Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17980 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 04/07/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 04/07/2019), n.17980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22618/2014 R.G. proposto da:

ARANDA IN TERRANOMADE, C.O.E., rappresentate e

difese dall’avv. Maurizio Sorisi, elettivamente domiciliate in Roma,

via G.G. Belli n. 27, presso lo studio dell’avv. Paolo Mereu.

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione n. 14, n. 709/14/2014, pronunciata il 30/01/2014,

depositata il 7/02/2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 maggio

2019 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la controversia riguarda l’impugnazione di tre avvisi di accertamento (notificati nel 2011), diretti, rispettivamente, (i primi due) all’associazione Aranda in Terranomade e al legale rappresentante dell’associazione C.O.E., in proprio (il terzo), che recuperavano a tassazione IRPEF, IRAP, IVA, per l’annualità 2004, redditi determinati con metodo induttivo (primo avviso di accertamento), l’omesso versamento di ritenute d’acconto sugli emolumenti per lavoro dipendente (secondo avviso di accertamento) e il reddito di capitale imputato pro quota alla sig.ra C., in qualità di socia unica dell’ente (terzo avviso di accertamento), sulla base di una verifica fiscale, relativa ai periodi d’imposta dal 2004 al 2009, conclusasi con il disconoscimento, in capo alla associazione, della qualifica di ente non commerciale e, perciò, del regime fiscale agevolato TUIR, ex art. 148, perchè, secondo il PVC, quest’ultimo esercitava attività d’impresa, consistente nello svolgimento di corsi di danza, yoga e di teatro;

ai fini della rideterminazione del reddito di impresa, relativo al 2004, posto che, per quell’annualità, l’associazione aveva omesso la dichiarazione, l’Ufficio aveva preso come riferimento i ricavi dichiarati per il 2009 (Euro 314.138,76) e, tenuto conto di un abbattimento del 5% per ciascuno dei precedenti esercizi (fino al 2004), e, ancora, quantificati i componenti negativi in Euro 72.490,00, aveva, infine, rettificato il reddito di impresa dell’associazione in Euro 170.585,00;

2. la CTP di Pavia, riuniti i tre ricorsi, con sentenza n. 108/01/2012, li accolse parzialmente, nel senso che, pur confermando la legittimità delle pretese fiscali, rideterminò i ricavi in Euro 78.534,69, con una riduzione del 75% dei ricavi accertati relativi al 2009, fissando i costi per prestazioni lavorative in Euro 36.152,00 e la quota di reddito della socia in Euro 20.000,00;

3. le parti hanno impugnato i capi di sentenza di rispettiva soccombenza e la CTR lombarda, con la pronuncia in epigrafe, ha rigettato l’appello (principale) dell’Ufficio e quello (incidentale) delle contribuenti;

il giudice d’appello ha condiviso la decisione di primo grado, secondo la quale la ricostruzione, da parte dell’Ufficio, del volume d’affari dell’associazione, relativo al 2004, non era del tutto adeguata alle “circostanze di tempo e di fatto”;

considerato, inoltre, che l’attività era iniziata nel 2002, e che l’anno d’imposta in verifica era il 2004, ha rimarcato che si doveva tenere conto che, per fare conoscere l’attività dell’associazione, era necessario che passasse un certo lasso di tempo, per la pubblicità e per la valutazione da parte del pubblico;

4. le contribuenti hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza d’appello; l’Agenzia resiste con controricorso;

5. con “memoria ex art. 378 c.p.c.”, datata 9/09/2015, le contribuenti hanno chiesto che sia affermata la nullità dell’avviso di accertamento ((OMISSIS)), che recuperava a tassazione il reddito non dichiarato dell’associazione (notificato il 23/11/2010), sul rilievo che l’iscrizione a ruolo dell’atto impositivo è stata effettuata da un soggetto non legittimato alla sottoscrizione del ruolo medesimo, in quanto decaduto dalla funzione dirigenziale, già ricoperta nell’ente creditore, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che prevedevano il conferimento di incarichi dirigenziali ai funzionari amministrativi, in assenza di regolari concorsi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a. preliminarmente, è inammissibile l’istanza contenuta nella citata memoria, per la dirimente ragione che l’eventuale nullità dell’iscrizione a ruolo dell’impositivo è una questione estranea al thema decidendum della controversia, come compendiato dai motivi di ricorso per cassazione, di seguito esaminati (conf. Cass. 26/02/2019, n. 5503);

costituisce indirizzo pacifico di questa Corte che la questione relativa all’inesistenza dell’avviso di accertamento, perchè sottoscritto da un funzionario illegittimo, non può essere prospettata per la prima volta in sede di appello ma, per la particolare natura del processo tributario, deve trovare ingresso solo con l’originario ricorso (Cass. 13/04/2017, n. 9602);

è evidente che a maggiore ragione la stessa questione giuridica non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità e per di più in sede d’udienza.

