Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17940 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. II, 27/08/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 27/08/2020), n.17940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23407-2015 proposto da:

S.E.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA

86, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI RANALLI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO DI

FRANCIA 197, presso lo studio dell’avvocato SILVIA GALLETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVAN PAOLO RUGGERI;

– controricorrente –

e contro

S.G., S.R.B., Z.D., EREDI

C.F., SC.RI., B.P.F.,

R.S., T.L., C.G.,

F.V., EREDI Z.G.;

– intimati –

e sul ricorso proposto da:

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO DI

FRANCIA 197, presso lo studio dell’avvocato SILVIA GALLETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVAN PAOLO RUGGERI;

– ricorrente incidentale –

contro

S.E.M., S.G., S.R.B.,

Z.D., EREDI C.F., SC.RI.,

B.P.F., R.S., T.L.,

C.G., F.V., EREDI Z.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 138/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 26/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

S.E.M. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 138/2015 della Corte d’appello di Perugia, pubblicata il 26 febbraio 2015.

R.L. resiste con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale in unico motivo.

Rimangono intimati, senza svolgere attività difensive, S.G., S.R.B., Z.D., gli eredi di C.F., Sc.Ri., B.P.F., R.S., T.L., C.G., F.V. e gli eredi di Z.G..

La Corte d’appello di Perugia ha confermato la sentenza non definitiva n. 45/2012 del Tribunale di Terni, che aveva accertato il diritto di passaggio di R.L., proprietario della particella n. (OMISSIS), foglio (OMISSIS), Comune di (OMISSIS), sulla strada di proprietà degli appellanti S.E.M., S.G., S.R.B., Z.D., particelle nn. (OMISSIS). La decisione d’appello ha invece riformato soltanto sotto il profilo delle spese processuali la sentenza definitiva n. 395/2014 del Tribunale di Terni, che aveva accolto la domanda di R.L. per la costituzione di servitù coattiva di passaggio sulla stessa strada in favore anche del fondo particella n. (OMISSIS), foglio (OMISSIS), condannando il R. al pagamento dell’indennità in favore dei soli proprietari del fondo servente che ne avevano fatto domanda.

La trattazione dei ricorsi è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c.

La ricorrente principale S.E.M. ha depositato in data 31 gennaio 2020 memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.

1. Superando l’eccezione pregiudiziale del controricorrente, deve considerarsi che la procura apposta, come nel caso in esame, a margine del ricorso principale, la quale comunque espliciti la volontà della parte di promuovere il giudizio di legittimità, soddisfa il requisito di specialità richiesto dall’art. 365 c.p.c., ancorchè essa contenga altresì riferimenti ai gradi di merito, attesa anche l’unicità del contesto documentale.

Va ulteriormente premesso che il giudizio in esame ha deciso, tra l’altro, su di una domanda di costituzione coattiva di servitù di passaggio, proposta da R.L. nei confronti dei proprietari di tutti i fondi che si frappongono all’accesso alla pubblica via, il che, pur non dando luogo ad una situazione di litisconsorzio necessario rispetto ai diversi proprietari (Cass. Sez. U, 22/04/2013, n. 9685), lascia configurare, in sede di impugnazione, un legame di dipendenza tra cause tale da determinarne l’inscindibilità, agli effetti dell’art. 331 c.p.c., ancorchè oggetto di gravame (nella specie, del ricorso incidentale) sia la sola pronuncia sulle spese di lite, trattandosi comunque di capo accessorio che condivide il carattere di inscindibilità della causa principale. Occorre allora evidenziare come il ricorso principale sia stato irritualmente notificato agli “eredi di C.F.” ed agli “eredi di Z.G.”, già così evocati nel giudizio di appello e rimasti contumaci, come risulta dall’impugnata sentenza (essendo C.F. e Z.G. morti entrambi nel corso del giudizio di primo grado), sicchè la notificazione in questa sede doveva avvenire con individuazione personale di ciascuno degli eredi dei defunti (avendo carattere eccezionale le ipotesi di notifica collettiva ed impersonale previste dall’art. 303 c.p.c., comma 2, art. 286 c.p.c., comma 1, art. 328 c.p.c., comma 2, e art. 330 c.p.c., comma 2). Parimenti, il ricorso incidentale risulta notificato soltanto a S.E.M., S.G., S.R.B. e Z.D.. Tuttavia, nel caso in esame, la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c., in forza del principio della ragionevole durata del processo, deve ritenersi superflua, in quanto tanto il ricorso principale quanto il ricorso incidentale appaiono “prima facie” infondati, e l’integrazione del contraddittorio si rivela, perciò, attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento (Cass. Sez. U, 23/09/2013, n. 21670).

