Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17966 del 14/08/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 17966 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA
sul ricorso 2031-2013 proposto da:
MORRONE

DOMENICO

MRRDNC64A24E036S,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 9, presso lo
studio dell’avvocato ANNA MARIA RIZZO, rappresentato e
difeso dall’avvocato PINTO LEONARDO con studio in
MATERA, VIA DE SARIIS 24 giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del
legale rappresentante p.t., domiciliata ex lege in

Data pubblicazione: 14/08/2014

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, da cui è difesa per legge;
– controricorrente

avverso il decreto n. 2116/2012 della CORTE D’APPELLO
di LECCE, depositata il 23/10/2012, proc. n. 476/2012

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30/04/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato LEONARDO PINTO;
udito l’Avvocato GIANNI DE BELLIS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

2

V.G.;

R.g.n. 2031-13 (ud. 30.4.2014)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Domenico Morrone ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 5, quarto
comma, della 1. n. 117 del 1988 avverso il decreto del 23 ottobre 2012, con il quale la
Corte d’Appello di Lecce ha rigettato il reclamo da lui proposto avverso il decreto del 9
marzo 2012 del Tribunale di Lecce, con il quale era stata dichiarata l’inammissibilità, ai
sensi dell’art. 3 della 1. n. 117 del 1988 dell’azione di responsabilità civile ai sensi di detta

legge da lui esercitata contro la Presidenza del Consiglio dei ministri con ricorso del 5
gennaio 2009 in relazione a pretesi danni cagionatigli da magistrati componenti due collegi
della Corte di Assise d’Appello di Bari, che avevano giudicato in sede di successivi rinvii
disposti dalla Corte di cassazione in un giudizio penale, nel quale egli era stato condannato
in via definitiva, essendo stato rigettato il ricorso per cassazione contro la seconda sentenza
emessa in sede di rinvio, per un duplice delitto di omicidio, e successivamente, con
sentenza del 21 aprile 2006, divenuta definitiva il 7 gennaio 2007 era stato assolto in sede
di revisione dalla Corte leccese, in accoglimento di una istanza di revisione, dopo che altre
cinque precedenti erano state ritenute inammissibili.
§2. Al ricorso ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Preliminare allo scrutinio dei motivi di ricorso è il riferire la prospettazione sulla
base della quale l’azione di responsabilità ex lege n. 117 del 1988 è stata esercitata dal
Morrone.
§1.1. A seguito del duplice omicidio avvenuto il 30 gennaio del 1991 in Taranto, il
Morrone veniva prima tratto in stato di fermo e, quindi, in arresto nell’àmbito delle
successive indagini. Ciò, sulla base di dichiarazioni accusatorie di tre ragazzi che erano
stati testimoni oculari del fatto e della constatazione di un movente, rappresentato da un
precedente ferimento subito dal Morrone mediante colpo di arma da fuoco esploso da una
delle due vittime.
§1.2. Con sentenza del novembre 1991 della Corte di Assise di Taranto il Morrone
veniva ritenuto colpevole del duplice omicidio e condannato alla pena di 21 anni di
reclusione oltre alle sanzioni accessorie e detta sentenza veniva confermata dalla sentenza
del 2 novembre 1992 della Corte di Assise d’Appello di Lecce.

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Est. Cons. Raffaele Frasca

R.g.n. 2031-13 (ud. 30.4.2014)

§1.3. La Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 578 del 1993, cassava la
sentenza de qua con rinvio alla Corte di Assise d’Appello di Bari, reputando fondato un
motivo di ricorso inerente la valutazione di inattendibilità di due testi (in rapporto di
coniugio), vicini di casa di Morrone, circa la presenza di costui a casa loro nel lasso di
tempo fra le ore 13.30 e le ore 13.45 e quella successiva di compatibilità della presenza del
Morrone sul luogo del delitto e nell’ora di esecuzione, da effettuarsi, evidentemente, una
volta ritenuti attendibili, all’esito della disposta rivalutazione, quei testi quanto alla loro

