Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17938 del 24/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 17938 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 4861-2010 proposto da:
AVELLA

EUGENIO

VLLCNE49C13C259P,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ADOLFO RAVA 124, presso la
sede

A.N.M.I.L.

ASSOCIAZIONE

Onlus

NAZIONALE

MUTILATI ED INVALIDI DEL LAVORO, rappresentato e
difeso dall’avvocato DALLA CHIESA MAURO, giusta delega
2013

in atti;
– ricorrente –

1174
contro

– FONDIARIA SAI S.P.A. 00818570012,

(già S.A.I.

SOCIETA’ ASSICURATRICE INDUSTRIALE S.P.A.) in persona

Data pubblicazione: 24/07/2013

del legale rappresentante pro tempore e ALLIANZ S.P.A.
(già R.A.S. RIUNIONE ADRIATICA DI

001284303298,

SICURTA’ S.P.A.), in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA
DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato

unitamente all’avvocato BELLI PACI LUCIANO, giusta
delega in atti;
DITTA
02178210122,

SIPAC

CENTRO

TECNICO

LAZIALE

S.R.L.

in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 9, presso lo studio
dell’avvocato VARONE PASQUALE, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato LIONE AUGUSTO, giusta
delega in atti;
– controricorrenti
avverso la sentenza n.

1302/2008 della CORTE D’APPELLO

di TORINO, depositata il 09/02/2009 R.G.N. 750/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

04/04/2013

dal Consigliere Dott. PIETRO

VENUTI;
udito l’Avvocato DALLA CHIESA MAURO;
udito l’Avvocato SILVESTRI CARLA per delega PERILLI
MARIA ANTONIETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per il

PERILLI MARIA ANTONIETTA, che le rappresenta e difende

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rigetto del ricorso

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R.G. n. 4861/10
Ud. 4.4.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
giudizio la società datrice di lavoro Sipac – Centro Geotecnico Laziale
s.r.1., chiedendone la condanna al pagamento della somma di
548.121,91 per invalidità permanente, danno biologico, danno morale ed
inabilità temporanea, ritenendola responsabile dell’infortunio da lui
subito in data 11 giugno 1996.
Esponeva che, mentre era intento a smontare imponenti casseformi
per il getto di calcestruzzo, per la costruzione di muri di contenimento,
alti 10 metri, per la linea ferroviaria ad alta velocità Milano – Venezia,
una cassaforma si inclinava perché male agganciata dalla squadra
precedente, sicché egli si lanciava nella scarpata sottostante per evitare `f 7
di essere schiacciato, riportando così gravissime lesioni permanenti.
Chiamate in causa le società assicuratrici della Sipac, SAI s.p.a. e
RAS s.p.a., il giudice adito respingeva la domanda, con decisione
confermata dalla Corte d’Appello di Milano con sentenza 16 novembre
2004 – 31 gennaio 2005 n. 45.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il lavoratore
e questa Corte, con sentenza n. 9817/08, in accoglimento del ricorso,
cassava la sentenza impugnata e rinviava per un nuovo esame alla Corte

d’Appello di Torino.
Il lavoratore riassumeva il processo e la Corte di merito, con
sentenza depositata il 9 febbraio 2009 rigettava l’appello, confermando la
sentenza di primo grado.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso Eugenio
Lavella sulla base di cinque motivi.
La societìSipac, la Fondiaria-Sai S.p.A. (già SAI S.p.A.) e la Allianz
S.p.A. (già RAS S.p.A.) hanno resistito con controricorso.
Tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Con ricorso al Tribunale di Milano Eugenio Avella conveniva in

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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, cui fa seguito il relativo quesito di diritto ex

art. 366 bis cod. proc. civ., allora in vigore, il ricorrente, denunziando
violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, e
art. 384, commi 1 e 2, cod. proc. civ.), deduce che, alla stregua della
ritenersi definitivamente accertati taluni dati di fatto (esperienza di lavoro
dell’Avena nel montaggio delle casseformi; ruolo di caposquadra
dell’Avella; omesso aggancio alla parete dell’ultimo pannello da parte
della squadra che aveva operato in precedenza nello stesso cantiere;
altezza non superiore ai due metri della putrella sulla quale si trovava il
lavoratore al momento dell’infortunio).

