Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17945 del 30/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 30/07/2010), n.17945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

NUOVO GIDEF SOCIETA’ SPORTIVA DILETTANTISTICA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

Circonvallazione Clodia 82, presso lo studio dell’avv. Giuseppe

Permisi, rappresentata e difesa dall’avv. GALLI Alessandro;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, sez. 38^, n. 43, depositata il 26 giugno

2008;

Letta la relazione scritta redatta dal consigliere relatore Dott.

Cappabianca Aurelio;

constatata la regolarita’ delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che la societa’ contribuente, illustrando le proprie ragioni anche con memoria, propone ricorso per cassazione, in due motivi, avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della Lombardia indicata in epigrafe;

che l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

rilevato:

– che, con il primo motivo di ricorso, la societa’ contribuente deduce “errata applicazione della disciplina fiscale” e, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. formula il seguente quesito: “se la fattispecie oggetto del giudizio e’ fra quelle a cui sono applicabili il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 41”;

– che, con il secondo motivo di ricorso, la societa’ contribuente deduce “nullita’ degli avvisi per carenza di motivazione” e formula il seguente quesito: “se la sentenza impugnata nella motivazione e nel dispositivo e’ conforme ai principi di diritto di cui agli artt. 2727 c.c. e seguenti in materia di presunzioni”;

osservato:

che il ricorso e’ inammissibile, giacche’ non ottempera alle prescrizioni imposte, a pena d’inammissibilita’, dall’art. 366 bis c.p.c. sul quesito di diritto e, per i motivi introducenti vizio di motivazione, sull’omologo momento di sintesi.

– che le SS.UU. di questa Corte sono, infatti, chiaramente orientate a ritenere che ognuno dei quesiti formulati, per ciascun motivo di ricorso, deve consentire l’individuazione del principio di diritto che e’ alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di Cassazione possa condurre ad una decisione di segno diverso (giacche’, in mancanza di tale articolazione logico – giuridica, il quesito si risolverebbe in un’astratta petizione di principio, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio ad opera della Corte, in funzione nomofilattica); e, dall’esposta premessa, inferiscono che il quesito non puo’ consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero (come nel caso di specie) nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura cosi’ come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve risolversi in sintesi logico – giuridica della questione idonea a far comprendere alla Corte l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare, sicche’ – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non puo’ essere meramente generico e teorico ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applicabile (v.

Cass. s.u. 3519/08);

ritenuto:

che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

– che, per la soccombenza, la societa’ contribuente va condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE respinge il ricorso; condanna la societa’ contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessivi Euro 2.900,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2010

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