Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1795 del 24/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 24/01/2017, (ud. 18/10/2016, dep.24/01/2017),  n. 1795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24761-2013 proposto da:

ALPINA SRL (OMISSIS), C.R. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio

dell’avvocato DANIELE MANCA RITTI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FABRIZIO TOMASELLI in virtù di procura in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA, elettivamente domiciliata in

ROMA, P. COLONNA 355 C/O AVVOC. REGIONE, presso lo studio

dell’avvocato DANIELA IURI, che la rappresenta e difende in virtù

di procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 824/2011 del TRIBUNALE DI PORDENONE,

depositata il 28 settembre 2011, ed avverso l’ordinanza della CORTE

D’APPELLO di TRIESTE depositata l’08/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2016 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

udito l’Avvocato Bitti Daniele Manca per i ricorrenti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO LUIGI ROSARIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 3 aprile 2008, la Alpina S.r.l. e C.R., in proprio e quale legale rappresentante della prima, proponevano opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. RAF 5-7.7/35432 del 23 aprile 2008, relativa al verbale n. (OMISSIS), quale sanzione amministrativa per il mancato versamento ovvero per la mancata prestazione di idonea fideiussione per il prelievo supplementare, per un importo di Euro 40.599,11 per il mese di aprile 2008, avverso l’ordinanza ingiunzione n. RAF 5-7.7/35433 del 23 aprile 2008, relativa al verbale n. (OMISSIS), quale sanzione amministrativa per il mancato versamento ovvero per la mancata prestazione di idonea fideiussione per il prelievo supplementare, per un importo di Euro 61.646,39 per il mese di maggio 2007, avverso l’ordinanza ingiunzione n. RAF 57.7/35434 del 23 aprile 2008, relativa al verbale n. (OMISSIS), quale sanzione amministrativa per il mancato versamento ovvero per la mancata prestazione di idonea fideiussione per il prelievo supplementare, per un importo di C 55.417,48 per il mese di giugno 2007, avverso l’ordinanza ingiunzione n. RAF 5-7.7/35436 del 23 aprile 2008, relativa al verbale n. (OMISSIS), quale sanzione amministrativa per il mancato versamento ovvero per la mancata prestazione di idonea fideiussione per il prelievo supplementare, per un importo di Euro 72.376,65 per il mese di luglio 2007, avverso l’ordinanza ingiunzione n. RAF 5-7.7/35437 del 23 aprile 2008, relativa al verbale n. (OMISSIS), quale sanzione amministrativa per il mancato versamento ovvero per la mancata prestazione di idonea fideiussione per il prelievo supplementare, per un importo di Euro 100.000,00 per il mese di agosto 2007, avverso l’ordinanza ingiunzione n. RAF 57.7/354331 del 23 aprile 2008, relativa al verbale n. (OMISSIS), quale sanzione amministrativa per il mancato versamento ovvero per la mancata prestazione di idonea fideiussione per il prelievo supplementare, per un importo di Euro 100.000,00 per il mese di settembre 2007, sanzioni irrogate ai sensi della L. n. 119 del 2003, art. 5, per la violazione di quanto previsto da Reg. CE n. 1788 del 2003, art. 11, commi 1 e 3, dal Reg. CE n. 595 del 2004, art. 17.

Disposta la sospensione dell’efficacia delle ordinanze gravate, si costituiva la Regione Friuli Venezia Giulia, che chiedeva il rigetto dell’opposizione.

Il Tribunale di Pordenone con la sentenza n. 824 del 28 settembre 2011 rigettava l’opposizione ed a seguito di appello proposto dagli opponenti, la Corte d’Appello di Trieste pronunciava ex art. 348 ter c.p.c., ordinanza di inammissibilità reputando che l’appello non avesse ragionevole probabilità di accoglimento.

Rilevava la Corte distrettuale che, conformemente alla propria precedente giurisprudenza, doveva ritenersi che il quadro normativo di riferimento in merito alla tematica del prelievo supplementare per le quote latte, era stato innovato dalle previsioni di cui al Reg. CE. n. 1788/03, che aveva imposto in maniera obbligatoria agli acquirenti del latte di riscuotere il prelievo supplementare dovuto dai produttori per i quantitativi eccedenti la quota di riferimento individuale, ritenendoli i soggetti più idonei (dodicesimo considerando).