Il giudice di rinvio, andando oltre i compiti devolutigli, ha invece
posto “come incerto il fatto certo” del mancato aggancio dell’ultimo
pannello, affermando che “quand’anche provato”, tale elemento avrebbe

dovuto poi essere valutato alla luce della reale dinamica del sinistro ed
in particolare dell’altezza alla quale lavorava l’Avena in quel momento”.
Così facendo ha rimesso in discussione una circostanza
definitivamente acquisita al processo, finendo per compiere un nuovo e
diverso accertamento dei fatti.
2. Con il secondo motivo, seguito dal quesito di diritto, denunziando
violazione o falsa applicazione degli artt. 2087, 2049, 1218, 2697 cod.
civ., 384, commi 1 e 2, cod. proc. civ., il ricorrente, premesso che era
pacifica la circostanza che il pannello della cassaforma si era inclinato al
momento dell’infortunio, deduce che da tale circostanza la Cassazione,
con la sentenza rescindente, aveva desunto che l’infortunio non era
conseguenza esclusiva dell’operato dell’Avena, come ritenuto dal giudice
d’appello, ma, quanto meno, del concorso di colpa con quello di altro
dipendente, del cui operato il datore di lavoro era tenuto a rispondere ai
sensi dell’art. 2049 cod. civ. La stessa Corte aveva quindi enunciato i
principi di diritto ai quali il giudice di rinvio avrebbe dovuto attenersi. La
Corte torinese, invece, partendo dalla premessa che l’Avena era scivolato
mettendo un piede in fallo e tenuto conto dell’altezza in cui si trovava il

sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, dovevano ormai

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1~3J-lavoratore, pari a metri 1,60 – 1,70, ha ritenuto che la caduta
dell’ultimo pannello della cassaforma non costituisse un elemento
determinante per il verificarsi dell’infortunio.
Così facendo la Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione
dei principi in tema di responsabilità datoriale nei confronti del
lavoratore per danni derivanti da infortunio (art. 2087 cod. civ.) e di
che deve provare, soggiacendo alla presunzione di colpa, che il danno è
dipeso da causa a lui imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo
di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.
3. Con il terzo, il quarto e il quinto motivo è denunziata omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio.
Censura il ricorrente la sentenza impugnata per avere
sostanzialmente escluso il nesso causale tra l’avvenuta inclinazione
dell’ultimo pannello della cassaforma e l’infortunio, per essere il
lavoratore scivolato e comunque per essersi il pannello inclinato verso il
lato opposto della scarpata, dove il lavoratore precipitò.
Sostiene che, diversamente da quanto affermato dalla Corte di
merito, i due fatti (caduta del pannello e scivolamento) sono collegati tra
loro e comunque la sentenza impugnata non spiega l’esclusione della
incidenza causale tra gli stessi. Aggiunge che la motivazione della
sentenza è viziata anche nella parte in cui attribuisce rilevanza decisiva
all’altezza in cui l’Avella lavorava.
Deduce che la sentenza impugnata ha seguito un percorso
palesemente non corretto laddove ha affermato che non era certo se il
pannello fosse stato agganciato o meno dalla precedente squadra di
lavoratori ovvero se fosse stato sganciato dallo stesso Avella o da altri su
sua disposizione.
Rileva che la Corte di merito sul punto ha valutato erroneamente le
deposizioni dei testi, dalle quali era invece emerso che l’Avena e la sua
squadra non avevano avuto alcun ruolo nello svitamento del bullone di
aggancio dell’ultimo pannello.