dichiarazione.
§1.4. Con sentenza n. 1 del 10 gennaio 1994 la Corte di rinvio barese confermava la
sentenza di primo grado appellata, ribadendo il giudizio di inattendibilità dei due testi e,
conseguentemente, reputando superflua ogni indagine sulla detta compatibilità.
§1.5. Con sentenza n. 939 del 22 giugno 1994 la Corte di cassazione penale cassava
detta sentenza con un nuovo rinvio alla Corte barese reputando che la Corte di rinvio nella
sentenza n. 1 del 1994 non avesse adempiuto al compito di valutare con adeguata
motivazione l’attendibilità o meno dei due testi ed indicando sotto quali profili logici la
motivazione non si presentava adeguata, nonché indicando anche ulteriori attività
istruttorie funzionali allo scopo e disponendo, nel caso di esito positivo del giudizio di
attendibilità, che si desse corso alla valutazione sulla compatibilità della presenza del
Morrone sul luogo e nell’ora del delitto, già ipotizzata nella sentenza dispositiva del primo
rinvio.
§1.6. Con sentenza n. 14 del 16 maggio 1995 la Corte di Assise di Appello di Bari,
all’esito del giudizio di rinvio, dopo avere ritenuto attendibile la testimonianza dei due
coniugi, confermò nuovamente la sentenza della Corte di Assise di primo grado, reputando
che, pur ritenuta veritiera la loro dichiarazione circa la presenza nella loro abitazione del
Morrone fra le ore 13,30 e le ore 13,45, tuttavia il Morrone si sarebbe potuto trovare sul
luogo del delitto alle 14.
§1.7. Mentre nel ricorso si sottace la circostanza, nella sentenza impugnata si dice
che la Corte di cassazione con sentenza n. 247 del 1996 rigettò il ricorso per cassazione
contro la sentenza n. 14 del 1995, sicché la statuizione di condanna del Morrone divenne
definitiva il P marzo 1996.
§1.8. Il Morrone successivamente presentava cinque istanze di revisione, che
venivano dichiarate inammissibili.
Una sesta istanza veniva ritenuta dapprima ammissibile e, quindi, accolta con
sentenza n. 12 del 2006 dalla Corte d’Appello di Lecce, che, per l’effetto, revocava la
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Est. Co s. Raffaele Frasca

R.g.n. 2031-13 (ud. 30.4.2014)

sentenza n. 14 del 1995 della Corte di Assise di Appello di Bari e assolveva il Morrone dai
reati ascritti per non aver commesso il fatto.
§1.9. L’azione ai sensi della 1. n. 117 del 1988 esercitata con il ricorso del 5 gennaio
2009 aveva ad oggetto l’esistenza di comportamenti delle due Corti di rinvio penali che
avevano pronunciato la sentenza n. 1 del 1994 e n. 14 del 1995, i quali avrebbero integrato
l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza sarebbe
risultata incontestabilmente esclusa dagli atti del procedimento.

Tale assunto veniva fondato: a) sulla deduzione dell’accertamento da parte della
sentenza di revisione della totale estraneità del Morrone al fatto sulla base di nuove prove
costituite dai verbali di interrogatorio reso da tre collaboratori di giustizia;

b)

sull’affermazione che la sua colpevolezza era stata ritenuta dalle due decisioni in sede di
rinvio sulla base delle dichiarazioni dei testimoni oculari, poi successivamente ritrattate, e
senza che fosse «riconosciuta importanza alcuna all’alibi immediatamente da lui
dichiarato e puntualmente confermato dagli interessati», cioè dai coniugi Masoni-Alano,
nonché senza considerare le risultanza della prima perizia balistica, effettuata dalla polizia
scientifica, che aveva dato esito negativo circa la presenza di polvere da sparo sul
campione a lui prelevato; c) sulla deduzione che la Corte salentina nella sentenza
dispositiva della revisione aveva rilevato che le nuove acquisizioni probatorie poste alla
base di essa avevano riscontrato quelle già acquisite nella fase ordinaria del giudizio
penale; d) sul rilievo che la sentenza n. 1 del 1994 aveva ribadito con estrema superficialità
la valutazione di inattendibilità dei due testi vicini di casa, che le era stata demandata con il
rinvio, tanto da essere nuovamente cassata; e) sull’assunto che la sentenza n. 14 del 1995,
dopo ave ritenuto credibile la testimonianza dei due vicini, aveva, sulla base di una perizia,
sostenuto “l’insostenibile”, là dove aveva considerato compatibile la presenza nella casa

dei vicini del Morrone nel lasso di tempo indicato con la successiva presenza sul luogo dei
delitti.
§2. Può passarsi ora all’esame dei tre motivi di ricorso.
§2.1. Con il primo motivo si fa valere “violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e
5 della Legge 14.4.1988 n. 117”, censurandosi la valutazione con cui la Corte territoriale
ha disatteso il primo motivo di reclamo contro la decisione di inammissibilità dell’azione
resa dal Tribunale. Con il detto motivo si era lamentato che Esso avesse debordato dai
limiti del giudizio di ammissibilità dell’azione.
La critica al decreto impugnato, che ha ritenuto inammissibile il primo motivo del
reclamo per difetto di specificità quanto all’individuazione del come si era verificato il
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Est. Cons. R ffaele Frasca