In tal senso si era modificato il precedente regime di cui al Reg. n. 3950/92 (che invece prevedeva come facoltativa la trattenuta del prelievo supplementare da parte di detti soggetti), come peraltro confermato anche dall’art. 13 del Reg. del 2003 il quale aveva disposto che in caso di inadempimento da parte dell’acquirente, lo Stato membro, fermo restando il diritto di riscuotere il prelievo dal produttore, può applicare le sanzioni all’acquirente inadempiente.

A tale scopo erano state emanate le disposizioni di cui al D.L. n. 49 del 2003, art. 5, comma 5, conv. nella L. n. 119 del 2003, che era appunto la norma sulla scorta della quale erano state emesse le ordinanze oggetto di impugnazione.

Quanto al motivo concernente i presupposti del prelievo ed alla sua quantificazione, riteneva che le allegazioni dell’appellante investivano la giustizia del sistema, ma non potevano indurre alla disapplicazione della normativa comunitaria e nazionale.

In merito alla misura della sanzione, osservava la sentenza che la Regione si era attenuta alle indicazioni provenienti dal Ministero competente, le quali non potevano essere disattese, tenuto conto del danno provocato dalle condotte sanzionate e delle conseguenze che si erano ripercosse anche sui contribuenti.

Infine evidenziava la sussistenza della responsabilità solidale tra la società e la persona fisica che ne ha la rappresentanza la L. n. 689 del 1981, ex art. 6.

Avverso la indicata sentenza del Tribunale di Pordenone nonchè avverso l’ordinanza di inammissibilità della Corte di Appello di Trieste hanno proposto ricorso per cassazione la Alpina srl e C.R. sulla base di sette motivi.

La Regione Friuli Venezia Giulia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare la mancata applicazione del Reg. CE n. 72/09 e della L. n. 33 del 2009.

Rilevano che il Regolamento citato nei propri considerando aveva evidenziato gli ostacoli che il sistema delle quote latte aveva frapposto al conseguimento dell’efficienza del settore, ed i rischi in particolare scaturenti in danno dell’Italia.

Con il successivo D.L. n. 4 del 2009, conv. nella L. n. 33 del 2009, si erano previste una serie di norme volte a favorire la rateizzazione dei debiti relativi alle quote latte, come gli artt. 8 ter ed 8 quater e 8 qumquies.

Ai sensi di tale disciplina, fino alla scadenza del termine previsto per presentare la domanda di rateizzazione, sono altresì sospese le procedure di recupero per compensazione ed ogni procedura di recupero forzoso, sospensione che si protrae, in caso di presentazione della domanda, fino alla conclusione del procedimento di rateizzazione.

Inoltre, ove non sia presentata domanda di rateizzazione ovvero ove il produttore decada dal beneficio della dilazione, il recupero potrà avvenire da parte dell’AGEA, non più con il ricorso all’esecuzione esattoriale, ma tramite la procedura di cui al R.D. n. 639 del 1910.

Ne consegue che è stato introdotto un regime normativo autonomo che ha totalmente sostituito quello preesistente, e che per l’effetto rende inefficaci le sanzioni irrogate.

Con il secondo motivo si denunzia l’omessa valutazione dell’illegittimità dei provvedimenti impugnati, per eccesso di potere, disparità di trattamento e difetto di motivazione.

Si deduce che dinanzi al giudice di merito si era dedotto che l’ordinanza impugnata aveva trascurato) di specificare che i soci dell’Alpina, che erano anche produttori del latte, ed ai quali era stato imputato il prelievo supplementare, avevano ottenuto dai competenti Tribunali la sospensione della comunicazione di assegnazione dei quantitativi di riferimento e la sospensione delle comunicazioni di attribuzione del prelievo supplementare, con la conseguenza che doveva reputarsi inesistente l’obbligo di versamento.

Quindi, non poteva imputarsi all’Alpina l’omessa trattenuta del prelievo) supplementare atteso che gli stessi soci non erano debitori di tali somme.

Inoltre è stata del tutto omessa la disamina delle censure concernenti la natura facoltativa del prelievo in capo all’acquirente, in quanto) i giudici di merito avevano trascurato le conclusioni della giurisprudenza di legittimità che aveva in più occasioni ribadito la facoltatività della trattenuta del prelievo) supplementare da parte dell’acquirente, alla luce della corretta interpretazione del Reg. CE n. 3590/92.

