Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1796 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 28/01/2021), n.1796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34556-2018 proposto da:

VEGA EDITRICE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 281, presso lo

studio dell’avvocato NICOLA ROMANO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCO A. GRILLI;

– ricorrente –

contro

MERKER SPA IN AMMISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del Commissario

Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PAOLO EMILIO 34, presso lo studio dell’avvocato QUIRINO D’ANGELO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO BASILAVECCHIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1617/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 7/9/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 5/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO

PAZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Pescara, con sentenza del 30 settembre 2011, respingeva la domanda presentata da Merker s.p.a. in A.S. perchè venisse dichiarata l’inefficacia, ex art. 67, comma 2, l. fall., del pagamento di Euro 28.818,31 effettuato dalla compagine in bonis in favore di Vega Editrice s.r.l. in data 2 ottobre 2002;

2. la Corte d’appello di L’Aquila, a seguito dell’impugnazione proposta da Merker s.p.a. in A.S., reputava, in via preliminare, che l’appello fosse stato proposto nel rispetto dei presupposti di cui all’art. 342 c.p.c.;

nel merito la Corte territoriale riteneva che la decisione impugnata fosse viziata da una illogicità di fondo nel metro di valutazione delle prove raccolte, poichè il primo giudice aveva valorizzato aspetti del tutto marginali e di dubbia valenza dimostrativa, svilendo nel contempo gli elementi probatori che costituivano diretta espressione di un disagio nei rapporti commerciali;

le plurime circostanze emergenti dalla congerie istruttoria (costituite dal fatto che il pagamento si riferiva a fatture emesse dal gennaio 2001 al marzo 2002, dai numerosi provvedimenti monitori emessi ai danni di Merker s.p.a., da ipoteche giudiziarie iscritte e procedure esecutive immobiliari avviate in suo danno, dal contenuto del bilancio per l’esercizio 2001, dalle notizie diffuse anche sulla stampa nazionale sulla difficile situazione finanziaria in cui versava la debitrice e dall’abitualità dei rapporti commerciali intrattenuti) inducevano invece a ritenere – a parere dei giudici territoriali – che la creditrice avesse una conoscenza dello stato di insolvenza di Merker s.p.a. al momento dell’esecuzione del pagamento;

in virtù di questi argomenti la Corte di merito, in accoglimento dell’appello proposto, revocava, ex art. 67, comma 2, l. fall., il pagamento eseguito da Merker s.p.a. in favore di Vega Editrice s.r.l. e condannava l’appellata a corrispondere a Merker s.p.a. in A.S. la somma di Euro 28.818,31, oltre accessori e spese;

3. per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 7 settembre 2018, ha proposto ricorso Vega Editrice s.r.l. prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso Merker s.p.a. in A.S..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in quanto l’appellante si sarebbe limitata a riproporre le argomentazioni svolte nel giudizio di primo grado al fine di ottenere una diversa statuizione e avrebbe trascurato di indicare, rispetto alla sentenza appellata, le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto nonchè le circostanze da cui assumeva che fosse derivata la denunciata violazione di legge;

la Corte d’appello, a fronte di questa eccezione, si sarebbe limitata a ravvisare la ritualità dell’impugnazione, omettendo però qualsivoglia precisazione o motivazione al riguardo;

4.2 il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 348-bis c.p.c.: la sentenza del Tribunale di Pescara – in tesi di parte ricorrente – era immune da censure, ineccepibile sotto un profilo logico-giuridico e congruamente motivata in merito all’insufficienza della prova della scientia decoctionis in capo all’accipiens e alla non conoscenza dello stato di decozione;

a fronte di un atto di appello che si risolveva in una mera richiesta di revisione di questa valutazione la Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di rilevare la nullità e/o l’inammissibilità del gravame, in violazione dell’art. 348-bis c.p.c.;

5. i motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro parziale sovrapponibilità, sono inammissibili;

l’art. 342 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile al caso di specie, a mente dell’art. 54, comma 2, del D.L. citato, poichè l’atto di citazione in appello è stato notificato il 12 novembre 2012, dopo l’entrata in vigore della norma), va interpretato – secondo la giurisprudenza di questa Corte – nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice; non occorrono invece l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass., Sez. U., 27199/2017);

la Corte di merito ha fatto corretta applicazione di questo principio, in quanto l’affermazione (pag. 4) secondo cui l’appello era “stato ritualmente proposto nel sostanziale rispetto dei presupposti di cui all’art. 342 c.p.c., essendo ben chiare e specifiche le censure mosse alla decisione impugnata a seguito a una dettagliata spiegazione (compiuta nella pagina precedente) delle censure sollevate dall’appellante con riferimento alla valutazione degli elementi istruttori disponibili (lett. a, pag. 3) e all’erronea interpretazione attribuita all’art. 67, comma 2, l. fall., laddove era stata affermata la necessità di ravvisare un favor per il convenuto;

