Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17978 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 04/07/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 04/07/2019), n.17978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2440-2013 proposto da:

D.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTE DELLE

GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato CAROLINA VALENSISE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato EMANUELE CERVIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE (OMISSIS) DI MILANO in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 69/2012 della COMM. TRIB. REG. della

Lombardia, depositata il 31/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/05/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha

concluso per il ricorso respinto.

Fatto

RILEVATO

Che:

D.R. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 69/46/2012, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 31.05.2012, con la quale era accolto l’appello della Agenzia delle Entrate avverso la decisione del giudice di primo grado di Milano.

Ha rappresentato che all’esito di verifica fiscale e processo verbale di constastazione redatto dalla GdF gli era notificato l’avviso di accertamento ai fini Irpef, Irap e contributi Inps per l’anno 2004, con ripresa a tassazione di redditi non dichiarati, rideterminando l’imponibile nell’importo di Euro 9.806.218,00 rispetto a quello denunciato dal contribuente nella misura di Euro 30.428,00.

L’atto impositivo scaturiva da una attività di controllo iniziata nel 2007, nel corso della quale, procedendo ad indagine bancaria ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, erano rilevate movimentazioni non regolarmente registrate.

Nel successivo contenzioso instaurato dal contribuente la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 64/26/2010 accoglieva le ragioni del contribuente su gran parte delle poste recuperate a tassazione, e in particolare sull’importo di Euro 9.661.980,60, confermando l’atto impositivo limitatamente all’importo di Euro 69.348,00.

L’Agenzia proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, chef con la sentenza ora impugnata, riformava quella del giudice di primo grado, confermando l’atto impositivo con riferimento all’importo di Euro 9.661.980,00.

Il D. censura la sentenza con tre motivi:

con il primo per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver ritenuto non provata l’estraneità dei movimenti finanziari al reddito dichiarato per assenza dei relativi contratti;

con il secondo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, nonchè degli artt. 2727,2728 e 2697 c.c., artt. 24 e 111 Cost., per non aver considerato che la presunzione legale derivante dagli accertamenti bancari risulterebbe improbabile;

con il terzo per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver tenuto conto dell’incompatibilità dei maggiori ricavi ripresi a tassazione rispetto alle statistiche del settore funebre e ai beni strumentali dell’impresa del contribuente.

Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza con rinvio al giudice di merito.

Si è costituita l’Amministrazione, contestando le avverse difese, con richiesta di declaratoria di inammissibilità del ricorso o di rigetto nel merito.

Sono state depositate memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.

Il P.G. ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Il ricorso, che sfiora l’inammissibilità per violazione delle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il quale impone l’esposizione sommaria dei fatti laddove, nel caso di specie, l’atto è stato confezionato, dissimulando l’assemblaggio dei pregressi atti difensivi con un resoconto discorsivo delle vicende processuali, è in ogni caso infondato nei suoi motivi.

E’ infondato, quando non inammissibile, il primo, con il quale il ricorrente si duole del vizio motivazionale della decisione, per aver negato la prova della estraneità dei movimenti finanziari rispetto al reddito dichiarato. La difesa del ricorrente sostiene l’erroneità del ragionamento del giudice regionale, che avrebbe preteso la produzione dei contratti di finanziamento a supporto della prova che le movimentazioni bancarie corrispondenti a poste di prelevamento e di versamento degli ingenti importi sui conti correnti altro non erano che erogazioni di prestiti infruttiferi di cui erano stati beneficiari alcuni clienti o comunque terze persone, prontamente restituiti e nel complesso estranei all’attività d’impresa. Si duole, dunque, sia della richiesta dei contratti di mutuo, assumendo che alcuna norma prescrive che tali contratti debbano essere conclusi in forma scritta, sia della circostanza che l’aver, comunque, contabilizzato i versamenti e l’aver utilizzato i prelevamenti per pagare dei beneficiari è circostanza sufficiente a superare la presunzione legale prevista dall’art. 32 cit., in materia di accertamenti bancari e di riconoscimento di ricavi per entrambe le tipologie di poste.