La tesi fatta propria dalla sentenza gravata per la quale invece oggi sarebbe vigente una disciplina che rende tale trattenuta obbligatoria contrasta con la chiara continuità esistente tra la disciplina già passata al vaglio della Suprema Corte (e prima ancora della Corte di Giustizia), e quella dettata, quanto alle vicende oggetto di causa, dal Reg. n. 1788/03.

Del pari risultava trascurata la circostanza che la società aveva concordato con i soci una forma di garanzia che assicurava i versamenti da parte di questi ultimi, ai quali erano state imputate le somme a tale titolo dovute, provvedendosi altresì a farsi rilasciare un atto formale di riconoscimento del debito, ritualmente sottoscritto da ogni singolo socio, per tutte le somme eventualmente dovute a titolo di prelievo supplementare.

Peraltro, tenuto conto delle modalità di pagamento del latte (a 108 giorni), il prelievo sarebbe avvenuto al momento del pagamento del saldo in favore del socio, come peraltro confermato dalle annotazioni contabili della società.

Inoltre si denunzia che il Tribunale ha disatteso e trascurato l’ulteriore eccezione in ordine alla sussistenza dei provvedimenti cautelari e precisamente di varie ordinanze pronunciate da diversi Tribunali territorialmente competenti, con le quali alla società era stato ordinato di non trattenere ed anzi restituire tutte le somme trattenute ai soci conferenti.

Il terzo motivo denunzia la violazione di legge ed in particolare del Reg. n. 3950/92, art. 2, comma 1, del Reg. CE n. 1392 del 2001, art. 7, del Reg. CE n. 1788 del 2003, artt. 1, 3 e 4, del Reg. CE n. 595/04 e dell’art. 10 Cost..

Si sostiene che, anche a voler accedere alla natura obbligatoria della trattenuta e del versamento del prelievo supplementare da parte dell’acquirente, era essenziale accertare se l’importo richiesto era corrispondente a quanto effettivamente dovuto.

A tal fine si segnala che l’importo del prelievo supplementare non è pari semplicemente al quantitativo di latte prodotto e/o commercializzato in eccesso da parte di ciascun allevatore rispetto al proprio quantitativo di riferimento individuale, occorrendo tenere conto in realtà del quantitativo di riferimento nazionale (QGG), in relazione al quale vengono fissati i quantitativi individuali.

La normativa comunitaria prevede poi che l’esatta determinazione del quantitativo individuale avvenga solo all’esito dell’eventuale riassegnazione della totalità o di una parte dei quantitativi di riferimento inutilizzati da parte degli altri produttori, come previsto dal Reg. n. 1392 del 2001, art. 7, di applicazione delle previsioni di cui al Reg. n. 3590/92, modalità questa confermata anche dalla disciplina sopravvenuta.

Anche il successivo Reg. n. 595/04 ha seguito tale schema procedimentale con la conseguenza che è illegittima la pretesa della Regione di riscuotere le somme dovute a titolo di prelievo supplementare, in assenza di una definitiva determinazione della quota di riferimento individuale, destinata, come visto, ad essere influenzata anche dalle eventuali procedure di riassegnazione delle quote inutilizzate.

Il quarto motivo denunzia la violazione della L. n. 46 del 1995, art. 2, comma 1, a seguito degli interventi della sentenza della Corte Costituzionale n. 529/1995, con la conseguente violazione del Reg. n. 3950 del 1992, art. 4 e del Reg. n. 1788 del 2003, art. 6.

Infatti, è stata omessa ogni valutazione sul motivo di ricorso con il quale si intendeva far valere la illegittimità della determinazione della quota di riferimento con il taglio di parte della quota B, senza il rispetto delle prescrizioni dettate dalla detta decisione della Consulta, la quale ha imposto, per le ipotesi di riduzione delle quote individuali, il previo parere delle Regioni.

Il quinto motivo lamenta la violazione del Reg. n. 3950/92 e del Reg. n. 1788/03 e del principio di parità di trattamento sancito dall’art. 40 n. 3, comma 2, del Trattato mentre il sesto motivo denunzia la violazione del Reg. n. 1392 del 2001, art. 11, comma 3.