1.1. Il primo motivo di ricorso di S.E.M. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1027 e 1028 c.c., nonchè degli artt. 1071 e 1031 c.c. Si critica la decisione della Corte d’appello di Perugia per aver ritenuto applicabile l’art. 1071 c.c., riconoscendo la servitù di passaggio, già spettante per titolo contrattuale al fondo dominante costituito dalla particella (OMISSIS), dovuta anche in favore della particella (OMISSIS), derivante dal frazionamento della particella (OMISSIS). Ad avviso della ricorrente, l’art. 1071 c.c. opera, invece, solo in caso di “divisione”, e non anche nell’ipotesi di frazionamento del fondo dominante. La censura aggiunge che la particella (OMISSIS) “è priva di qualsiasi utilità”.

Tale motivo di ricorso è palesemente infondato.

In tema di servitù prediali, il principio della cosiddetta indivisibilità di cui all’art. 1071 c.c. comporta che, nel caso in cui “il fondo dominante viene diviso”, la servitù permane su ogni porzione del medesimo, a meno che non si renda più gravosa la condizione del fondo servente. La divisione del fondo dominante, attuata, ad esempio, a seguito di plurime alienazioni parziali, implica, dunque, la nascita – in luogo ed in sostituzione della originaria servitù prediale costituita a favore di esso – di altrettante servitù separate ed autonome, attribuite ai diversi proprietari delle singole parti in cui il medesimo fondo sia stato diviso (arg. da Cass. Sez. 2, 25/07/1983, n. 5109). Ovviamente, ed in ciò basta soltanto correggere la motivazione della sentenza impugnata (restando conforme a diritto il dispositivo), non vi è luogo a fare applicazione dell’art. 1071 c.c., comma 1, e non vi è dunque ragione alcuna di dubitare della permanenza della servitù, allorchè, come risulta accertato nel caso in esame, il fondo dominante non sia stato diviso, e cioè attribuito a diversi proprietari, ma sia stato unicamente oggetto di un frazionamento catastale, di per sè consistente nella mera redazione di un documento tecnico indicante in planimetria le particelle catastali al fine della voltura in catasto (arg. da Cass. Sez. 3, 28/04/1999, n. 4240). Ne consegue ancora che non ha alcun fondamento normativo l’interrogativo che si pone la ricorrente principale sulla permanente utilità della servitù di passaggio in favore della particella catastale frazionata del fondo dominante, comunque rimasto per intero in proprietà R..

1.2. Il secondo motivo di ricorso di S.E.M. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1051 e 1054 c.c., nonchè dell’art. 116 c.p.c., quanto all’esistenza di possibili strade alternative, ipotizzate nella espletata CTU, rispetto al passaggio coattivo costituito sulla particella (OMISSIS). La ricorrente principale contraddice la necessità del passaggio per l’itinerario prescelto in sentenza, soluzione che i giudici di secondo grado hanno motivato per la presenza di vincoli paesaggistici sugli altri tracciati praticabili. Viene anche negata la novità dei documenti fotografici prodotti dagli appellanti all’udienza di discussione, trattandosi soltanto di rappresentazione “attualizzata” del tratto di stata riportato in perizia. Per di più, viene evidenziato come le particelle (OMISSIS), sempre in proprietà S., costituiscono un’unica aia, e cioè il cortile di pertinenza del fabbricato di residenza della ricorrente.

Anche questo secondo motivo del ricorso principale è del tutto infondato.

L’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla scelta del luogo sul quale deve essere in concreto esercitato il passaggio coattivo, in applicazione dei criteri fissati dall’art. 1051 c.c. (tracciato più breve e meno dannoso per il fondo servente), risolvendosi in una valutazione di fatto, non è sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove, come nel caso in esame, sia peraltro giustificato con motivazione che contiene le argomentazioni rilevanti al fine di individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione (Cass. Sez. 2, 24/06/2019, n. 16855; Cass. Sez. 2, 28/05/1976, n. 1932; Cass. Sez. 2, 31/07/1980, n. 4904).

La Corte d’appello ha affermato che la strada individuata dal giudice di primo grado era giustificata dalla presenza di vincoli paesaggistici che rendevano impossibile la realizzazione di un diverso passaggio e che le prescrizioni imposte dal Tribunale al R. per l’esercizio del transito apparivano tali da garantire il minimo disagio per il fondo servente.

E’ certamente consolidata l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui il giudice, allorchè emette una sentenza costitutiva di una servitù di passaggio coattivo, deve evitare che il suo comando si ponga in contrasto con norme di carattere imperativo come quelle stabilite dalle leggi urbanistiche e dai piani regolatori che pongano limiti o divieti all’esecuzione delle opere necessarie per la costituzione e/o l’esercizio della servitù, adottando in caso negativo una soluzione differente che consenta l’imposizione in concreto del vincolo (cfr. Cass. Sez. 2, 21/10/1991, n. 11112; Cass. Sez. 2, 12/11/1982, n. 6009; Cass. Sez. 2, 20/03/2012, n. 4431; Cass. Sez. 2, 24/06/2019, n. 16855).

