Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17936 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. III, 04/07/2019, (ud. 24/05/2019, dep. 04/07/2019), n.17936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7368-2018 proposto da:

C.A., M.E., M.T., MI.EL.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 7, presso lo

studio dell’avvocato PIERPAOLO PASSARO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FEDERICA SALEMI;

– ricorrenti –

contro

MI.EO.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 573/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 03/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/05/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Mi.El., C.A., E. e M.T., i primi due quali usufruttuari e le altre quali nude proprietarie di un immobile concesso in comodato a Mi.Eo. con scrittura privata registrata il 12.6.2000, agirono nei confronti del comodatario per ottenere il rilascio dell’immobile, assumendo che si trattava di comodato precario e allegando altresì la necessità di effettuare urgenti interventi di ristrutturazione.

Il convenuto resistette alla domanda, contestando che l’immobile si trovasse in condizioni precarie e sostenendo che la durata del rapporto era rimessa alla volontà del comodatario.

Disposta una c.t.u. (che escludeva la necessità di urgente ristrutturazione), il Tribunale di Terni accolse la domanda attorea, qualificando il comodato come precario e condannando Mi.Eo. all’immediato rilascio dell’immobile.

La Corte di Appello di Perugia, ammessa una prova testimoniale articolata dal convenuto, ha riformato la sentenza, rigettando la domanda di rilascio e condannando gli appellati al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio; in particolare, la Corte ha osservato che:

“nel caso in cui venga posto in essere un comodato privo di scadenza, esso non rientra, ipso facto, nella categoria del comodato c.d. precario”;

“nell’ipotesi in cui un bene immobile venga concesso in comodato, senza un termine esplicito, ma per esigenze abitative di un nucleo familiare”, il termine è “desumibile dall’uso cui la cosa doveva essere destinata, ovvero quello di soddisfare esigenze abitative familiari”; “nel caso di specie quelle del Mi.Eo. e della madre prima e della moglie poi”;

“dalla lettura del contratto si rileva inequivocabilmente che l’unità immobiliare oggetto di scrittura privata è sottoposta al seguente termine “il momento in cui il Mi.Eo. non abitasse più tale unità abitativa per sua esclusiva manifestazione di volontà” termine prorogato sino a quando il Mi.Eo. non manifesti apertamente la volontà unilaterale di lasciare il detto appartamento”;

“anche dal tenore delle missive intercorse tra le parti (fratelli El. ed Eo.) si evince che la volontà degli stessi della concessione del comodato è stata quella di creare un comodato per uso abitativo che sarebbe durato per tutta la vita del M.E.”;

il teste escusso (che, in qualità di geometra, aveva assistito i fratelli M. nella divisione dei beni ereditari della loro madre e nella redazione della scrittura di comodato) aveva dichiarato che “il senso del comodato era (…) di far rimanere Eo. nell’abitazione in cui aveva sempre vissuto con la madre, finchè vivesse”;

la previsione della durata massima possibile, coincidente con la vita del beneficiario, limita la possibilità del comodante di recuperare quando lo ritenga opportuno la disponibilità dell’immobile e, al contempo, rafforza la posizione del comodatario, sottraendolo al rischio di subire il recesso “ad nutum” (in tal senso, è stata richiamata Cass. n. 6203/2014).

Hanno proposto ricorso per cassazione Mi.El., C.A. ed E. e M.T., affidandosi a sei motivi; l’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la “nullità del procedimento, in relazione alla violazione degli artt. 115,116 e 215 c.p.c., per avere il Giudice d’Appello omesso di considerare quale prova legale la confessione stragiudiziale, rilasciata dal sig. Mi.Eo. e depositata nel fascicolo di primo grado degli attori in Tribunale al n. 10)”, nonchè (sub 1.1 e in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) l’omesso esame del medesimo documento, oggetto di discussione fra le parti e decisivo per il giudizio: trascritto il documento in questione (consistente in una missiva sottoscritta da Mi.Eo. e dal suo legale e indirizzata al legale di Mi.El., nella quale si affermava che il contratto di comodato era stato stipulato “a tempo indefinito”), i ricorrenti assumono che lo stesso conteneva una confessione stragiudiziale avente la medesima efficacia di una confessione giudiziale e che il Giudice aveva l’obbligo di attenervisi, senza possibilità di dar corso alla prova testimoniale diretta a provare un fatto contrario e di tener conto delle lettere intercorse fra i fratelli M.; sotto altro profilo, evidenziano che l’omessa considerazione della confessione rilevava anche come omesso esame di un fatto decisivo che era stato oggetto di discussione fra le parti.

1.1. Il motivo è infondato alla luce del principio secondo cui “la qualificazione giuridica del fatto esula dall’ambito della confessione, la quale può avere ad oggetto solo circostanze obiettive e non già opinioni o giudizi” (Cass. n. 11881/2003), atteso che la confessione deve avere ad oggetto fatti obiettivi la cui qualificazione spetta al giudice (cfr. Cass. n. 21509/2011 e Cass. n. 5725/2019).

