Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17937 del 24/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 17937 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA
sul ricorso 10828-2011 proposto da:
ROSATI

RICCARDO

RSTRCR46C24H501A,

elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DI RIPETTA 22, presso lo
STUDIO LEGALE GERARDO VESCI & PARTNERS, rappresentato
e difeso dall’avvocato VESCI GERARDO, giusta delega
in atti;
– ricorrente –

2013
1170

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A.

(GIA’ BANCA INTESA SPA)

00799960158, in persona del legale rappresentante pro
m

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE

Data pubblicazione: 24/07/2013

IV 99, presso lo studio dell’avvocato FERZI CARLO,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
ANGELO CHIELLO, POZZOLI CESARE, giusta delega, in
atti;
– controricorrente

D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/09/2010 R.G.N.
8096/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/04/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato VESCI GERARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 9868/2009 della CORTE

Svolgimento del processo
Con sentenza del 14/12/09 — 1/9/10 la Corte d’appello di Roma ha rigettato
l’impugnazione proposta da Rosati Riccardo avverso la sentenza del giudice del
lavoro del Tribunale di Roma che gli aveva respinto la domanda diretta

confronti a decorrere dal 1994 dalla Banca Intesa San Paolo s.p.a ed al
conseguente ristoro dei relativi danni.
La Corte ha motivato il rigetto del gravame sulla base delle seguenti
considerazioni: – Anzitutto,era da considerare inammissibile il tentativo, posto in
essere in appello dal ricorrente, di spostare in avanti di parecchi anni il momento
della lamentata dequalificazione al fine di rivalutare di molto le mansioni svolte
inizialmente nel 1994 presso la sede di Barletta e di far risaltare, nel contempo,
l’asserita pochezza di quelle progressivamente affidategli dopo il trasferimento a
Roma nel dicembre del 1999. La domanda era, comunque, infondata atteso che
non era stata indicata, neppure in modo generico, la declaratoria contrattuale di
appartenenza, né quella ritenuta inferiore nella quale, secondo l’assunto del
ricorrente, sarebbero confluite, a partire da un certo momento, le mansioni fattegli
svolgere successivamente. Tutto ciò rendeva problematico accertare sia “ran” che
il “quantum” dei pretesi danni; dall’istruttoria di prime cure era emerso che le
mansioni svolte dal Rosati presso la sede di Roma Tiburtina, luogo in cui si
sarebbe consumata la lamentata dequalificazione, erano state connotate da
elevate responsabilità funzionali e preparazione professionale di cui all’art. 66 del
c.c.n.I di riferimento, avendo il ricorrente ricoperto, in quel periodo, il ruolo di “capo
team”.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Rosati, il quale affida
l’impugnazione ad un solo articolato motivo di censura.
Resiste con controricorso la società Intesa Sanpaolo s.p.a.
Il ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

all’accertamento della sua dequalificazione professionale posta in essere nei suoi

mw4-901.4 Motivi della decisione

Con un solo articolatdil ricorrente si duole della violazione, oltre che dell’errata e
falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 2103, 1362 e segg. cod. civ., 115 e
116 cod. proc. civ., nonché di quelle del CCNL per i quadri direttivi e per il

strumentali, anche alla luce dell’accordo quadro di attuazione del protocollo di
intesa del 4 giugno 1997 sul settore bancario del 28 febbraio 1998. Nel contempo
il Rosati si lamenta dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa
un punto decisivo della controversia.
Attraverso tali censure il ricorrente si lamenta, anzitutto, del fatto che i giudici
d’appello avrebbero interpretato in modo erroneo la sua domanda non attribuendo
il dovuto rilievo al susseguirsi dei comportamenti illegittimi di dequalificazione
perpetrati nei suoi confronti dalla datrice di lavoro nel tempo fino al 1999 e
collocandoli, invece, inspiegabilmente, nel corso del 1994. Inoltre, il Rosati si
duole della rilevata tardività della produzione dei documenti che erano stati,
invece, allegati alle note autorizzate per l’udienza del 17 marzo 2005 e dai quali
sarebbe stato possibile evincere la crescente rilevanza quantitativa e qualitativa
delle attività affidategli dalla fine del 1992 al dicembre del 1999. Il ricorrente
imputa, altresì, ai giudici d’appello un superficiale esame delle risultanze delle
prove testimoniali che avrebbero dimostrato l’effettivo decremento del contenuto
delle funzioni e delle mansioni attribuitegli successivamente al trasferimento
presso la filiale di Roma. I medesimi giudici si sarebbero limitati, inoltre, a
compiere una ricognizione approssimativa del contenuto formale dei profili
professionali via via attribuitigli, senza sondarne l’effettiva consistenza ed
omettendo il giudizio di comparazione delle mansioni svolte ai fini di una corretta
applicazione del disposto di cui all’art. 2103 c.c., con inevitabili ripercussioni sulla
verifica del denunziato demansionamento. Egualmente errata sarebbe stata la
decisione della Corte di attribuire valore determinante alla locuzione contenuta

