Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17943 del 20/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 20/07/2017, (ud. 22/06/2017, dep.20/07/2017),  n. 17943

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15245/2013 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.C., N.I., G.F., elettivamente

domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE,

rappresentate e difese dall’avvocato LAURA TARTARINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1184/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 13/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/06/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il Tribunale di Genova, in parziale accoglimento dei ricorsi proposti da F.C., N.I. e G.F. -docenti alle dipendenze del MIUR in virtù di una serie di consecutivi contratti a termine susseguitisi nel tempo -, dichiarò il diritto delle prime due, i cui rapporti si erano protratti per più di un triennio, al risarcimento del danno variamente liquidato con applicazione analogica della L. n. 183 del 2010, art. 32, ed il diritto di tutte alla corresponsione delle differenze retributive maturate in ragione dell’anzianità di servizio conseguente ai contratti a termine stipulati tra le parti, condannando il MIUR a pagare i relativi emolumenti;

che venne, invece, respinta la domanda principale di conversione dei rapporti a termine in contratto a tempo indeterminato;

che la Corte di Appello di Genova ha respinto il gravame proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca avverso la riconosciuta progressione professionale retributiva in relazione al servizio prestato e condannato il Ministero al pagamento di 1/3 delle spese del doppio grado, compensate per i residui 2/3;

che la Corte territoriale, per quel che rileva nella presente sede, ha richiamato, a fondamento della pronuncia di rigetto del gravame del Ministero, il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 e recepito nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6, richiamandosi ai principi espressi dalla CGUE ed escludendo la rilevanza della specialità del sistema del reclutamento scolastico per giustificare la diversità del trattamento economico riservato agli assunti a tempo determinato precisando altresì l’incidenza dell’obbligo di disapplicazione delle norme in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a t.d. trasfuso nella indicata Direttiva;

che di tale sentenza il MIUR chiede la cassazione sulla base di unico motivo, ai quale hanno opposto difese le intimate, con controricorso; che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;

2. che viene denunziata violazione e falsa applicazione: del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 6,D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 9 comma 18, come convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, art. 1, comma 2, L. 3 maggio 1999 n. 124, art. 4,D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 526 e della direttiva 99/70/CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendosi che i rapporti di lavoro a tempo determinato del settore scolastico sono assoggettati ad una normativa speciale di settore, sicchè agli stessi non si applica la disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001 e che il principio di non discriminazione è correlato all’abuso del contratto a termine, che nella specie deve essere escluso in quanto il ricorso alla stipula di contratti a termine del personale docente trova giustificazione in ragioni oggettive e non è maliziosamente finalizzato a consentire al datore di lavoro un risparmio di spesa;

che si sostiene che il lavoratore assunto a tempo determinato nel settore scolastico non è comparabile al docente di ruolo, perchè ogni singolo rapporto è distinto ed autonomo rispetto al precedente;

3. che il ricorso è infondato;

4. che la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868/2016, con le quali si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato”; che a dette conclusioni la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del temine apposto al contratto; che il motivo di ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

5. che pertanto, essendo da condividere nella sostanza la proposta del relatore, il ricorso va rigettato con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5;

6. che la novità e la complessità della questione, diversamente risolta dalle Corti territoriali, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità;

7. che non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016).

PQM

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2017

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