dello ius superveniens, ossia della L. 11 marzo 2014, n. 23, che, all’art. 17, prevede la modifica della disciplina del raddoppio dei termini per accertamento, sia con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, che con riferimento al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, nel senso che detto raddoppio opera solo a condizione che la denuncia sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini;

1.1. il motivo è infondato;

il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 24, integrando il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, ha stabilito che in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione;

è estraneo al perimetro del giudizio lo ius superveniens (la cui applicazione è stata invocata dalla contribuente), consistente nelle modifiche introdotte, dapprima, dal D.Lgs. 3 agosto 2015, n. 128, art. 2, commi 1 e 2, che ha limitato il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, quindi, dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi da 130 a 132, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari;

la prima modifica, infatti, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quali sono quelle in oggetto, in cui la notifica dell’avviso di accertamento è intervenuta in data 8/10/2012;

quanto alla seconda modifica, invece, il regime transitorio previsto dalla L. n. 208 del 2015, per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal comma 132, secondo periodo, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel medesimo comma 132, primo periodo -, riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 3, comma 2, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (Cass. 16/12/2016, n. 26037; 9/08/2016, n. 16728);

così composto il quadro normativo di riferimento, pertanto, secondo la disciplina applicabile alla fattispecie concreta, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (Cass. 30/05/2016, n. 11171);

la Corte Cost. (sentenza n. 247/2011) ha affermato che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicchè: “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.”;

in sintesi, va riaffermato il principio di diritto enunciato, anche di recente, da questa Corte di legittimità (Cass. 13/09/2018, n. 22337), per il quale, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per l’IRPEF e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo;

nella presente controversia tributaria, la CTR si è attenuta a questo canone giuridico laddove, con una valutazione discrezionale, insindacabile in sede di legittimità, se non entro gli angusti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che, per altro, la contribuente non ha fatto valere) – ha riconosciuto che l’Amministrazione finanziaria aveva agito con imparzialità, ossia che non aveva fatto un uso “pretestuoso” e “strumentale” delle disposizioni denunciate, al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento, in ragione della circostanza che, dalla verifica della GdF sulla società contribuente, emergevano ipotesi di reato fiscale, comportanti l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p.;

2. infondato l’unico motivo, il ricorso è rigettato;

3. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.500,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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