La ragione della censura, che per come costruita va più correttamente inquadrata nella contestazione dell’erronea interpretazione di norme giuridiche sostanziali prima ancora che come vizio motivazionale, non ha pregio. Il giudice regionale, a fronte delle incontestabili movimentazioni bancarie accertate, ha rilevato che al fine del superamento della presunzione legale prevista dall’art. 32, occorreva dimostrare la diversa destinazione dei prelevamenti e l’estraneità dei versamenti all’esercizio dell’impresa. Ha cioè condiviso, in ciò facendo una scelta interpretativa corretta, l’insufficienza della mera contabilizzazione della movimentazione bancaria perchè possa dirsi superata la presunzione di ricavi riconducibile ad essa.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi è sufficiente rammentare che con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il cit. D.P.R. n. 600, art. 32, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi ultimi sono registrati in contabilità e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili. Peraltro, posto che in materia sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, nè è possibile ricorrere all’equità (cfr. Cass., 13035/2012; 16896/2014). Ancora più esplicitamente, in ordine agli oneri probatori che incombono sul contribuente, questa Corte ha affermato che qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Cass., 18081/2010; 15857/2016).

Dai principi di diritto appena riportati si evince, dunque(che per il superamento della presunzione legale non è sufficiente l’emersione delle movimentazioni bancarie nella contabilità del soggetto sottoposto a verifica, richiedendosi invece che tali riscontri siano analitici, corretti e rispondenti a fattispecie reali e non solo formali. Ciò è coerente con le norme che presidiano le varie forme di accertamento fiscale, rispetto alle quali le verifiche sui conti correnti non costituiscono un’ulteriore tipologia, ma più semplicemente una modalità di acquisizione di elementi probatori, dotati di specifica valenza legale, a supporto delle forme d’accertamento previste nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e segg..

Ben poteva dunque il contribuente offrire la prova contraria, ossia dimostrare che i prelevamenti fossero destinati a terzi beneficiari ed i versamenti fossero regolarmente registrati e contabilmente apprezzabili. Non poteva invece limitarsi a riprodurre una contabilità, ancorchè regolare sotto il profilo formale, omettendo però ogni riferimento alla sostanza delle operazioni, ossia alla effettiva destinazione dei prelievi a terzi beneficiari, identificati invece solo formalmente e dalla consistenza economica di dubbia compatibilità con gli importi percepiti a titolo di mutuo; allo stesso modo non poteva limitarsi a riprodurre i riscontri contabili dei versamenti, identificati quali poste estranee alla attività d’impresa, senza che la suddetta registrazione fosse corroborata da riferimenti oggettivi e coerenti con l’attività esercitata dal contribuente (milioni di Euro versati a titolo di mutuo a fronte di un imponibile dichiarato dall’impresa del D., pari a 30.000,00 Euro circa).

La sentenza del giudice di appello ha deciso nel rispetto delle regole giuridiche così perimetrate, avvertendo ed evidenziando le incongruenze dei dati allegati dal D..

Il secondo e il terzo motivo non hanno pregio, perchè fondati su ragioni che non possono incidere sulla regolamentazione delle modalità di accertamento nonchè sulla disciplina delle presunzioni di cui all’art. 32 cit. Ciò che la normativa in particolare richiede è che il contribuente offra la prova della irrilevanza delle movimentazioni bancarie ai fini della determinazione del reddito, senza che a tal fine possa incidere il profilo di incompatibilità economica dei risultati, nei termini denunciati dalla ricorrente.

Considerato che:

Il ricorso va, dunque, rigettato e all’esito segue la soccombenza del ricorrente nelle spese legali sostenute dall’Agenzia nel giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il D. alla rifusione in favore dell’Agenzia delle spese legali sostenute nel giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 15.000,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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