R.g.n. 2031-13 (ud. 30.4.2014)

preteso sconfinamento del Tribunale nella fase di merito, è svolta deducendo del tutto
genericamente che «il reclamante ha lamentato l’approfondimento della causa nel
merito» e che «questo risulta dal contenuto del decreto del Tribunale», del quale si
dice che sarebbe «entrato nel merito del giudizio di 2° grado conclusosi con la sentenza
n. 2/92 [….[ valorizzando, ai fini della dichiarata inammissibilità, alcuni passaggi critici di
detta sentenza, rilevati in sede di legittimità dalla S.C. che, con la sentenza n. 39 del
22.6.1994, ha annullato con rinvio»; e che «poi è entrato nel merito dei successivi

procedimenti». Dopo di che nient’altro si aggiunge per dimostrare lo sconfinamento nel
merito, ma si passa a dimostrare perché tale sconfinamento sarebbe stato pregiudizievole,
adducendo che il giudizio sarebbe stato reso «senza la necessaria partecipazione del
Morrone alla dialettica processuale e senza l’istruttoria tipica del processo ordinario di
cognizione e relative scansioni, con conseguente violazione del diritto di difesa».
§2.1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non svolge alcuna attività dimostrativa
di come e perché la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere inammissibile il primo
motivo di reclamo per aspecificità in ordine a quanto avrebbe rappresentato sconfinamento
nel merito. Per impugnare tale ratio decidendi il Morrone avrebbe dovuto evidenziare il
contenuto del suo reclamo che, nella parte espositiva avrebbe rivestito carattere specifico al
riguardo, mentre non lo ha fatto in alcun modo.
Va detto anzi, che se si potesse supportare la sua attività di illustrazione del motivo
con quanto nell’esposizione dei fatti nel ricorso si riporta, riproducendo il contenuto del
primo motivo di reclamo, si dovrebbe constatare che a giusta ragione la Corte territoriale
avrebbe rilevato l’inammissibilità di esso, atteso che quel contenuto si riduceva, dopo
l’invocazione di alcuni precedenti di questa Corte, che sottolineano i confini della fase di
ammissibilità dell’azione ex lege n. 117 del 1988, alle seguenti cinque righe: «Il
Tribunale, invece, non ha escluso la sussistenza di tali presupposti [quelli di cui all’art. 2
della 1. n. 117 del 19881, il cui difetto comportano [sic] la manifesta infondatezza, ed è
entrato nel merito. Fase riservata invece al giudice del merito nella prosecuzione del
giudizio dopo la dichiarazione di ammissibilità della domanda».
§2.1.2. Ora, è palese l’assoluta genericità di tali affermazioni, onde la valutazione
della Corte territoriale appare pienamente giustificata.
Tanto rilevato, non avendo il motivo di ricorso per cassazione correlazione con la
motivazione del decreto impugnato, è inammissibile perché inidoneo allo scopo (giusta il
principio di diritto per cui un motivo di ricorso per cassazione, come qualsiasi motivo di
impugnazione, deve risolversi necessariamente in una critica alla motivazione della
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Est. Cons Raffaele Frasca

R.g.n. 2031-13 (ud. 30.4.2014)

decisione impugnata: ex multis, Cass. n. 359 del 2005). Comunque si tratterebbe anche di
motivo privo di specificità e, quindi, inammissibile in questa sede, giusta il principio di
diritto per cui anche il motivo di ricorso per cassazione dev’essere specifico: in termini, ex
multis, Cass. n. 4741 del 2005.

§3. Con il secondo motivo si prospetta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2
della Legge 117/88 con riferimento alla sentenza n. 1/94 della Corte di Assise di Appello
di Bari del 10.1.1994”.

