Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17959 del 13/09/2016


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Cassazione civile sez. II, 13/09/2016, (ud. 19/07/2016, dep. 13/09/2016), n.17959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.M. e C.E., rappresentati e difesi, in forza

di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv. Roberto

Materazzi e Adolfo Zini, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Tacito, n. 41;

– ricorrenti –

contro

C.E.T. di D.M. s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro procura speciale tempore, rappresentata e difesa,

in forza di in calce al controricorso, dall’Avv. Maurizio Grifoni,

con domicilio eletto in Roma, viale Giulio Cesare, n. 59, presso lo

studio dell’Avv. Linda Maria Di Rico;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia in data 14

giugno 2010.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19

luglio 2016 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi gli Avv. Roberto Maria Materassi e Maurizio Grifoni;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per

l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo

motivo.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Con decreto provvisoriamente esecutivo dell’11 giugno 2001, il Tribunale di Terni ingiungeva a A.M. e a C.E. di pagare a D.A.M., titolare dell’impresa individuale C.E.T., la somma di Lire 170.204.446, oltre IVA ed accessori, a titolo di saldo per lavori di ristrutturazione eseguiti in economia su di un immobile sito in (OMISSIS).

Avverso il provvedimento monitorio proponevano opposizione l’ A. e la C..

Gli attori in opposizione sostenevano che, a fronte di un ammontare dei lavori indicato dal D.A. in Lire 566.000.000, con IVA, essi avevano versato la somma di Lire 395.896.000, sospendendo poi ogni ulteriore pagamento, in quanto la pretesa dell’appaltatore era superiore ai lavori effettivamente eseguiti, per un importo di Lire 206.000.000.

Gli opponenti spiegavano quindi domanda riconvenzionale per ottenere la condanna del ricorrente alla restituzione della somma di Lire 36.000.000 corrisposta in più e al risarcimento del danno.

Si costituiva il D.A., resistendo.

1.1. – Con sentenza in data 11 novembre 2003, il Tribunale di Terni dichiarava inammissibile ogni domanda ulteriore rispetto a quella formulata negli atti introduttivi, dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla eccepita decadenza e prescrizione, respingeva l’opposizione e la domanda riconvenzionale, confermando il decreto ingiuntivo e condannando gli opponenti alla refusione delle spese di lite.

1.2. – Il Tribunale dava atto preliminarmente che la contestazione degli opponenti riguardava “il prezzo dell’appalto e delle singole opere eseguite ed in particolare della manodopera, prezzo che non corrisponde a quello pattuito nel contratto”.

Il Tribunale riteneva poi preclusa agli opponenti la richiesta di accertamento della rispondenza tra le somme richieste e quelle risultanti a seguito della misurazione precisa di ogni attività effettivamente realizzata tenendo conto dei prezzi concordati: ciò in quanto “l’opera deve intendersi accettata e per quanto riguarda l’esecuzione della stessa a regola d’arte…. e per quanto riguarda il quantum richiesto per l’opera stessa”.

“Gli opponenti – si legge nella sentenza del Tribunale -, invero, hanno ricevuto gli estratti conto con gli allegati rapportini giornalieri pagando, come dagli stessi affermato, un notevole importo, con un assegno e con bonifici bancari. I rapportini indicano, per la quasi totalità, i lavori effettuati nei vari giorni, materiali impiegati e le ore lavorate degli operai. E’ vero che questi ultimi non vengono indicati, nominativamente, come, invece, concordato nel contratto di appalto, ma è anche vero che nulla è stato mai contestato sul punto dagli opponenti, tanto è vero che, come affermato dagli stessi opponenti, questi ultimi hanno corrisposto, a seguito degli estratti conto, notevoli importi. Posto che, come visto, l’opera deve ritenersi accettata non avendo gli opponenti sollevato contestazione sull’esecuzione della stessa a regola d’arte, l’opposta ha diritto ad ottenere il residuo pagamento ex art. 1665 c.c., u.c., in quanto gli opponenti, committenti dell’opera, non possono chiedere ora di valutare l’importo dei lavori eseguiti, con misurazione degli stessi e calcolo delle ore della manodopera, posto che i predetti nulla hanno mai eccepito in ordine agli importi richiesti con gli stati di avanzamento”.