quelli in materia di onere della prova, secondo cui è il datore di lavoro

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Precisa ancora il ricorrente che è errata la motivazione della
sentenza nella parte in cui esclude la responsabilità del dirigente della
Sipac s.r.l. che aveva assunto l’Avella, affidandogli l’esecuzione del lavoro
in questione.
Una volta accertato, infatti, che l’ultimo pannello della cassaforma
non era stato agganciato al muro con il sostegno telescopico, era “chiaro

verifica della sicurezza del cantiere si pone”, a nulla rilevando che l’Avena
fosse un operaio esperto e che avesse eseguito una prova di lavoro,
peraltro su altri pannelli più bassi.
Peraltro, nulla risultava dalla sentenza circa eventuali controlli
preventivi eseguiti dal dirigente sulle casseformi dove operava l’Avena in
quel primo giorno di lavoro, unitamente alla sua squadra.
4. Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in ragione
della loro connessione, non è fondato.
Nel cassare la sentenza della Corte di Appello di Milano, questa
Corte, con la citata sentenza (n. 9817/08), ha enunciato i seguenti
principi di diritto :

– “La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 codice civile è di
carattere contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di
lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell’art. 1374 c.c.) dalla
disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma
contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda
di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell’art.
1218 cod. civ., sull’inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il
lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da
infortunio sul lavoro, deve allegare e provare la esistenza dell’obbligazione
lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la prestazione,
mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui
non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza,
apprestando tutte le misure per evitare il danno”.
– “Alla responsabilità del datore di lavoro nei confronti del lavoratore
per danni da infortunio sul lavoro per inadempimento all’obbligo
contrattuale di sicurezza si applicano, oltre l’art. 1218 cod. civ., le altre

che un problema di responsabilità per chi avesse assunto il compito di

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regole civilistiche sull’inadempimento dell’obbligazione, ed in particolare
l’art. 1227 cod. civ., comma 1, sul concorso di colpa del creditore, e ciò
diversamente dal regime di tutela previdenziale degli infortuni sul lavoro,
nei quali l’istituto assicuratore è tenuto a pagare la rendita nella sua
interezza anche in caso di concorso del lavoratore nella causazione della
lesione della propria integrità psicofisica”.
tenuto ad una particolare diligenza e sorveglianza sull’operato degli altri
lavoratori della squadra, possono indurre il giudice del merito ad una
particolare valutazione del suo concorso causale ad un infortunio a proprio
danno, ma non ad escludere l’incidenza causale su tale infortunio
dell’operato di altri lavoratori non dipendenti dal medesimo caposquadra,
del cui operato il datore di lavoro è tenuto a rispondere, ai sensi dell’art.
2049 cod. civ. v.
Ha poi rilevato questa Corte con detta sentenza che il giudice
d’appello, “come conseguenza della omessa applicazione” di tali principi,
aveva omesso di valutare :
– il possibile concorso causale della negligenza della squadra
precedente;
– l’eventuale responsabilità del dirigente che aveva collaudato
l’Avella, lo aveva introdotto sul teatro lavorativo ed aveva presidiato
all’inizio dei lavori della sua squadra;
– se, attesa la dinamica dell’ infortunio – inclinazione di una
cassaforma male agganciata delle dimensioni di metri 6 per 1,50, con
pericolo di schiacciamento del lavoratore sotto di essa – l’altezza alla
quale operava l’Avena potesse avere incidenza determinante.
Ha quindi rinviato la causa alla Corte d’Appello di Torino “la quale

deciderà la causa sulla base delle circostanze di fatto acquisite al
processo, che provvederà a valutare autonomamente, applicando ad esse i
principi di diritto sopra enunciate’.
5. Il giudice di rinvio, nel ricostruire la dinamica dell’infortunio, ha
affermato che l’Avena, sentito nell’immediatezza dei fatti, ha dichiarato
alla polizia giudiziaria che egli si trovava a circa metri 1,80 da terra e di
essere caduto perché gli era scivolato un piede.