Il secondo motivo del ricorso principale, per quanto riferito al parametro del vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, non deduce un’erronea ricognizione, da parte della sentenza impugnata, della fattispecie astratta recata da una norma di diritto, e piuttosto prospetta un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, facendo perciò questione che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito. S.E.M. dichiara, altrimenti, che “non può essere condiviso quanto affermato dal C.T.U.” sulla impossibilità di realizzare un diverso tracciato, ma spetta sempre al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuali dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Tale valutazione è compiutamente esplicitata nella sentenza della Corte d’appello e non può essere sindacata in sede di legittimità invocando dalla Corte di cassazione, come auspica la ricorrente principale, un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione inferenziale dell’adesione prestata dal giudice di merito ai risultati dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.

La considerazione, pure avanzata nel secondo motivo di ricorso, che la strada “passa a ridosso dell’abitazione” della signora S., e cioè dell’aia e del cortile limitrofi al suo fabbricato di residenza, neppure tien conto dell’interpretazione secondo cui l’esenzione dalla servitù di passaggio coattivo prevista dall’art. 1051 c.c., comma 4, in favore di case, cortili, giardini e aie ad esse attinenti, opera nel solo caso in cui il proprietario del fondo intercluso abbia la possibilità di scegliere tra più fondi, attraverso i quali attuare il passaggio (possibilità di scelta, nella specie, negata nella sentenza impugnata), di cui almeno uno non sia costituito da case o pertinenze delle stesse; la norma indicata non trova, dunque, applicazione allorchè, rispettando l’esenzione, l’interclusione non potrebbe essere eliminata, comportando l’interclusione assoluta del fondo conseguenze più pregiudizievoli rispetto al disagio costituito dal transito attraverso cortili, aie, giardini e simili (cfr. Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14102; Cass. Sez. 2, 26/06/2019, n. 17156).

Quanto alla declaratoria di inammissibilità ex art. 345 c.p.c., comma 3, (qui operante nella formulazione che risulta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012) delle fotografie prodotte all’udienza di discussione del giudizio di appello, ferma la sicura soggezione della allegazione di riproduzioni fotografiche a tale norma, manca comunque uno specifico motivo di ricorso che denunci al riguardo l’eventuale error in procedendo.

1.3. Il terzo motivo di ricorso di S.E.M. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1032 c.c. ed il “difetto di motivazione”, non avendo la Corte d’appello riconosciuto l’indennità di costituzione di servitù coattiva in favore della ricorrente per difetto di specifica domanda, mentre, si sostiene nella censura, il giudice avrebbe comunque dovuto provvedere a determinare tale indennità.

Questo motivo si contrappone al consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte sulla relativa questione di diritto, senza offrire elementi che possano indurre a mutare tale orientamento, secondo cui, appunto, il riconoscimento dell’indennità per la costituzione di servitù coattiva di passaggio deve formare oggetto di specifica domanda da parte del titolare del fondo servente (Cass. Sez. 2, 21/06/2010, n. 14922; Cass. Sez. 2, 22/03/2004, n. 5680; Cass. Sez. 2, 14/12/1988, n. 6814; Cass. Sez. 2, 13/06/1980, n. 3780).

1.4. Il quarto motivo di ricorso di S.E.M. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1032 c.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza impugnata non avrebbe determinato le modalità di esercizio della costituita servitù coattiva sulla base dello stato della strada, rivelando la stessa fessurazioni nella pavimentazione, ed inoltre manifestando lesioni delle strutture murarie l’edificio “presente a ridosso del cancello”.

Anche questo quarto motivo del ricorso principale va disatteso. La sentenza impugnata ha motivato che le prescrizioni imposte dal Tribunale al R. per l’esercizio del passaggio risultavano tali da garantire il minor fastidio possibile per il fondo servente.

La determinazione delle modalità di attuazione e di esercizio della servitù di passaggio coattivo rientra nelle attribuzioni del giudice di merito, il quale, come già detto a proposito del secondo motivo di ricorso, può scegliere tra le varie ipotesi prospettate al riguardo dal consulente tecnico (Cass. Sez. 2, 11/09/1972, n. 2734; Cass. Sez. 2, 24/10/1969, n. 3492; Cass. Sez. 2, 18/04/1968, n. (OMISSIS)0; Cass. Sez. 2, 13/08/1966, n. 2226). Nel dettare le modalità di attuazione e di esercizio della servitù coattiva, il giudice del merito deve provvedere soltanto nell’osservanza dei criteri dettati da Codice civile in relazione alle accertate concrete necessità da soddisfare, curando l’equo contemperamento della utilità del fondo dominante e dell’aggravio del fondo servente. Ogni dubbio che residui al riguardo sulle modalità di esercizio della servitù coattiva (come di quella convenzionale) di passaggio, va risolto alla stregua della medesima legge economica del minimo mezzo (Cass. Sez. 2, 24/06/1965, n. 1324; Cass. Sez. 2, 07/03/1956, n. 674).