Secondo il Tribunale, stante la condotta tenuta dai committenti e attesa la clausola contrattuale contenuta nell’art. 12 (secondo cui il direttore dei lavori, da nominarsi dai committenti, avrebbe dovuto effettuare tutte le opportune verifiche relative ad ogni stato di avanzamento entro il termine massimo di gg. 30 dal compimento di ogni singolo mese), “gli opponenti non possono più porre in discussione gli importi richiesti in base alla contabilità redatta dalla impresa, contabilità che era onere dei committenti far controllare da un direttore dei lavori di loro nomina”. “Non avendo a ciò provveduto, le eventuali conseguenze negative di tale omissione non possono farsi ricadere sulla impresa opposta, la quale, pur essendo decorso un notevole lasso di tempo dalla ultimazione dei lavori, vedrebbe rimesso in discussione l’intero risultato economico del contratto di appalto”.

2. – La Corte d’appello di Perugia, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 14 giugno 2010, ha respinto il gravame dell’ A. e della C., previa correzione della motivazione della pronuncia del Tribunale.

2.1. – La Corte d’appello ha rilevato che il Tribunale aveva considerato la mancata contestazione – essendo stato l’avanzamento formato dall’appaltatore – come prova del diritto di quest’ultimo ed ha corroborato tale convincimento con riferimento alla tardività della contestazione ed al fatto del rilascio dei titoli in pagamento, poi non bancati dal prenditore.

La Corte di Perugia non ha condiviso questo ragionamento, e ciò in quanto l’accettazione dell’opera, se può servire per escludere il diritto alla garanzia e per costituire presupposto per l’esigibilità del credito dell’appaltatore, non lo esime dal fornire la prova della concreta spettanza del suo credito, quando è la quantificazione di questo che sia contestata, anche oltre il termine previsto per la verifica frazionata.

Di qui la necessità, secondo la Corte d’appello, di sottoporre a verifica il corrispettivo spettante all’appaltatore attraverso l’unico strumento obiettivamente a disposizione, cioè attraverso la consulenza tecnica d’ufficio.

La Corte d’appello dà quindi atto che il consulente tecnico d’ufficio, dopo avere ripercorso le disposizioni del contratto d’appalto, ha indicato in Lire 457.000.000 circa il prezzo congruo d’appalto, secondo tariffe ed usi correnti, per la ristrutturazione del piano terra e del primo piano, per una superficie totale di mq. 500 circa.

La Corte di Perugia ha tuttavia ritenuto fondati i rilievi alla c.t.u. svolti dal consulente di parte dell’appaltatore, considerando che “i rapportini sottoscritti dalle parti, seppure non possono costituire elemento di riconoscimento dell’importo dovuto, tuttavia implicano comunque il riconoscimento dell’effettuazione dei lavori ivi contemplati, come del resto è anche emerso dal complesso degli accertamenti peritali, a prescindere dall’inattendibilità intrinseca per quanto concerne le ore lavorate, inattendibilità che ha indotto la Corte ad ammettere la consulenza tecnica d’ufficio”.

La Corte territoriale ha altresì ritenuto fondata l’osservazione “concernente la mancata considerazione dei lavori effettuati nel fabbricato principale, negli appartamenti al grezzo e relativi alle sistemazioni esterne, di cui effettivamente non si rinviene menzione nella consulenza d’ufficio e negli allegati, consulenza che si riferisce alle opere del piano terra e del primo piano”.

Di qui la conclusione che “la differenza tra la contabilizzazione effettuata dall’appellato ed il prezzo ricostruito dal consulente tecnico d’ufficio è ampiamente compresa nell’ulteriore costo, per ore lavorate ed interventi effettuati, riferibile sia alla carenza della direzione tecnica, sia all’intervento eseguito e non preso in considerazione dal consulente tecnico d’ufficio”; e che “l’importo portato dal decreto ingiuntivo, anche secondo la determinazione giudiziale effettuata ai sensi dell’art. 1657 c.c., risulta congruo”.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’ A. e la C. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 27 luglio 2011, sulla base di due motivi.

Vi ha resistito, con controricorso, la C.E.T. di D.M. s.r.l., succeduta alla C.E.T. Costruzioni Edili Terni di D.M. in virtù di conferimento di impresa individuale.