– “Le qualità professionali di un lavoratore (nella specie caposquadra),

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Ha aggiunto che tali circostanze sono state confermate dal teste
Greco, il quale ha riferito altresì che l’Avena era “scivolato” quando già
aveva praticamente ultimato il suo compito su quella cassaforma.
A tali dichiarazioni la Corte di merito ha sostanzialmente attribuito
rilevanza decisiva, disattendendo le successive dichiarazioni rese, a
distanza di circa cinque anni, dallo stesso Avella, il quale, modificando
un’altezza di sei metri dal suolo.
Sulla scorta di tali elementi la Corte di merito ha innanzitutto
escluso che potessero ravvisarsi elementi di responsabilità a carico del
dirigente che aveva assunto e ‘collaudato l’Avella, essendo stato il
lavoratore preposto a lavori confacenti alla sua qualifica (capo squadra),
alla sua esperienza e alle sue attitudini (“….L’Avella era caposquadra

esperto, che già aveva svolto lavori simili e che era stato visto all’opera dal
dirigente della Sipac)”.
Ha altresì escluso che il datore di lavoro fosse venuto meno agli
obblighi impostigli dall’art. 2087 cod. civ., e cioè di adottare non solo le
particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione al tipo
di attività esercitata, ma anche tutte le altre misure che in concreto siano
richieste dalla specificità del rischio.
Ed infatti, da un lato erano state fornite al lavoratore “tutte le

dotazioni di cui egli poteva/ doveva servirsi all’occorrenza”, dall’altro
l’altezza dal suolo in cui l’Avella si trovava escludeva che dovesse far uso
di particolari accorgimenti al fine di scongiurare il pericolo di cadute.
L’altezza, ad avviso del giudice d’appello, costitutiva un elemento
determinante, “in quanto mentre l’agganciarsi alla sicurezza era plausibile

ed utile stando a 6 metri di altezza, altrettanto non si può dire se ci si trova
ad altezza risibile dal suolo’,
Fermi restando tali elementi, la Corte di merito ha poi fatto altre
considerazioni sull’avvenuta inclinazione del pannello, ponendo in
dubbio se esso fosse stato o meno agganciato dalla squadra che aveva
precedentemente eseguito i lavori, ovvero se fosse stato sganciato su
disposizione dello stesso Avella, quale capo squadra, ma tali
considerazioni non scalfiscono l’impianto della motivazione, fondata su

l’originaria versione, non confermata dai testi, aveva riferito di trovarsi ad

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elementi incontestabili, desunti dalle stesse dichiarazioni dell’infortunato
e dal teste Greco nell’immediatezza dei fatti, e cioè che l’infortunio si
verificò per essere il lavoratore scivolato da un’altezza inferiore ai due
metri.
Alla stregua di tutto quanto precede, non si ravvisano nella
sentenza impugnata le dédotte violazioni di legge o i denunziati vizi di

Adeguandosi ai principi ed ai criteri dettati dalla pronuncia
rescindente, il giudice d’appello ha accertato che il datore di lavoro non è
venuto meno agli obblighi di sicurezza impostigli dall’art. 2087 cod. civ. e
che l’infortunio non è dipeso da causa a lui imputabile. Ha inoltre
escluso l’incidenza causale nella determinazione dell’infortunio della
condotta posta in essere dalla precedente squadra di lavoro nonché del
dirigente che aveva assunto il D’Avella e lo aveva preposto al lavoro in
questione.
Tutto ciò con una motivazione congrua, coerente e priva di vizi
logico-giuridici, resa sulla scorta di accertamenti di fatto e valutazioni
incensurabili in questa sede, non essendo consentito al giudice di
legittimità di riesaminare il merito della vicenda processuale e di
sostituire una propria valutazione a quella data dal giudice di merito,
bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica
e della coerenza logica-formale, delle argomentazioni svolte da tale
giudice.
E’ appena il caso di rilevare che spetta in via esclusiva al giudice di
merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di
controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le
complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee
a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti.
Conseguentemente per potersi configurare il vizio di motivazione su
un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di
causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione
giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella
circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa

motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio.

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soluzione della vertenza con un giudizio di certezza e non di mera
probabilità (cfr., tra le altre, Cass. 15355/04; Cass. 9368/06; Cass.
9245/07; Cass. 14752/07).
Nella fattispecie in esame non si ravvisa nella sentenza impugnata
l’omesso esame di elementi che avrebbero potuto condurre a una diversa
decisione.

compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio, stante
l’obiettiva complessità della valutazione degli elementi di fatto e di diritto
della fattispecie.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente
giudizio.
Così deciso in Roma in data 4 aprile 2013.

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, previa

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