Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17962 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. II, 27/08/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 27/08/2020), n.17962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19479-2019 proposto da:

N.M., elettivamente domiciliato in Fermignano (PU), via R.

Ruggeri n. 2/a, presso lo studio dell’avv.to GIUSEPPE BRIGANTI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2925/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 11/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza pubblicata l’11 dicembre 2018, respingeva il ricorso proposto da N.M., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Ancona aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. La Corte d’Appello riteneva che le dichiarazioni rese dal richiedente non fossero attendibili e che il giudice di primo grado avesse correttamente valutato l’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle situazioni soggettive invocate per ottenere la protezione internazionale.

Il richiedente aveva raccontato di avere un piccolo bazar e che un giorno aveva conosciuto un tale, G.H., che gli aveva proposto di vendere libri, che dopo alcuni mesi era stato arrestato dalla polizia per propaganda politica, era riuscito a fuggire e aveva lasciato il (OMISSIS) nel 2011 per paura di essere arrestato. Il racconto suscitava dubbi sull’attendibilità come già evidenziato dalla commissione in merito alla circostanza che un noto esponente politico dell’opposizione quale era G.H. potesse proporre ad uno sconosciuto di fare azione politica attraverso la vendita di libri pur sapendo che non c’era libertà di stampa. In ogni caso rispetto al 2011 la situazione nel (OMISSIS) era notevolmente mutata con l’elezione del nuovo presidente, il quale aveva assunto l’onere di costruire le fondamenta di uno Stato libero e di ripristinare il rispetto dei diritti umani, tanto che anche l’Unione Europea aveva già instaurato nuovi rapporti e stanziato aiuti economici cospicui.

Mancava completamente il requisito dell’effettività ed attualità del rischio richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b per la concessione della protezione sussidiaria, nonchè il requisito della presenza di un conflitto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c considerato che in (OMISSIS) la situazione non poteva essere assimilata a quella di un conflitto armato tale da determinare un pericolo per il richiedente per il solo fatto del rientro nel paese di origine.

Infine, anche per quanto riguardava la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, confermava la correttezza delle argomentazioni del primo giudice in assenza di seri motivi di carattere umanitario, risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano richiesti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 peraltro neppure allegati dal ricorrente. Stante la diversità dei presupposti di tale misura rispetto a quelle di protezione internazionale sussidiaria non risultavano riscontrabili nel caso all’esame specifiche situazioni soggettive legate ad una condizione di particolare vulnerabilità del ricorrente, nè erano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità.

3. N.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e art. 132 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorrente lamenta lacune motivazionali del provvedimento impugnato. La vicenda narrata dal richiedente, cittadino del (OMISSIS) partito dal proprio paese dopo essere sfuggito all’arresto per ragioni politiche, avendo venduto nel proprio bazar libri a favore della democrazia e non graditi al regime dell’epoca, non sarebbe stata sufficientemente presa in esame dalla Corte d’Appello, tenuto conto anche della situazione del paese di origine in rapporto alla specifica vicenda narrata. Peraltro, mancherebbe ogni riferimento preciso a fonti internazionali e anche al percorso migratorio che aveva visto il ricorrente trascorrere circa cinque anni in Libia. Inoltre, non potrebbe escludersi la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in (OMISSIS).

La motivazione del provvedimento impugnato sarebbe carente anche con riferimento alla domanda di riconoscimento di protezione per motivi umanitari, in relazione all’effettiva valutazione comparativa circa la condizione attuale del richiedente e quella che troverebbe nel paese di origine, e non si sarebbe tenuto conto neanche degli obblighi internazionali dell’Italia e del lungo percorso migratorio compiuto dal richiedente. Tale ultima circostanza, risultando del tutto omesso nella motivazione, costituirebbe ancora omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio avente ad oggetto l’effettivo radicamento in Libia.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – dell’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost., L. n. 881 del 1977, art. 11, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32 e dell’art. 16 direttiva Europea n. 2013/32 nonchè degli artt. 2, 3 – anche in relazione agli artt. 115 e 117 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,6,7 e 14 e al T.U. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2.