In prossimità dell’udienza pubblica entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – La parte controricorrente ha eccepito l’inesistenza della notifica del ricorso per cassazione e la conseguente decadenza della parte ricorrente dall’impugnazione, e ciò in quanto, in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza della Corte d’appello, la C.E.T. Costruzioni Edili Terni di D.M. è stata conferita nella società a responsabilità limitata denominata C.E.T. di D.M. s.r.l., per atto notaio Dott. Fulvio Sbrolli di Terni in data 17 dicembre 2010, con conseguente cancellazione della ditta individuale dal registro delle imprese a far data dall’11 gennaio 2011.

1.1. – L’eccezione è infondata.

Il giudizio di merito si è svolto nei confronti dell’appaltatore D.M., titolare della ditta individuale C.E.T., e nei suoi confronti è avvenuta la notificazione del ricorso per cassazione, effettuata il 27 luglio 2011 presso il difensore domiciliatario nel giudizio di appello, Avv. Pierluigi Fiori.

Non determina inesistenza della notificazione la circostanza che, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata e anteriormente alla proposizione del ricorso per cassazione, il complesso aziendale dell’impresa individuale del D. sia stato conferito nella società a responsabilità limitata C.E.T. di D.M. e che, di conseguenza, la ditta individuale sia stata cancellata dal registro delle imprese. Infatti, il conferimento di azienda individuale in una società di capitali costituisce una cessione d’azienda e, sotto il profilo processuale, non comporta una successione a titolo universale, ma configura un’ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, disciplinata dall’art. 111 c.p.c., con la conseguenza che il conferente conserva, quale sostituto processuale del cessionario, la legittimazione processuale, comprensiva della legittimazione a rendersi destinatario della notifica del ricorso per cassazione rivolto contro la sentenza di merito che lo vedeva come parte del processo. In questo senso è la giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha stabilito (Sez. 2, 2 luglio 2013, n. 16556) che la trasformazione di un’impresa individuale in una società di capitali non è riconducibile alla trasformazione societaria, in quanto uno dei termini del rapporto è estraneo all’ambito delle società, trattandosi, invece, di un trasferimento a titolo particolare, nelle forme del conferimento o della cessione di un diritto dell’imprenditore individuale all’impresa collettiva per atto tra vivi, atteso che l’estinzione dell’impresa individuale non costituisce il presupposto del trasferimento stesso.

2. – Passando al merito del ricorso, con il primo motivo (violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1657 e 2697 c.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) i ricorrenti rilevano di avere, nel giudizio di merito, contestato l’anomalo addebito di mano d’opera sia nei lavori eseguiti a misura che in quelli eseguiti in economia, sicchè spettava all’appaltatore provare l’entità e la natura dei lavori effettivamente eseguiti e non pagati dai committenti, non potendo tale prova essere rappresentata dagli stati d’avanzamento, unilateralmente predisposti dall’appaltatore, nè dai rapportini giornalieri. In questo contesto, il giudice d’appello non poteva sopperire a tale onere probatorio con il potere conferito ai sensi dell’art. 1657 c.c.. Ad avviso dei ricorrenti, il giudice potrebbe integrare eventuali deficienze probatorie soltanto limitatamente al corrispettivo e non riguardo alla natura ed entità dei lavori effettivamente realizzati.

Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 115, 116, 62, 195 e 196 c.p.c., nonchè insufficiente, omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) ci si duole che la Corte di Perugia si sia discostata, con la propria decisione, dalle risultanze delle due c.t.u. disposte, aderendo alle contestazioni del consulente di parte dell’appellato, senza neppure richiamare, a chiarimenti, il consulente d’ufficio o disporre una rinnovazione delle indagini.

2.1. – Il primo motivo è fondato.

2.2. – Dalla sentenza impugnata emerge che l’appalto riguardava lavori da eseguire sia a misura che in economia, e che, secondo le pattuizioni contrattuali, i lavori in economia dovevano essere giustificati da bollette giornaliere con la descrizione dei lavori eseguiti, l’elenco nominativo degli operai addetti e la specifica delle ore impiegate. Le contestazioni degli opponenti – precisa ancora la sentenza – “non concernono nè l’esecuzione delle opere come risultanti dagli stati di avanzamento, nè l’effettuazione a regola d’arte delle stesse, nè, ancora, l’effettuazione di opere parte a misura e parte in economia”; la controversia riguarda “la corrispondenza del compenso vantato con i dati oggettivi, secondo le pattuizioni contrattuali”.