Deve pertanto escludersi che l’affermazione secondo cui il contratto era stato stipulato “a tempo indefinito” fosse idonea a vincolare il giudice ad inquadrare il rapporto nell’ambito del comodato precario; tanto più che – come osservato dalla Corte di Appello – la mera circostanza che il comodato non indicasse una scadenza non lo colloca necessariamente nella categoria del comodato precario, che va escluso – fra l’altro – quando il bene sia destinato alle esigenze abitative di un nucleo familiare (cfr. Cass., S.U. n. 13603/2004 e Cass., S.U. n. 20448/2014) o quando possa ritenersi che la durata sia parametrata alla permanenza in vita del comodatario (cfr. Cass. n. 6203/2014 e Cass. n. 8548/2008).

2. Col secondo motivo, viene denunciata la nullità della sentenza, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e all’art. 111 Cost., per avere la Corte d’Appello “formulato una motivazione del tutto apparente e/o perplessa, avendo attribuito al contratto di comodato tre diverse interpretazioni”; più precisamente, per avere “1) dapprima (…) definito l’esistenza di un termine coincidente con le esigenze familiari, 2) quindi un termine condizionato alla mera volontà del comodatario, sig. Mi.Eo. e, 3) in ultimo, un termine da considerarsi vita natural durante”; aggiungono che “le suddette “motivazioni” sono copiate integralmente ed in modo acritico dalle difese del sig. Mi. senza che la Corte abbia in alcun modo preso posizione in ordine al provvedimento censurato ed ai motivi proposti dalle parti”; evidenziano, altresì, “l’assenza di un preciso convincimento che emerge dalle diverse interpretazioni del documento del tutto inconciliabili tra loro, non essendo neppure comprensibile in forza di quale parte della motivazione sia stato redatto il dispositivo della sentenza”.

2.1. Il motivo è infondato poichè l’adozione di plurime argomentazioni a sostegno di una conclusione non determina apparenza o perplessità della motivazione laddove la stessa non si articoli in affermazioni incompatibili tra loro e tali da rendere impossibile l’individuazione della ratio decidendi; nel caso in esame, la Corte ha svolto in effetti plurime considerazioni, ma tutte convergenti nel senso della esclusione della natura precaria del comodato, con la conseguenza che la motivazione risulta tutt’altro che apparente e che l’eventuale infondatezza di una o di alcune delle argomentazioni svolte non vale a privare di base motivazionale la decisione, che risulta adeguatamente sorretta dalle altre ragioni della decisione.

Nè vale a determinare il vizio denunciato la circostanza che la sentenza abbia richiamato pressochè alla lettera il contenuto degli scritti difensivi dell’appellante ove – come nel caso – non risulti che tali contenuti siano stati recepiti acriticamente e senza consapevole adesione da parte della Corte.

3. Il terzo motivo deduce la “nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 345 c.p.c. e art. 111 Cost., per non avere la Corte d’Appello dichiarato inammissibile l’eccezione/domanda nuova formulata per la prima volta in appello dall’appellante sig. Mi.Eo., relativa al fatto che il comodato dovesse considerarsi concesso per esigenze familiari”, nonchè (sub. 3.1) la “violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. per non avere la Corte d’Appello posto le prove proposte dalle parti a fondamento della motivazione relativa alla sussistenza/insussistenza di esigenze familiari sottese al comodato” (considerato che risultava documentato che la madre del comodatario era deceduta sette anni prima della stipula del contratto e che, al momento della sottoscrizione del comodato, Mi.Eo. risultava non coniugato).

3.1. Il motivo è infondato e, per il resto, privo di concreto interesse.

Infondato, laddove individua una domanda o un’eccezione nuova anzichè una mera difesa (proponibile anche in appello) nell’affermazione che il contratto era destinato a soddisfare le esigenze del nucleo familiare del comodatario.

Privo di interesse (e, come tale, inammissibile), per il fatto che la circostanza che la Corte abbia sviluppato più di un argomento a sostegno della natura non precaria del rapporto comporta l’irrilevanza dell’erroneità di uno di essi se -per quanto si vedrà oltre- i rimanenti resistano alle censure e valgano, da soli, a sorreggere la decisione.

4. Col quarto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 1362,1363 e 1367 c.c., censurando la Corte per non avere “rispettato il principio gerarchico interpretativo degli articoli deputati all’interpretazione dei contratti; per aver compiuto l’esegesi del testo sulla base di un testo non integrale del documento; per non avere interpretato le clausole una per mezzo delle altre ma sulla base di proposizioni isolate dal contesto; per non aver utilizzato, per l’esegesi, le parole del contratto, ma gli scritti difensivi di controparte”; inoltre denunciano (sub 4.1) la violazione degli artt. 1355 e 1367 c.c. “per aver attribuito efficacia ad una condizione risolutiva meramente potestativa in favore del comodatario di decidere il momento della cessazione del contratto, con conseguente nullità della clausola e apposizione al contratto di comodato (di) un termine meramente apparente”.