Il ricorrente lamenta la violazione del dovere di cooperazione istruttoria non essendo state formulate domande specifiche al richiedente in sede di interrogatorio libero, non essendo stato attivato il potere di acquisire informazioni attendibili sulla situazione del paese di provenienza.

Le fonti informative di cui tenere conto devono essere attuali ed i fatti narrati devono essere messi in relazione con le condizioni sociopolitiche generali del paese di origine. Nel provvedimento impugnato non sarebbe neanche specificata la capacità o meno del (OMISSIS) di offrire protezione. Anche in questo caso non sarebbe stato preso in esame il percorso migratorio.

Con riferimento alla domanda di protezione umanitaria il ricorrente lamenta la mancanza di una valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e quella del paese di origine al fine di valutare la vulnerabilità oggettiva e soggettiva.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – degli artt. 6 e 13 CEDU, dell’art. 47Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32.

La censura attiene al mancato rispetto del principio di effettività del ricorso in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria, lo stato membro interessato avrebbe un dovere di cooperare attivamente mediante l’acquisizione di tutti gli elementi atti a sostenere la domanda.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e dell’art. 132 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6.

In subordine omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; in ulteriore subordine violazione e/o falsa applicazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 14 e del T.U. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2.

La censura attiene nuovamente alla omessa valutazione del percorso migratorio e al radicamento del richiedente in Libia dove sarebbe costretto in caso di rimpatrio a tornare, non avendo più legame o punto di appoggio in (OMISSIS).

4.1 I motivi che, stante la loro evidente connessione, possono essere trattati congiuntamente, sono fondati solo con riferimento all’omessa motivazione sulle ragioni del rigetto della protezione umanitaria, e sono in parte inammissibili e in parte infondati nel resto.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Nel caso di specie la Corte d’Appello ha dato atto dei criteri in base ai quali valutare il racconto del richiedente, tenuto conto anche dell’onere probatorio attenuato e ha ampiamente motivato in ordine alle ragioni di non credibilità, sicchè il motivo si rivela del tutto infondato.

La critica formulata nei motivi costituisce, infatti, una mera contrapposizione alla valutazione che la Corte d’Appello ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. Peraltro, la ritenuta non credibilità del racconto rende priva di rilevanza la censura, costituendo un’autonoma ratio decidendi, idonea a sorreggere la decisione di rigetto della domanda.

Come si è detto, la Corte d’Appello ha ampiamente motivato sia sulla non credibilità del racconto circa la persecuzione politica per aver venduto libri a favore della democrazia sia sulla situazione complessiva della (OMISSIS), sicchè è del tutto evidente che non vi è stato alcun omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente lamenta il riferimento a fonti non aggiornate ma non indica altre fonti più recenti che siano idonee a smentire quanto accertato dal Tribunale.

Il ricorrente, inoltre, deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla sua vicenda personale ed alla situazione generale del (OMISSIS), attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, sia quanto alla credibilità dei fatti narrati, sia quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.

Come si è detto,il Tribunale ha ritenuto generico ed inverosimile il racconto del richiedente, indicando le incongruenze e contraddizioni riscontrate. Ha inoltre esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine ed in particolare della regione di provenienza del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese di provenienza, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14 lett. a) e lett. b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, la censura proposta con il secondo motivo è fondata perchè manca del tutto, nella motivazione del provvedimento impugnato, la valutazione comparativa tra la odierna situazione del ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio in (OMISSIS).

Sul punto la sentenza, infatti, si limita a dire, con motivazione tautologica, che non si ravvisano i presupposti per la protezione umanitaria.

In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in favore del cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza. Nella specie, come si è detto, tale giudizio comparativo manca del tutto e la pronuncia impugnata deve essere cassata.

5. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta i restanti motivi, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Ancona che valuterà la sussistenza o meno dei presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, tenendo conto anche della nota fatta pervenire dalla Questura di Pesaro circa il fatto che il richiedente è stato più volte indagato per spaccio di sostanze stupefacenti e porto abusivo di armi e per essere stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale.

La Corte d’Appello deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta i restanti motivi, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Ancona che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

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