Dopo avere affermato, correggendo l’impianto della sentenza del Tribunale, che la contestazione, da parte dei committenti, della pretesa creditoria dell’appaltatore non era “certo preclusa dall’adesione precedente a conteggi predisposti dall’appaltatore, indipendentemente dalla mancata nomina di un direttore dei lavori”, la Corte d’appello ha dato atto di avere esperito una consulenza tecnica d’ufficio, con l’affidamento al consulente dell’incarico di determinare “le opere effettivamente eseguite dall’appellata, il prezzo risultante sulla base del prezziario allegato al contratto e quello regionale per le opere eseguite in economia…, tenendo conto che, per i lavori in economia, il prezzo unitario della mano d’opera era quello pattuito dalle parti, per quanto previsto”.

Il consulente tecnico d’ufficio, nel rispondere ai quesiti, ha precisato – come risulta dal testo della sentenza – di non essere in grado “di stabilire con certezza le opere eseguite”: e ciò, oltre che per la mancanza della figura tecnica di riferimento del direttore dei lavori, perchè, in particolare, “(i)n ordine alle opere in economia, una sommaria valutazione dei rapportini di lavoro forniti dalla ditta CET e riportati negli stati di avanzamento non permetteva di fornire risposte certe, perchè alcune potevano essere valutate come eseguite a misura e nello stesso tempo in economia e quindi conteggiate due volte; questo anche perchè detti rapportini, contrariamente a quanto previsto dall’art. 14 del contratto, non riportavano sempre la specifica descrizione dell’opera eseguita, il nominativo dell’esecutore ed i tempi tecnici utilizzati”.

In questo contesto – dopo avere ulteriormente dato atto della “oggettiva difficoltà di ricostruzione” e di avere incaricato il c.t.u. di procedere “alla determinazione del prezzo congruo dell’appalto secondo le tariffe e gli usi correnti, applicando proporzioni medie di incidenza per le singole voci, compresi i lavori realizzati in economia, sulla scorta della documentazione in atti” – la Corte di Perugia riferisce che il c.t.u. ha indicato in Lire 457.000.000 circa il prezzo congruo dell’appalto, secondo le tariffe ed usi correnti, per la ristrutturazione del piano terra e del primo piano, per una superficie di mq. 500 circa, secondo le indicazioni fornite dalla Corte e comprensive di materiali, mano d’opera, noli, uso di attrezzatura, mezzi d’opera e quant’altro; per poi giungere alla conclusione che “la differenza tra la contabilizzazione effettuata dall’appellato ed il prezzo ricostruito dal consulente tecnico d’ufficio è ampiamente compresa nell’ulteriore costo, per ore lavorate ed interventi effettuati, riferibile sia alla carenza della direzione tecnica, sia all’intervento eseguito e non preso in considerazione dal consulente tecnico d’ufficio, pur abbattendo congruamente la quantificazione fattane dal c.t. di parte nella memoria del 6 maggio 2008, peraltro sulla scorta di un conteggio analitico ricavato dai parametri contrattuali e da quanto risultante dai rapportini”.

Nel discostarsi dalle conclusioni del proprio ausiliare, e nel recepire in parte le critiche rivolte alla consulenza tecnica d’ufficio dal consulente dell’appaltatore, la sentenza impugnata:

– rileva che “i rapportini sottoscritti dalle parti, seppure non possono costituire elemento di riconoscimento dell’importo dovuto, tuttavia implicano comunque il riconoscimento dei lavori ivi contemplati, come del resto è anche emerso dal complesso degli accertamenti peritali, a prescindere dalla inattendibilità intrinseca per quanto concerne le ore lavorate, inattendibilità che ha indotto la Corte ad ammettere la consulenza tecnica d’ufficio”;

ritiene che la mancanza di un direttore dei lavori nominato dalla committenza, come invece previsto, e la veste assunta dai committenti stessi quali “direttori” di fatto hanno implicato una minore programmazione delle attività lavorative: una carenza che si è tradotta in una maggiore “vischiosità” degli interventi, in dilatazione dei tempi, in necessità di rifacimenti (come testimoniato dalle voci contabilizzate in economia di “spostamenti e ripristini di lavori esistenti”), con incremento certo delle ore lavorate rispetto ad una media ponderata considerata dal c.t.u.;