Il quarto motivo del ricorso principale non evidenzia, peraltro, dubbi sulla preventiva e dettagliata individuazione del titolo giudiziale costitutivo della servitù, se non con riguardo ad elementi dei quali può ritenersi consentita l’eventuale specificazione nella fase esecutiva, ex artt. 2931 c.c. e artt. 612,613 c.p.c. Nè assume rilievo l’invocazione del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, sottende unicamente il vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Al di là delle insufficienti specificazioni, prescritte dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, inerenti al “come” ed al “quando” le questioni relative alla pavimentazione della strada ed alle condizioni statiche dell’edificio latistante fossero state dedotte nei pregressi gradi di merito all’interno delle difese di S.E.M., resta che non si tratta comunque di veri e propri “fatti”, intesi in senso storico e normativo, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. L’unico motivo del ricorso incidentale di R.L. lamenta la violazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 5 in ordine alla parte della sentenza della Corte d’appello di Perugia che ha statuito sulle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio. I giudici di appello, ritenuto eccessivo l’ammontare delle spese di lite liquidato dal Tribunale a carico degli attori (Euro 22.754,60 per onorari), premessa l’applicabilità del D.M. n. 55 del 2014 (in particolare, richiamando l’art. 21, comma 7) e dichiarata la causa di valore indeterminabile, hanno quantificato in Euro 7.254,00 le spese dovute per il primo grado, e, compensate le spese d’appello per 1/3, hanno posto a carico degli appellanti principali la residua frazione liquidata in Euro 3.700,00.

Il ricorrente incidentale, premessa l’erroneità del riferimento fatto in sentenza al D.M. n. 55 del 2014, art. 21, comma 7, giacchè relativo all’attività stragiudiziale, ha osservato come la liquidazione delle spese operata dal Tribunale non meritasse riforma, giacchè comunque in linea con i valori medi dell’individuato scaglione da Euro 26.000,00 ad Euro 52.000,00, dovendo altresì operare le maggiorazioni del compenso di cui ai primi due commi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4. Ad avviso del ricorrente incidentale, del pari illegittimamente inferiore ai valori medi di cui alle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014, e non comprensiva della maggiorazione di cui all’art. 4, comma 2, citato, risulta la liquidazione delle spese del giudizio d’appello disposta dalla Corte di Perugia.

L’unico motivo del ricorso incidentale di R.L. (al di là del giusto rilievo circa l’improprio richiamo operato in sentenza al D.M. n. 55 del 2014, art. 21, comma 7, il quale rientra tra le disposizioni concernenti l’attività stragiudiziale) non può essere accolto, giacchè la censura è imperniata sull’errato presupposto giuridico di un vincolo per il giudice, in base al D.M. n. 55 del 2014 (ritenuto nella specie applicabile ratione temporis), alla determinazione delle spese processuali secondo i valori medi ivi indicati, dovendo, invece, il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe (Cass. Sez. 6 – L, 31/01/2017, n. 2386; Cass. Sez. 6 3, 09/11/2017, n. 26608; Cass. Sez. 6 – 3, 11/12/2017, n. 29606).

Il ricorrente incidentale, dunque, ha inammissibilmente impugnato per cassazione la liquidazione delle spese processuali, operata dal giudice d’appello nella vigenza del D.M. n. 55 del 2014, anche a modificazione della statuizione sulle spese processuali di primo grado (operata in presenza di uno specifico motivo di gravame al riguardo), in quanto ha indicato le voci e gli importi considerati, sui quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, prendendo a riferimento i valori medi liquidabili, mentre non è sindacabile in sede di legittimità l’esercizio del potere discrezionale del medesimo giudice di merito di procedere alla liquidazione dei compensi ove sia stato contenuto tra i parametri minimi e massimi fissati dalla tabella (cfr. ancora Cass. Sez. L, 10/05/2019, n. 12537). III. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno perciò entrambi rigettati, compensandosi per intero tra le parti costituite le spese del giudizio di cassazione in ragione della reciproca soccombenza. Non si deve provvedere al riguardo per gli ulteriori intimati, i quali non hanno svolto in questa sede attività difensive.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, -, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per le rispettive impugnazioni, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa per intero tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

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