Infatti, risulta omessa ogni valutazione in ordine alla contestazione contenuta nel ricorso originario, in quanto era stato posto il prelievo supplementare solo a carico di alcuni produttori, lasciando impregiudicati altri produttori che si trovavano in condizioni analoghe ai primi.

A tal fine si richiamano una serie di atti, ed in particolare i risultati delle indagini compiute dalla Commissione istituita con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 30/203, al fine di accertare la coerenza delle produzioni commercializzate del latte e dei prodotti lattari, dalle quali emergeva un sistema connotato da inaffidabilità, attesa anche l’esistenza di quote individuali solo cartacce.

Altri documenti, frutto di indagini operate nel settore, avevano documentato le numerose scorrettezze degli operatori del mercato della produzione del latte.

Il settimo motivo denunzia omessa motivazione con riferimento alla violazione della L. n. 71 del 2005, art. 2, che ha convertito in legge con modifiche il D.L. n. 22 del 2005, con la conseguente violazione della L. n. 689 del 1981, art. 16.

Infatti la L. del 2005 ha determinato per il mancato rispetto degli obblighi di cui alla L. n. 119 del 2003, art. 5, comma 5, una sanzione commisurata al prelievo supplementare eventualmente dovuto e comunque non inferiore ad Euro 1000,00 e non superiore ad Euro 100.000,00, fermo restando l’obbligo del versamento del prelievo supplementare.

Rilevano i ricorrenti che la Regione aveva impedito al ricorrente di avvalersi della facoltà di pagare la sanzione nella misura pari al doppio del minimo edittale, non indicando alla società l’esistenza di tale facoltà, ma addirittura escludendo che la stessa potesse avere efficacia liberatoria.

In ogni caso la sanzione risulta irrogata in misura del tutto sproporzionata.

2. Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui risulta indirizzato anche nei confronti dell’ordinanza adottata ex art. 348 ter c.p.c., dalla Corte d’Appello, e ciò alla luce di quanto di redente chiarito dalle Sezioni Unite di questa corte con la sentenza n. 1914/2016, la quale a risoluzione del contrasto emerso a seguitio della novella, ha precisato che l’ordinanza de qua è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui agli artt. 348 bis c.p.c., comma 2, e art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso, essendo invece esclusa la ricorribilità, laddove, come nel caso in esame, la decisione del giudice di appello si sia limitata a delibare, come appunto prescritto dall’art. 348 bis c.p.c., la ragionevole probabilità di accoglimento del gravarne (cfr. in tal senso anche Cass. n. 20470/20’15 secondo cui l’ordinanza emessa per manifesta infondatezza nel merito del gravame non è ricorribile per cassazione, neppure ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento carente del carattere della definitività, giacchè il medesimo art. 348 ter, comma 3, consente di impugnare per cassazione il provvedimento di primo grado).

3. Il ricorso è però del pari inammissibile anche laddove risulta propriamente indirizzato nei confronti della sentenza del Tribunale, occorrendo a tale fine rilevare la sua intempestività.

Ed, infatti, la parte che intenda esercitare il diritto di ricorrere in cassazione ex art. 348 ter c.p.c., comma 3, deve rispettare il termine di sessanta giorni, di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, che decorre dalla comunicazione dell’ordinanza, ovvero dalla sua notificazione, nel caso in cui la controparte vi abbia provveduto prima della detta comunicazione o se questa sia stata del tutto omessa dalla cancelleria, mentre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., opera esclusivamente quando risulti non solo omessa la comunicazione, ma anche la notificazione (così Cass. n. 2594/2016).

Da attestazione rilasciata dalla Corte d’Appello di Trieste emerge che l’ordinanza della Corte adottata ex art. 348 ter c.p.c., è stata comunicata all’Avvocato Tomaselli, difensore dei ricorrenti anche in grado di appello a mezzo PEC in data 8 maggio 2013, e cioè lo stesso giorno del deposito, sicchè, avuto riguardo alla data di proposizione del presente ricorso (30/10/2013) non può che rilevarsene la tardività.

4. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al rimborso in favore della controparte delle spese del presente giudizio, come da dispositivo che segue.

5. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al rimborso in favore della Regione Friuli Venezia Giulia delle spese del giudizio che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2^ Sezione Civile, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2017

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