giudica corretta l’osservazione di parte appellata concernente la mancata considerazione dei lavori effettuati nel fabbricato principale, negli appartamenti al grezzo e relativi alle sistemazioni esterne, di cui non è stata rinvenuta menzione nella consulenza d’ufficio e negli allegati, e ciò trattandosi di opere contemplate nella concessione edilizia, ma anche rinvenibili nelle descrizioni degli accessi in contraddittorio ed in numerose notazioni del c.t. di parte contenute nella memoria in data 29 novembre 2005 del Dott. Al. ed evidenziate nuovamente nella memoria tecnica del 6 maggio 2008, senza che dette evidenziazioni siano state oggetto di contestazione specifica.

2.3. – Tanto premesso, il Collegio osserva che è certamente possibile, per il giudice del merito, discostarsi, con adeguata motivazione, dal parere del consulente tecnico d’ufficio, considerato che le valutazioni espresse dall’ausiliare non hanno valore vincolante per il giudice.

Sennonchè, nel disattendere gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, la Corte d’appello non indica puntualmente quali prove siano state poste a dimostrazione dei lavori in concreto effettuati: indicazione, questa, che era tanto più necessaria, ove si tenga conto che, secondo lo stesso accertamento compiuto dalla Corte territoriale, nella specie la contestazione dei committenti riguardava “anche l’individuazione dei lavori stessi e l’eventuale duplicazione degli elementi di costo rispetto a quelli considerati a misura”, e che i rapportini – non riportando sempre “la specifica descrizione dell’opera eseguita, il nominativo dell’esecutore ed i tempi tecnici utilizzati” – soffrono di una complessiva “inattendibilità intrinseca per quanto concerne le ore lavorate”.

In un contesto contrassegnato dal fatto che la stessa richiesta, rivolta dal c.t.u. all’appaltatore, di documentazione integrativa per stabilire con certezza le opere eseguite, è rimasta inevasa, l’essere la Corte d’appello pervenuta ad una valutazione di congruità dell’importo, superiore a quello risultante dalla c.t.u., portato dal decreto ingiuntivo, attraverso una valutazione forfettaria (ossia rilevando che “la differenza tra la contabilizzazione effettuata dall’appellato ed il prezzo ricostruito dal consulente tecnico d’ufficio è ampiamente compresa nell’ulteriore costo, per ore lavorate ed interventi effettuati, riferibile sia alla carenza della direzione tecnica, sia all’intervento eseguito e non preso in considerazione dal consulente tecnico d’ufficio”), finisce con il risolversi nella denunciata violazione e falsa delle norme di legge indicate nel motivo di ricorso.

Per un verso, infatti, in caso di contestazione da parte dei committenti sull’entità dei lavori eseguiti dall’appaltatore, spetta a quest’ultimo la prova dell’entità e della natura dei lavori che egli assume di avere eseguito senza ricevere il pagamento, potendo la prova della sussistenza del diritto al corrispettivo essere considerata acquisita solo per la parte dei lavori per la quale la contestazione sia mancata. E nella specie la sentenza impugnata non indica come tale prova sia stata fornita, nè d’altra parte tale onere, incombente all’appaltatore, è destinato a venir meno in ragione della mancata nomina, da parte dei committenti, del direttore tecnico.

Per l’altro verso, il potere, conferito al giudice dall’art. 1657 c.c., di determinare il prezzo dell’appalto se le parti non ne abbiano pattuito la misura, nè stabilito il modo per calcolarlo, sempre che non possa farsi riferimento, per tale calcolo, alle tariffe esistenti e agli usi, è esercitabile solo ove non si controverta sulle opere eseguite dall’appaltatore; allorquando, invece, il contrasto riguardi, come nella specie, anche tale aspetto del rapporto, incombe sull’attore l’onere di fornire la prova dell’entità e della consistenza di dette opere, non potendo il giudice stabilire il prezzo di cose indeterminate, nè, d’altra parte, offrire all’attore l’occasione di sottrarsi al preciso onere probatorio che lo riguarda (Cass., Sez. 2, 12 maggio 2016, n. 9768).

2.4. – L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dell’esame del secondo mezzo.

3. – La sentenza impugnata è cassata.

La causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo ricorso di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2016

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