Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1795 del 26/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/01/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 26/01/2011), n.1795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24199-2008 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.M., RI.GA., RO.GI.;

– intimati –

nonchè da :

R.M., RI.GA., RO.GI., tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PARAGUAY N. 5, presso lo

studio dell’avvocato RIZZO CLAUDIO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRANE PASQUALE, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 4740/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/10/2007 R.G.N. 2375/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2010 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI; udito l’Avvocato RIZZO CLAUDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del Tribunale di Roma n. 1201/2004, era stata accolta la domanda di Ro.Gi., R.M. e R. G., intesa ad ottenere la declaratoria della illegittimità del licenziamento loro intimato all’esito della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24, sul rilievo che il ritardo delle comunicazioni e della trasmissione degli elenchi L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9 doveva ritenersi costituire violazione della procedura di legge e non mera irregolarità.

Su appello delle Poste, rigettando i motivi di gravame, la sentenza depositata il 17.10.2007 della Corte di Appello di Roma confermava la decisione di primo grado.

Sosteneva la corte territoriale che l’inosservanza del termine di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, per la comunicazione alle OO.SS. e agli uffici del lavoro dell’elenco dei lavoratori licenziati e degli altri elementi indicati, non era sorretta da giustificati motivi oggettivi che ne legittimassero la non contestualità rispetto all’irrogazione dei licenziamenti.

Propone ricorso per cassazione la spa Poste, affidando l’impugnazione ad unico motivo.

Resistono con controricorso gli intimati, che propongono contestuale ricorso incidentale condizionato, sorretto da dodici motivi, rispetto al quale la società resiste, a sua volta, con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Devono, preliminarmente, riunirsi i ricorsi, in quanto proposti avverso la stessa sentenza. Con il primo motivo di ricorso, la società deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, con riguardo alla non contestualità delle lettere di recesso rispetto alla comunicazione all’ufficio regionale e della massima occupazione competente, alla commissione per l’impiego e alle associazioni di categoria.

Assume che è ammessa la regolarizzazione in sanatoria dell’omissione e richiama sentenza della Cassazione n. 3922/98, affermativa del principio alla cui stregua la contestualità della comunicazione non deve obbedire a criteri di esatta contemporaneità, ma deve solo rispettare un obbligo di ragionevole immediatezza rispetto alle lettere di recesso, così da doversi ritenere illegittima solo quella comunicazione che sia avvenuta in epoca marcatamente successiva e cioè al di fuori dei tempi previsti per la procedura culminante col licenziamento collettivo, con tempistica tale da incidere sulla pienezza del termine per l’impugnazione. Pone al riguardo quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

Il ricorso principale è infondato, in quanto il principio affermato nello stesso è in contrasto con quanto affermato da questa Corte, con sentenza 23.1.2009 n. 1722 della sezione lavoro, cui in questa sede si ritiene di aderire, che si riferisce ad un caso analogo nel quale, come nella specie, la comunicazione era avvenuta oltre 30 giorni dalla comunicazione del recesso. Con la decisione richiamata la Corte ha confermato la pronunzia di merito che aveva escluso che la comunicazione del recesso, effettuata ai competenti uffici del lavoro e alle organizzazioni sindacali dopo trenta giorni da quella effettuata al lavoratore, potesse considerarsi contestuale rispetto a questa, ai fini della efficacia del recesso medesimo. In particolare, ha osservato che, in tema di licenziamenti collettivi, la lettera della disposizione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, e la sua “ratio” – che, la funzione di garanzia dei licenziati – quella di rendere visibile e quindi controllabile dalle organizzazioni sindacali e, tramite queste, dai singoli lavoratori – portano a ritenere che il requisito della contestualità della comunicazione del recesso ai competenti uffici del lavoro (ed ai sindacati) rispetto a quella indirizzata al lavoratore – comunicazioni entrambe richieste a pena di inefficacia del licenziamento – non può non essere valutato, in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido e analitico, e con termini ristretti, nel senso di una necessaria contemporaneità, la cui mancanza vale ad escludere la sanzione della inefficacia del licenziamento solo se dovuta a giustificati motivi di natura oggettiva da comprovare da parte del datore di lavoro (in tali termini, Cass cit. n. 1722/09, e, conformi a quest’ultima, Cass., sez. lav., 17.7.2009 n. 16776; Cass., sez. lav., 26.3.2010 n. 747). E’ stato, altresì, rilevato che non è possibile ritenere, salvo l’intervento di cause di forza maggiore, che possa, senza che i lavoratori ne subiscano effetti pregiudizievoli, procedersi ad intimare i licenziamenti ritardando il momento di invio delle comunicazioni. Appare infatti evidente, decorrendo il termine per impugnare il recesso, secondo il chiaro dettato normativo, in ogni caso dalla sua comunicazione per iscritto, che la mancanza delle contestuali comunicazioni attribuisce all’interessato il potere di ottenere l’accertamento dell’inefficacia del licenziamento, e la tardiva comunicazione non potrebbe eliminare la situazione di vantaggio già sorta. Del resto, sostenere che i lavoratori non abbiano subito pregiudizio dal ritardo, perchè erano rimasti ulteriori trenta giorni per impugnare il licenziamento, significa sostenere che un termine di decadenza possa essere abbreviato dal comportamento del soggetto passivo del potere (cfr.

Cass. 1722/2009 cit.).

Il ricorso principale, in adesione a tale principi, deve essere, pertanto, respinto, tenuto conto della peculiarità e sostanziale analogia della vicenda lavorativa che ha interessato gli intimati, rispetto alla quale, alla comunicazione ai destinatari delle lettere di risoluzione del rapporto di lavoro era seguita la comunicazione alle Direzioni Regionali del Lavoro e della Massima Occupazione a distanza di oltre trenta giorni, senza che venissero addotti al riguardo giustificati motivi di natura oggettiva idonei a giustificare la non contestualità.

Con il ricorso incidentale condizionato si rilevano ulteriori vizi della procedura, riferiti alla comunicazione di avvio della stessa, alla mancata precisazione dei motivi dell’esubero e delle misure alternative al licenziamento, con omissione di motivazione al riguardo da parte del giudice del merito; al difetto di individuazione preliminare dell’ambito di operatività del criterio di scelta e di coerenza tra licenziamento ed esigenze tecnico produttive del complesso aziendale, sub specie di violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di omessa motivazione circa fatto controverso e decisivo; al mancato accertamento dell’abuso della procedura; alla erronea applicazione di principi in tema di onere della prova; alla violazione del principio di ragionevolezza e non discriminazione, illegittimità del criterio del prepensionamento come criterio unico e ad ulteriori vizi riferiti alla procedura azionata, sotto il duplice profilo della violazione di norme e di vizi della motivazione. Tuttavia, il ricorso incidentale condizionatamente proposto, attesa la conferma della decisione sotto il profilo censurato con l’impugnazione principale, deve ritenersi assorbito e non deve procedersi, quindi, al relativo esame.

In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso principale proposto dalla spa Poste Italiane deve essere respinto;

quello incidentale deve ritenersi assorbito, laddove le spese del presente giudizio, in applicazione della regola della soccombenza, cedono a carico della società ricorrente.

P.Q.M.

La Corte così provvede: riunisce i ricorsi;

rigetta il ricorso principale; assorbito quello incidentale, e condanna la società ricorrente ai pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 52,00 per esborsi, Euro 3000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2011

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