i motivi in esame non si confrontano in alcun modo con la motivazione offerta dal collegio d’appello, limitandosi a reiterare il tenore delle doglianze illustrate con i motivi di appello;

ne discende la loro inammissibilità, non solo a causa della mancanza dei caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata che il ricorso per cassazione deve necessariamente avere (Cass. 6587/2017, Cass. 13066/2007), ma anche perchè nel ricorso per cassazione la parte non può limitarsi alla mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, operando così una mera contrapposizione del suo giudizio e della sua valutazione a quella espressa dalla sentenza impugnata senza considerare le ragioni offerte da quest’ultima e confrontarsi criticamente con le stesse (Cass. 11098/2000);

6. con il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. con riferimento all’art. 67, comma 2, l. fall., in quanto la decisione impugnata avrebbe commesso un errore di percezione con riferimento alle prove offerte, da una parte fondando la propria valutazione su elementi di fatto non forniti o tratti da sentenze non prodotte in giudizio, dall’altra accettando acriticamente le argomentazioni addotte dall’appellante;

sussisterebbe così – a dire di parte ricorrente – un contrasto logico fra le premesse del ragionamento inferenziale e la valutazione degli elementi di prova acquisiti;

7. il motivo è inammissibile;

la sentenza impugnata, nell’individuare una serie di circostanze di fatto al fine di inferirne la prova di un’effettiva scienti a decoctionis, ha indicato con puntualità i documenti ritualmente prodotti in giudizio da cui le stesse erano state evinte;

la doglianza si astrae, ancora una volta, dal contenuto della decisione impugnata ed assume l’avvenuto utilizzo di documentazione estranea alla congerie istruttoria, nonostante il ripetuto rimando compiuto dalla Corte distrettuale ai documenti prodotti al fine di dare conto del proprio convincimento;

va detto, poi, che l’errore di valutazione delle prove, consistente nel ritenere la fonte di prova dimostrativa o meno del fatto che con essa si intendeva provare, non è sindacabile in sede di legittimità, non essendo previsto dalla tassonomia dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c. (Cass. 9356/2017);

infine, la doglianza è inammissibile laddove, sotto le spoglie dell’eccepita violazione di legge processuale, tenta di introdurre un sindacato di fatto sull’esito della prova documentale;

in proposito occorre richiamare il principio secondo cui, in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo questa attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato “della valutazione delle prove” (v. Cass. 11892/2016, Cass. 24548/2016, Cass. 5009/2017 e Cass., Sez. U., 15486/2017);

8. il quarto motivo di ricorso assume il carattere apparente della motivazione, e la conseguente nullità della sentenza impugnata, nella parte in cui la stessa rappresenta che il giudice di merito non poteva distinguere, in presenza di segnali di sofferenza, situazioni di maggiore o minore gravità della crisi in cui versava l’impresa, dato che lo stato di insolvenza era presunto per legge nel periodo sospetto;

questa apparenza della motivazione deriverebbe dal fatto che il primo giudice in realtà si era limitato ad analizzare singolarmente gli indici presuntivi ai fini di trarne la prova della conoscenza dello stato di insolvenza da parte di Vega Editrice s.r.1., astenendosi però dal compiere qualsiasi accertamento afferente la maggiore o minore diligenza tenuta dall’accipiens ovvero l’epoca in cui la condizione di insolvenza si era manifestata ed era divenuta conoscibile;

9. il ricorrente trae argomento al fine di sostenere l’apparenza della motivazione dal fatto che il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte (in merito al fatto che lo stato di insolvenza dell’imprenditore nel cd. periodo sospetto forma oggetto di una presunzione iuris et de iure conseguente all’apertura della procedura concorsuale, cosicchè il convenuto in revocatoria non è ammesso a provare che, nel periodo suddetto, il debitore versava in una situazione di sola temporanea difficoltà ad adempiere, potendo solamente contestare la percezione dei sintomi del dissesto con l’allegazione, se del caso, dei fatti dimostrativi della propria inscientia decoctionis; cfr. Cass. 803/2016) non trovava alcuna giustificazione nei motivi illustrati all’interno della decisione di primo grado;

la parte della decisione indicata quale sintomo di apparenza della motivazione, perchè del tutto ingiustificata, risulta però evidentemente svolta ad abundantiam, al termine di una lunga elencazione di elementi sintomatici della presumibile conoscenza della condizione di insolvenza e non costituisce una ratio decidendi della statuizione impugnata;

ne discende l’inammissibilità della critica;

infatti, un’affermazione siffatta contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. 8755/2018, Cass. 23635/2010);

10. in conclusione, in forza delle ragioni in precedenza illustrate, il ricorso deve essere respinto;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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