Con il terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della
Legge 117/88 con riferimento alla sentenza n. 14/95 della Corte di Assise di Appello di
Bari”.
Entrambi i motivi si dolgono delle valutazioni con cui la Corte territoriale ha
rigettato il reclamo condividendo la valutazione di inammissibilità dell’azione ai sensi
dell’art. 5, terzo comma, della 1. n. 117 del 1988 fatta dal Tribunale ed escludendo che si
potesse configurare colpa grave dei magistrati componenti i due collegi di rinvio nei sensi
prospettati dal Morrone.
§3.1. Il Collegio, pur essendo condivisibili le valutazioni espressa dalla Corte
territoriale in tal senso e non risultando in alcun modo idonee le argomentazioni
dell’illustrazione dei due motivi a superarle, rileva che in realtà sia il Tribunale che la
Corte di reclamo avrebbero dovuto rilevare l’inammissibilità dell’azione ai sensi dell’art.
5, terzo comma, della 1. n. 117 del 1988, piuttosto che per la non configurabilità dei
comportamenti dei due collegi penali come caratterizzati da colpa grave, ancora prima per
l’inidoneità dei fatti costitutivi dell’azione risarcitoria ad evidenziare in astratto una
fattispecie di responsabilità per danno ingiusto cagionato da detti comportamenti.
Queste le ragioni.
§3.1.1. Va considerato che, come è emerso dall’esposizione della vicenda
, processuale penale nella fase ordinaria, se è vero che il Collegio che pronunciò come
giudice del primo rinvio la sentenza n. 1 del 1994 rese una decisione errata per come
risultò dalla sentenza di questa Corte che la cassò, tuttavia, l’esito finale del processo
penale, risultante dal rigetto del ricorso per cassazione contro la successiva sentenza
emessa in sede di rinvio, cioè la sentenza n. 15 del 1995, fu nel senso della conferma della
responsabilità penale del Morrone.
Poiché il danno ingiusto lamentato dal Morrone era ed è rappresentato dal
riconoscimento della responsabilità penale e tale responsabilità risultò accertata
definitivamente con la sentenza di questa Corte che rigettò il ricorso contro la sentenza n.
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Est. C ns. Raffaele Frasca

R.g.n. 2031-13 (ud. 30.4.2014)

15 del 1995, è palese che detto danno risulterebbe in tesi determinato soltanto dall’esito
finale del giudizio penale ordinario e, dunque, dalla sentenza della Corte di cassazione.
In altri termini il danno ingiusto prospettato dal Morrone non risulta in alcun modo
determinato dalla sentenza n. 1 del 1994, dato che, se anche essa aveva erroneamente
pronunciato in sede di rinvio ed era stata cassata, la discussione sulla responsabilità penale
era rimasta aperta, come dimostra il successivo giudizio di rinvio deciso dalla sentenza n.
15 del 1995 e poi la sentenza della Corte di cassazione n. 247 del 1996.

§3.1.2. Un danno ingiusto in ipotesi ascrivibile alla sentenza n. 1 del 1994 si sarebbe
potuto configurare, a ben vedere, non già con riferimento alla responsabilità penale
riconosciuta in via definitiva solo dalla sentenza n. 247 del 1996, ma sotto un eventuale
diverso profilo, cioè come danno sofferto in conseguenza dell’aver dovuto ricorrere in
Cassazione contro la stessa sentenza n. 1 del 1994. Ma, ammesso che si fosse potuto
configurare un simile danno, esso non è stato fatto valere come tale, avendo il Morrone
lamentato il danno da riconoscimento della responsabilità penale.
§3.1.3. Un discorso analogo ed a maggior ragione deve farsi per siffatto danno
siccome, nella prospettazione del Morrone, originato dalla sentenza n. 15 del 1995.
Il ricorso per cassazione contro tale sentenza è stato rigettato dalla Corte di
cassazione con la sentenza n. 247 del 1996 e, conseguentemente, la detta sentenza è stata
riconosciuta come “giusta”. Ne deriva che l’eventuale errore da cui essa era affetta e che
secondo il Morrone avrebbe integrato la colpa grave dei magistrati che la pronunciarono,
se era stato dedotto con il ricorso per cassazione sarebbe stato un errore avallato dalla
sentenza di cassazione e, dunque, la fattispecie costitutiva del preteso danno sarebbe stata
ascrivibile ad essa, mentre, se non fosse stato dedotto con il ricorso per cassazione sarebbe
stato un danno imputabile allo stesso Morrone, dato che non a caso l’art. 4, comma 2, della
1. n. 117 del 1988 subordina l’esercizio dell’azione di responsabilità di cui alla legge
all’esperimento dei mezzi ordinari di impugnazione.
§3.2. Dalle svolte considerazioni emerge allora che l’azione esercitata dal Morrone
avrebbe dovuto essere ritenuta manifestamente infondata, siccome ammette la logica del
giudizio di ammissibilità, emergente dal comma 3 dell’art. 5 della legge, perché i fatti
dedotti a suo fondamento – in quanto evocanti comportamenti di pretesa colpa grave
cagionatori di un danno, rappresentato dal riconoscimento della penale responsabilità, che
non risultava determinato dalle due sentenze delle corti di rinvio, bensì, ipoteticamente,
dalla sentenza della Corte di cassazione – avrebbero dovuto riconoscersi in modo manifesto