1. con il primo motivo del ricorso, denunciando violazione e/o falsa applicazione del TUIR, art. 148, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, le ricorrenti assumono che i giudizi di merito hanno considerato valida la metodologia adottata dal fisco per la determinazione del reddito, valutando i calcoli “non del tutto adeguati alle circostanze di tempo e di fatto”, e hanno, altresì, fissato “arbitrariamente” un valore pari al 75% dell’accertato, senza alcun supporto logico a sostegno di tali decisioni;

sottolineano che: “nessuno specifico elemento indiziario e/o probatorio è stato effettuato in relazione al periodo fiscale incriminato: si è solo e soltanto utilizzato un asettico e prestabilito criterio di determinazione senza alcun aggancio fattuale a criteri oggettivamente rinvenibili ed esistenti.” (cfr. pag. 5 del ricorso per cassazione);

1.1. il motivo, in parte, è infondato e, in parte, è inammissibile;

da un canto (infondatezza), va riaffermato il radicato orientamento della Corte, secondo cui, nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita gli Uffici finanziari a servirsi di qualunque elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo (Cass. 30/03/2012, n. 5228; in senso conforme: 22/01/2014, n. 1240; 24/02/2017, n. 4785; 22/03/2017, n. 7258; 16/05/2018, n. 12026; 15/11/2018, n. 29479);

nel caso in esame, la CTR ha fatto buon governo di tale principio giuridico, laddove ha riconosciuto la legittimità del ricorso all’accertamento induttivo del reddito di impresa dell’associazione, sul presupposto fattuale non contestato – che l’ente avesse omesso la dichiarazione relativa all’annualità 2004;

d’altro canto (inammissibilità), si rileva che rimane eccentrica al paradigma del dedotto errore di diritto la critica delle contribuenti alla quantificazione, da parte della CTR, dell’ammontare del reddito non dichiarato, quale apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito, sindacabile, in sede di legittimità, solo entro gli angusti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la cui violazione, giova sottolinearlo, non è stata prospettata;

2. con il secondo motivo, denunciando violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, le ricorrenti assumono che l’avviso di accertamento, fondato sulle movimentazioni bancarie, comporta necessariamente l’instaurazione del contraddittorio preventivo tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente;

3. con il terzo motivo, denunciando violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, le ricorrenti assumono che, nel corso dell’accesso presso i locali dell’associazione, non vi è stata l’esibizione e la produzione, da parte della contribuente, dei documenti contabili richiesti dagli accertatori: “a causa di una serie di circostanze ed impedimenti verificatisi nel corso dell’accertamento stesso,” (cfr. pag. 7 del ricorso per cassazione);

dubitano che, a causa della confusione che ha caratterizzato il controllo fiscale, la società verificata fosse stata informata delle conseguenze giuridiche derivanti dalla mancata esibizione della contabilità e, quindi, sollevano questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 24 e 113 Cost.;

3.1. il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente perchè si prestano ad un’identica soluzione giuridica, sono inammissibili;

è il caso di richiamare il costante, condivisibile indirizzo della Corte, recentemente ribadito (Cass. 7/09/2017, n. 20910), per il quale: “La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass. 7/11/2005, n. 21490; in senso conforme: Cass. 26/03/2010, n. 7375);

nella specie, entrambe le doglianze, imperniate sulle modalità di svolgimento della verifica fiscale, non recano alcuna critica specifica alle statuizioni della sentenza impugnata e, inoltre, la questione di legittimità costituzionale pare solo abbozzata e difetta, persino, della menzione della norma di legge indubbiata;

4. ne consegue che, in parte infondato e in parte inammissibile il primo motivo del ricorso e inammissibili il secondo e il terzo motivo, il ricorso è rigettato;

5. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono a soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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