Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17950 del 31/08/2011

Cassazione civile sez. III, 31/08/2011, (ud. 07/07/2011, dep. 31/08/2011), n.17950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 13279/2009 proposto da:

A.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 285, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA

NOCIFORA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCI’ Giovanni,

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PALERMO in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avv. LA MONACA Laura, giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 470/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 09/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO

FEDELI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il A.S. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 9 aprile 2008 dalla Corte d’Appello di Palermo che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, aveva rigettato la domanda volta ad ottenere la condanna del Comune di Palermo al risarcimento dei danni subiti per il mancato perfezionamento delle trattative intercorse.

Il Comune di Palermo ha resistito con controricorso, mentre l’altro intimato, C.A., non ha espletato attività difensiva.

2 – La formulazione degli otto motivi di ricorso non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2043 e 2056 c.c., in relazione al precedente art. 1137. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, pur avendo riconosciuto la responsabilità precontrattuale del Comune di Palermo, abbia poi negato il risarcimento del danno da perdita di chance.

La censura, che opera una ricostruzione della vicenda all’origine dalla controversia, implica necessariamente valutazioni e apprezzamenti di merito e si conclude con quesito di diritto che si rivela astratto, poichè prescinde totalmente dalla motivazione della sentenza impugnata.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. e lamenta che la Corte territoriale non abbia fatto ricorso al criterio della liquidazione equitativa.

Pur formalmente prospettata sotto il profilo della violazione di norma di diritto, la censura implica necessariamente esame delle risultanze processuali e apprezzamenti di merito, considerato che la sentenza impugnata ha condivisibilmente affermato che il potere del giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa non esonera l’istante dall’onere di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto in suo possesso utili a consentirne la precisa determinazione, una volta accertatane l’ontologica sussistenza e che ha anche indicativamente esemplificato quali in concreto fossero i fatti che l’ A. avrebbe potuto dimostrare.

Tutto ciò non viene preso in considerazione dal quesito finale che, dunque, pecca di astrattezza.

Il terzo motivo lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; errata valutazione delle prove allegate dal ricorrente.

Già dalla rubrica si evince il carattere di merito della censura; al giudice di legittimità non è consentito valutare le prove. Di detto carattere sono palese conferma sia le argomentazioni addotte a sostegno, sia il quesito finale, che non postula l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulla norma indicata, ma chiede alla Corte di verificare la correttezza della sentenza impugnata.

Il quarto motivo denuncia ancora violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; errata distribuzione dell’onere probatorio.

La censura presenta le stesse caratteristiche della precedente e, quindi, le si attagliano le medesime considerazioni lì svolte.

Il quinto motivo ipotizza violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. La doglianza è erroneamente proposta con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, anzichè al successivo n. 4.

Le argomentazioni non indicano quale fosse la domanda sulla quale la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata e il quesito finale non postula l’enunciazione di un principio di diritto.

Il sesto motivo lamenta contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il tema è ancora quello della negata liquidazione del danno. Le argomentazioni contengono ampi riferimenti alle risultanze processuali e non dimostrano l’asserita contraddittorietà. Infatti non è contraddittorio affermare la responsabilità di un soggetto ma negare che essa abbia in concreto arrecato danno ad altro soggetto o che, comunque, questo lo abbia dimostrato.

Il settimo motivo ipotizza omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il tema è sempre quello del danno ed è trattato con la generica affermazione che la Corte territoriale avrebbe errato nel considerare le prove fornite.

Manca il momento di sintesi specificativo del vizio di motivazione.

L’ottavo motivo denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, e lamenta la disposta compensazione delle spese del doppio grado. La censura attacca un potere discrezionale del giudice che incontra l’unico limite nel divieto di porre le Spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, situazione non verificatasi nella specie. Il quesito finale è astratto.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Il ricorrente ha presentato memoria; nessuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, che le argomentazioni addotte con la memoria non sono condivisibili, trovano ostacolo in orientamenti giurisprudenziali consolidati, non superano i rilievi contenuti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2011

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