Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17941 del 20/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 20/07/2017, (ud. 25/05/2017, dep.20/07/2017),  n. 17941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27208-2013 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, V. NAZARIO

SAURO 16, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA REHO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO PISTILLI;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 8816/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. GHINOY PAOLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. che la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Viterbo, rigettava l’opposizione proposta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca avverso il decreto ingiuntivo con il quale C.L., che aveva prestato lavoro in qualità di docente dall’anno scolastico 2002-2003 al 31 agosto 2009 in forza di numerosi contratti a tempo determinato, succedutisi senza sostanziale continuità, aveva intimato il pagamento di differenze retributive a titolo di progressione professionale retributiva, con equiparazione ai lavoratori e tempo indeterminato e, quindi, l’applicazione delle fasce stipendiali previste dalla contrattazione collettiva. La Corte territoriale premetteva che gli assunti a tempo determinato del comparto scuola non beneficiano della progressione stipendiale, legata alla anzianità di servizio, riconosciuta al personale di ruolo ed ha ritenuto la disparità di trattamento non giustificata e non conforme al principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo quadro, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 e recepito nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6. Richiamava la giurisprudenza della Corte di Giustizia per sottolineare il carattere incondizionato e preciso della clausola, di diretta applicazione nelle controversie nelle quali sia parte, in qualità di datore di lavoro, lo Stato. Aggiungeva che l’anzianità di servizio, ove destinata ad incidere sul trattamento retributivo, rientra fra le condizioni di impiego, in relazione alle quali non è consentita la discriminazione rispetto al lavoratore a tempo indeterminato comparabile. La Corte territoriale, infine, evidenziava che la disparità di trattamento non può essere giustificata facendo leva sulla specialità del sistema di reclutamento scolastico e sulla legittimità dei termini apposti ai contratti succedutisi nel tempo e ciò perchè il divieto di discriminazione si pone anch’esso in funzione antiabusiva, in quanto finalizzato ad impedire che il rapporto a termine possa essere utilizzato dal datore per risparmiare sul costo del lavoro. Detto divieto era stato nella specie eluso giacchè, a fronte di lavoratori inquadrati nella stessa qualifica e svolgenti le medesime mansioni, nessuna rilevanza poteva assumere la distinzione fra personale di ruolo e non di ruolo;

2 che per la cassazione della sentenza il Miur ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito C.L. con controricorso;

3. che il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. che il ricorso denuncia, con l’unico motivo (ammissibile -contrariamente a quanto assunto dalla controricorrente – in quanto idoneo a comprendere le ragioni della censura) formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione: della L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 53, del CCNL 24 luglio 2003, art. 142, e art. 146 CCNL Comparto Scuola del 29 novembre 2007, del D.P.R. 23 agosto 1988, n. 3999, art. 3; del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 9, comma 18, come convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, art. 1, comma 2, della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, e della direttiva 99/70/CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Sostiene, in sintesi, il Ministero ricorrente che alle supplenze, stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo, non si applica la disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, bensì la normativa di settore, ed in particolare la L. n. 124 del 1999, art. 4. Aggiunge che il CCNL per il comparto scuola sottoscritto il 4 agosto 1995 esclude che ai lavoratori a tempo determinato possano essere riconosciuti gli scatti di anzianità ed insiste sulla legittimità della pattuizione contrattuale, conforme alla direttiva europea, non essendo comparabile la posizione dei supplenti, che sottoscrivono ogni anno un nuovo contratto del tutto autonomo rispetto al precedente, con quella dei dipendenti di ruolo, assunti a seguito di concorso. Richiama il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, nella parte in cui attribuisce alla contrattazione collettiva il potere di disciplinare la materia dei contratti a tempo determinato stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni, ed aggiunge che l’Accordo quadro ha come finalità solo quella di coniugare le esigenze di flessibilità del lavoro e di sicurezza dei lavoratori, per cui attribuisce rilievo alle esigenze di specifici settori, che giustificano il ricorso alla tipologia contrattuale e le differenziazioni fra lavoratori a tempo determinato ed indeterminato. Infine eccepisce l’inapplicabilità alla fattispecie della L. n. 312 del 1980, art. 53, trattandosi di norma che non ha fra i suoi destinatari i supplenti;

2. che il ricorso non è fondato, perchè la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868/2016, e successive conformi, con le quali si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato”;

3. che a dette conclusioni la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto;

4. che il motivo di ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

5. che la Corte d’appello non ha posto a fondamento della decisione la L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 53, norma questa che ormai disciplina il solo trattamento economico degli insegnanti di religione, sicchè il relativo riferimento formulato nel ricorso difetta di interesse;

6. che per tali motivi, confermando la proposta del relatore, il Collegio ritiene che il ricorso, manifestamente infondato, vada rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5;

7. che la novità e la complessità della questione, diversamente risolta dalle Corti territoriali, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità;

8. che non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016).

PQM

 

rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2017

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