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Est. Consì Raffaele Frasca

R.g.n. 2031-13 (ud. 30.4.2014)

del tutto inidonei ad evidenziare, al livello della fattispecie astratta, una responsabilità dei
collegi delle due sentenze di rinvio.
Ciò, perché non risultava, in base alle stesse allegazioni poste a fondamento della
domanda, che il danno fosse stato da esse originate, ma, invece, che esso — in ipotesi —
sarebbe stato ascrivibile alla sentenza di cassazione, che aveva avallato la seconda
decisione di rinvio.
§3.3. L’azione del Morrone avrebbe dovuto, dunque, dichiararsi inammissibile per

manifesta infondatezza sotto il profilo ora detto perché fondata su fatti inidonei a
giustificarla.
La motivazione del decreto impugnato si intende corretta nei sensi appena indicati
sulla base del seguente principio di diritto: «quando in un processo penale la

responsabilità penale, pur dopo la cassazione con rinvio di sentenze emesse nel
giudizio di appello, sia stata confermata dalla Corte di cassazione in sede di ricorso
contro l’ultima decisione emessa in sede di rinvio, ove il responsabile intenda
esercitare un’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2 della I. n. 117 del 1988 per il
risarcimento del danno ingiusto rappresentato dall’affermazione della responsabilità
penale, poiché tale danno risulterebbe determinato in via definitiva solo per effetto
della sentenza della Corte di cassazione, si deve ritenere che, qualora l’azione di
responsabilità deduca a suo fondamento soltanto pretesi comportamenti integranti

4

colpa grave dei collegi di merito che si pronunciarono in sede di rinvio, essa risult01/4
manifestamente infondata, in quanto pone a suo fondamento fatti costitutivi del tutto

r

inidonei a giustificare in astratto l’invocata responsabilità per il detto danno, li n

i

quanto fatto costitutivo di un simile danno potrebbe essere rappresentato solo dalla
pronuncia della Corte di cassazione, che ha determinato in via definitiva
l’affermazione di responsabilità che si sostiene affetta da colpa grave, e potendo
invece alla decisione dei collegi di rinvio soltanto imputarsi, eventualmente, danni
diversi da quello rappresentato dall’affermazione della detta responsabilità.».
Il principio che qui si enuncia appare giustificato anche al lume del dato normativo
che emerge dall’art. 4, comma 2, della 1. n. 117 del 1988, che ammette l’azione risarcitoria
contro lo Stato «soltanto quando sano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione».
Poiché nella specie eventuali errori di valutazione commessi dalle due Corti di rinvio
si sono potuti rimediare, come sono stati rimediati, con l’esercizio del diritto di ricorrere
per cassazione e l’affermazione della penale responsabilità del Morrone era stata
definitivamente confermata dalla Corte di cassazione in sede penale nel giudizio ordinario
9
Est. ons. Raffaele Frasca

R.g.n. 2031-13 (ud. 30.4.2014)

e poiché solo il giudizio di revisione (basato su elementi nuovi) ha potuto eliminare
l’affermazione di responsabilità (e, quindi, la fonte del danno lamentato), i detti eventuali
errori non risultano avere determinato detta affermazione e dunque male sono stati
prospettati come fatti costitutivi dell’azione di responsabilità già al livello della
formulazione astratta della domanda e, quindi, del diritto con essa fatto valere. Essi, come
s’è già detto, potrebbero — in ipotesi — avere cagionato al Morrone solo un danno di tipo
diverso da quello invocato, emergente dall’avere dovuto sostenere il costo e gli effetti del

processo penale per la durata che non si sarebbe avuta se, in mancanza degli ipotetici
errori, la sua responsabilità fosse stata affermata in via definitiva prima di quanto lo fu.
Ma, come si è detto, l’azione non ha inteso far valere un simile ipotetico danno.
Il ricorso dev’essere, dunque, rigettato con la disposta correzione della motivazione,
senza che occorre scrutinare i due motivi, i quali, se fossero scrutinati, comunque
sarebbero infondati.
§4. In ordine al regolamento delle spese del giudizio di cassazione dev’essere
considerata, ma non è decisiva, l’eccezione — comunque rilevabile d’ufficio – di
inammissibilità del controricorso, formulata da parte ricorrente, in quanto esso non è stato
depositato ai sensi del comma 4, terzo inciso, della 1. n. 117 del 1988.
Detta eccezione è fondata, atteso che è stato già statuito che <

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