personale delle aree professionali dipendenti dalle aziende di credito, finanziarie e

nella norma contrattuale di cui all’art. 66 del coni di riferimento, vale a dire al solo
dato letterale delle “elevate responsabilità funzionali ed elevata preparazione
tecnica”, nell’affermare la piena equivalenza tra la posizione professionale

ricoperta antecedentemente al trasferimento presso la filiale di Roma e la

dell’evoluzione subita nel tempo dalla contrattazione collettiva in punto di
inquadramento del personale e senza procedere alla comparazione tra la vecchia
e la nuova articolazione delle aree professionali.
Il ricorso è infondato.
Invero, le suddette censure, così come poste, non scalfiscono l’articolata “ratio
decidendi” sulla quale è basata la sentenza impugnata, vale a dire, da un lato, la
rilevazione della mancata individuazione, da parte del ricorrente, dei criteri legali e
contrattuali di distinzione delle varie categorie e qualifiche e della comparazione
tra queste e le mansioni effettivamente svolte ai fini dell’accertamento del corretto
inquadramento o della corrispondenza di queste ultime al livello professionale
raggiunto, e, dall’altro, la verificata congruità delle mansioni svolte presso la filiale
di Roma Tiburtina rispetto all’inquadramento posseduto dal Rosati, vale a dire
quello di quadro direttivo di livello apicale.
Infatti, la Corte d’appello ha, dapprima, adeguatamente evidenziato con congrua
motivazione che sfugge ai rilievi di legittimità, che il ricorrente non aveva descritto,
neppure in modo generico, né la declaratoria contrattuale di appartenenza, né
quella dedotta come inferiore in cui ad in certo punto della sua carriera (presso la
filiale di Barletta, secondo le indicazioni fornite in primo grado, e presso la filiale di
Tiburtina, secondo la nuova prospettazione in appello) sarebbero state incasellate
le mansioni nel periodo di presunta dequalificazione. A quest’ultimo riguardo la
stessa Corte ha logicamente osservato che lo spostamento in avanti, nella sede
d’appello, della decorrenza della supposta dequalificazione di circa quattro anni

posizione di ” Capo-team ” successivamente attribuitagli, senza tener conto

finiva per mettere in discussione anche il nesso di causalità tra i comportamenti
ascritti alla datrice di lavoro e le conseguenze lamentate dal lavoratore.
Inoltre, la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado in merito
all’avvenuto riscontro dello svolgimento di mansioni da parte del Rosati presso la

preparazione professionale proprie della declaratoria contrattuale di appartenenza,
stante il suo compito di coordinamento in posizione di “Capo-team”, ha avuto
modo di spiegare, con congrua ed adeguata motivazione, che nessun
ridimensionamento delle predette mansioni si era registrato nel periodo di
applicazione presso quest’ultima filiale, tanto che dalla prova testimoniale era
emerso che i compiti di coordinamento del personale venivano svolti
dall’appellante in sostituzione del direttore della filiale e che lo stesso giudice di
prime cure aveva accertato che dopo la posizione di “capo-team” il ricorrente
aveva ricoperto a Roma anche il ruolo di “gestore senior”, con sviluppo della sua
professionalità.
Pertanto, le suddette censure si risolvono in massima parte in una mera richiesta
di rivisitazione del materiale probatorio congruamente apprezzato nei suoi vari
risvolti dai giudici d’appello e che non è ammissibile sostenere nella presente sede
di legittimità. Egualmente, nessuna censura merita la decisione nel punto in cui è
correttamente applicato il canone ermeneutico dell’interpretazione letterale della
disposizione contrattuale di cui all’art. 66 del ccnI di riferimento.
Quanto alla lamentela che investe la ritenuta tardività della produzione
documentale va osservato che è il medesimo ricorrente ad ammettere che i
documenti furono allegati alle note autorizzate per l’udienza del 17/3/2005, cioè
non in concomitanza col deposito del ricorso introduttivo del giudizio e, comunque,
gli stessi non sono indicati in maniera specifica, in spregio al principio
dell’autosufficienza che presiede al giudizio di legittimità, nè è dimostrata,
tantomeno, la loro decisività ai fini della fondatezza dell’impugnazione.

4

filiale di Tiburtina col contenuto delle elevate responsabilità e della elevata

Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

misura di € 4000,00 per compensi professionali e di € 50,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma il 3 aprile 2013
Il Consigliere estensore

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio nella

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