Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17976 del 01/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 01/09/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 01/09/2011), n.17976

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 13.4,

presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MASCHERONI EMILIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.V.O., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

D’ITALIA 102, presso lo studio dell’avvocato MOSCA GIOVANNI PASQUALE,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 979/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 31/08/200, r.g.n. 924/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega MASCHERONI OTTAVIO;

udito l’Avvocato MOSCA GIOVANNI PASQUALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 456/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Castrovillari, in accoglimento della domanda proposta da D.V. O. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato per il periodo 20-2-2001/31-5-2001, per “esigenze di carattere straordinario…” ex art. 25 del ccnl del 11-1-2001, e condannava la società alla riammissione in servizio della lavoratrice e al pagamento in suo favore delle retribuzioni maturate a decorrere dal 10-1-2003.

Sull’appello della società, resistito dalla D.V., la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 31-8-2006, rigettava il gravame e confermava la pronuncia di primo grado.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con otto motivi.

La D.V. ha resistito con controricorso.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, degli artt. 1175, 1375, 2697, 1427, 1431 c.c., e dell’art. 100 c.p.c., la ricorrente in sostanza lamenta che la Corte territoriale ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso nonostante la prolungata inerzia della lavoratrice e la percezione da parte della stessa del t.f.r. senza contestazione alcuna e deduce che a fronte di tale manifestato disinteresse doveva presumersi l’estinzione per mutuo consenso, con conseguente onere sulla lavoratrice di dimostrare le circostanze contrarie alla detta presunzione.

Con il secondo motivo la ricorrente censura la decisione della Corte di merito, sul punto, anche sotto il profilo motivazionale.

Con il terzo motivo, denunciando violazione degli artt. 324, 346, 434 c.p.c., dell’art. 2909 c.c. e nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., premesso che il primo giudice aveva accolto la domanda “unicamente in ragione dell’asserita carenza di prova della sussistenza, in concreto, delle esigenze poste a fondamento dell’assunzione” ritenendo preliminarmente la piena validità della previsione collettiva posta a fondamento dell’assunzione e che, in mancanza di appello incidentale da parte della D.V., si era formato il giudicato su tale questione preliminare, la società lamenta la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale “ha esteso la propria indagine ad un profilo di nullità…sulla quale, per le ragioni sopra esposte, era oramai intervenuto il giudicato”.

Con il quarto motivo, denunciando nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., la ricorrente in sostanza deduce che la D.V. giammai aveva eccepito la mancanza di prova circa la sussistenza di un nesso causale tra il processo di riorganizzazione aziendale e l’assunzione de qua, e lamenta che la Corte territoriale ha omesso di affrontare la questione dell’ultrapetizione sollevata con il relativo motivo di appello.

Con il quinto motivo la ricorrente censura, inoltre, sul punto la impugnata sentenza anche sotto il profilo del vizio di motivazione.

Con il sesto motivo, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 25 del ccnl 2001 e dell’art. 1362 c.c. e segg., la ricorrente, richiamando il principio della “delega in bianco”, deduce che, ai fini della legittimità delle assunzioni a termine effettuate ai sensi delle disposizioni dei contratti collettivi in forza della delega ad essi concessa dall’art. 23 citato, “è sufficiente la prova della sussistenza delle esigenze di carattere generale dedotte nella causale dei singoli contratti individuali (attesa la preventiva individuazione delle esigenze operata a monte dalle parti sociali) senza che sia necessario fornire la dimostrazione del nesso causale intercorrente tra le dette esigenze generali ed ogni singola assunzione a termine”.

Con il settimo motivo, denunciando violazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094, 2099 e 2697 c.c., la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe incorsa “nella violazione dei principi e delle norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni”, in particolare in quanto la Corte territoriale “pur affermando che il diritto alla retribuzione può sorgere solo con la messa in mora” non avrebbe “verificato se vi fosse effettiva costituzione in mora del datore di lavoro da parte del datore di lavoro”, peraltro omettendo di “accertare se ed in che misura i ricorrenti avessero svolto ulteriori e successive attività lavorative in epoca successiva alla scadenza del termine”, in ordine alle quali la società, “al di là” delle richieste avanzate di informazioni presso l’UPLMO e di esibizione dei modelli 740 della lavoratrice, “non poteva essere in grado di produrre o provare alcunchè”.

Con l’ottavo motivo la ricorrente, infine, lamenta vizio di motivazione in ordine alla pretesa avvenuta messa in mora.

Osserva il Collegio che, esaminando in primo luogo in ordine logico il terzo motivo, lo stesso risulta infondato e va respinto.

Da un lato, infatti, deve ritenersi che per la D.V., risultata vittoriosa in primo grado, era sufficiente, ex art. 346 c.p.c., richiamare specificamente le domande già avanzate in primo grado, con i relativi profili, non essendo all’uopo necessaria la proposizione di un appello incidentale.

Dall’altro va rilevato che la sentenza di appello, in sostanza, al pari di quella di primo grado ha fondato la decisione sulla considerazione che la società “non ha fornito la prova della sussistenza delle condizioni che legittimavano per il contratto de qua l’apposizione del termine”, svolgendo, nel contempo, soltanto delle “considerazioni di sfondo” in ordine al “modo in cui Poste Italiane ha applicato la disciplina contrattuale”.

Seguendo l’ordine logico va, poi, esaminato il sesto motivo, che risulta fondato e va accolto, in base all’indirizzo ormai consolidato affermato da questa Corte con riferimento ai contratti a termine conclusi ai sensi dell’art. 25 del ccnl del 2001, nel regime anteriore al D.Lgs. n. 368 del 2001.

In particolare questa Corte Suprema (v. fra le altre Cass. 26 settembre 2007 n. 20162, Cass. 1-10-2007 n. 20608) decidendo in casi analoghi, ha cassato la sentenza del giudice di merito che ha dichiarato illegittimo il termine apposto ad un contratto stipulato in base alla previsione della norma contrattuale sopra citata, osservando, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

In specie, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, questa Corte ha precisato che i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Premesso, poi, che l’art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze dì carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, questa Corte ha ritenuto viziata l’interpretazione dei giudici del merito che, sull’assunto della assoluta genericità della disposizione in esame, ha affermato che la stessa non contiene alcuna autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali.

Tale orientamento va confermato in questa sede, precisandosi che, nel quadro delineato, non era necessario che il contratto individuale contenesse specificazioni ulteriori rispetto a quelle menzionate nella norma collettiva (v. fra le altre Cass. 14-3-2008 n. 6988) e neppure incombeva sul datore di lavoro la prova del nesso concreto tra le “esigenze straordinarie”, previste in sede collettiva e dedotte in contratto, e la assunzione a termine de qua.

Così respinto il terzo motivo ed accolto il sesto, risultano quindi assorbiti gli altri motivi, che concernono questioni o consequenziali o comunque logicamente successive.

La impugnata sentenza va pertanto cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria, la quale, si atterrà al principio sopra ribadito, esaminando anche gli ulteriori profili di nullità del termine (vedi richiamo in controricorso) ritenuti assorbiti nell’impugnata sentenza e provvederà altresì sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il terzo motivo, accoglie il sesto, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2011

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