4.1. Il motivo è infondato in relazione ad entrambi gli ordini di censure.

Quanto alla violazione dei canoni ermeneutici, deve ritenersi che a prescindere dal riferimento all’interpretazione “oggettiva” del contratto – la Corte abbia indirizzato il proprio esame alla ricostruzione della volontà dei contraenti e che ciò abbia fatto a partire dal dato letterale (ma senza limitarsi ad esso) e sulla base di una lettura complessiva del contratto, in conformità ai criteri interpretativi di cui è stata denunciata la violazione; ciò premesso, deve ritenersi che ogni altra considerazione svolta dai ricorrenti (anche in ordine alla pregnanza della congiunzione “pertanto”) sia diretta a contestare un esito interpretativo mediante la contrapposizione di una lettura diversa da quella compiuta dalla Corte, che, costituendo il risultato di un apprezzamento di merito, non è censurabile sotto il profilo della violazione di norme di diritto.

Deve peraltro escludersi che la riproduzione non integrale del testo del contratto sia sintomatica di un esame incompleto, considerato che risultano richiamate le espressioni salienti; neppure può riconoscersi rilevanza al fatto – correttamente evidenziato dai ricorrenti – che la sentenza abbia virgolettato l’espressione “per sua esclusiva manifestazione di volontà” che non compare nella scrittura contrattuale, giacchè tale espressione non appare comunque decisiva in un contesto in cui è stata riconosciuta (anche mediante sottolineatura) rilevanza dirimente al dato oggettivo della cessazione dell’abitazione dell’immobile da parte del comodatario.

Quanto al secondo ordine di censure, il motivo è parimenti infondato in quanto basato sull’assunto della nullità della condizione risolutiva meramente potestativa, che è erroneo a fronte del chiaro tenore dell’art. 1355 c.c. – che concerne le sole condizioni sospensive – e della pacifica giurisprudenza di legittimità, secondo cui “la condizione potestativa risolutiva non rientra nella previsione di nullità di cui all’art. 1355 c.c. il quale commina la nullità della condizione meramente potestativa sospensiva” (Cass. n. 9840/1999; cfr. anche Cass. n. 5631/1985 e Cass. n. 9879/2018).

5. Col quinto motivo, viene dedotta – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 – l'”omessa valutazione circa un fatto decisivo che è stato oggetto di contestazione tra le parti per avere omesso la Corte di esaminare il documento n. 10) (…) contenente una dichiarazione a firma del comodatario che qualifica il contratto come a tempo indefinito”: i ricorrenti rilevano che, anche a prescindere dal fatto che la comunicazione doveva considerarsi prova legale, risultava non esaminato un fatto che era comunque decisivo ed era stato oggetto di discussione tra le parti.

5.1. Il motivo è infondato perchè il fatto non esaminato è privo di decisività una volta che – per quando rilevato al punto 1.1. – sia stata esclusa la natura confessoria del documento.

6. Il sesto motivo denuncia “la nullità del procedimento per violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1809,1810 c.c., art. 1362 c.c. e ss. per travisamento della prova avendo la Corte d’Appello attribuito un significato al contenuto di tre lettere inviate dal sig. Mi.El. al fratello Mi.Eo. completamente difforme dal contenuto” effettivo, giacchè da nessuna di esse emergeva che il comodato fosse stato stipulato per tutta la durata della vita del comodatario.

6.1. Il motivo è inammissibile, in quanto:

la violazione dell’art. 116 c.p.c. non risulta dedotta in conformità ai parametri individuati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 11892/2016, Cass. n. 27000/2016 e Cass. n. 1229/2019): infatti, un’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio non determina, di per sè, la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., che ricorre solo allorchè si deduca che il giudice di merito abbia disatteso (valutandole secondo il suo prudente apprezzamento) delle prove legali oppure abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione;

non risultano specificamente individuati i termini in cui sarebbero state violate le altre norme richiamate;

la censura investe l’apprezzamento del contenuto delle missive e, quindi, una valutazione di merito che non risulta sindacabile sotto il profilo della violazione di norme di diritto; nè la circostanza che in nessuna delle tre missive si affermi che il comodato si estende a tutta la durata della vita del comodatario appare comunque idonea ad integrare il denunciato travisamento della prova (sotto il profilo dell’attribuzione di un significato completamente difforme dal contenuto), giacchè la Corte ha evidentemente ritenuto – con apprezzamento insindacabile – che il tenore delle missive deponesse comunque nel senso che durata fosse stata pattuita per tutta la vita del comodatario, confermando (“anche dal tenore delle missive (…) si evince che”) la conclusione cui era pervenuta sulla base dell’interpretazione della scrittura contrattuale.

7. In difetto di attività difensiva dell’intimato, non deve provvedersi sulle spese di lite.

8. Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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