Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17935 del 13/08/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 17935 Anno 2014
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 17158-2008 proposto da:
DE BO CONFEZIONI S.N.C., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio
dell’avvocato VESCI GERARDO, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati GUASCO MARCO,
2014

PACCHIANA PARRAVICINI AGOSTINO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1368

contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA

I.N.P.S.
SOCIALE,

C.F.

80078750587,

in persona

del

suo

Data pubblicazione: 13/08/2014

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F.
05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

CORETTI ANTONIETTA, MARITATO LELIO, LUIGI CALIULO,
giusta delega in atti;
– controrlcorrenti

avverso la sentenza n. 707/2007 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 26/06/2007 R.G.N. 901/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/04/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato SGROI ANTONINO per delega MARITATO
LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per:
in via principale inammissibilità, in subordine

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

Svolgimento del processo
Con sentenza del 22/5 — 26/6/2007 la Corte d’appello di Torino ha rigettato
l’impugnazione proposta dalla DE-BO Confezioni s.n.c. avverso la sentenza del
giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo che le aveva respinto

pagamento nei confronti dell’Inps della somma di € 129.920,95 a titolo di contributi
omessi e relative sanzioni concernenti il periodo 1° gennaio 1998 — 31 dicembre
2002.
La Corte territoriale, dopo aver spiegato che il suddetto addebito contribuivo
traeva origine da un accesso ispettivo presso i locali della S.n.c. DIL — Futura, ove
erano state rinvenute a lavorare tra le persone ivi presenti delle lavoratrici che
figuravano come socie di tale impresa, ma che in realtà erano risultate essere alle
dipendenze della DE-BO Confezioni s.n.c., della quale era socio-amministratore
Geninatti Togli Sergio, ha chiarito che l’istruttoria svolta aveva consentito di
rinvenire sicuri riscontri probatori all’accertata sussistenza dei predetti rapporti di
lavoro subordinato posti a base della verificata omissione contributiva di cui
trattasi.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società De-B0 Confezioni
s.n.c. con tre motivi.
Resiste con controricorso l’Inps.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo, proposto per vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5
c.p.c., la ricorrente sostiene che l’iter logico del giudizio della Corte d’appello si
baserebbe solo su alcuni punti delle deposizioni, riportate nel verbale d’udienza
del 15/12/2004, e da tali parti delle testimonianze la stessa Corte aveva tratto il
convincimento dell’avvenuta costituzione della società in nome collettivo “Dil
Futura” al solo fine di dissimulare dei veri e propri rapporti di lavoro subordinato
nei confronti delle lavoratrici che avevano formalmente assunto la veste di socie.

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l’opposizione alla cartella esattoriale con la quale le era stato intimato il

La ricorrente aggiunge che la stessa Corte non avrebbe, però, considerato altre
deposizioni di segno opposto e nemmeno avrebbe spiegato la ragione per la quale
queste ultime non erano state valutate, così come non avrebbe chiarito quali
erano state le risultanze documentali citate nell’iter argomentativo della decisione

2. Col secondo motivo, dedotto anch’esso per vizio della motivazione ai sensi
dell’art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente censura l’impugnata sentenza assumendo che
la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare la sussistenza o meno della
sottoposizione delle lavoratrici, della quale non v’era a suo giudizio prova, al
potere organizzativo e disciplinare della parte datoriale ed avrebbe, altresì,
omesso di valutare la portata giuridica del rapporto intercorso tra le parti, dal
momento che le predette lavoratrici si erano costituite nella società “DIL — Futura”,
la qual cosa escludeva in radice la loro volontà di operare in regime di
subordinazione. Infine, la stessa Corte non avrebbe esposto le ragioni per le quali
aveva ritenuto di non svolgere i predetti accertamenti istruttori, facendo, invece,
direttamente ricorso ai cosiddetti criteri distintivi sussidiari tra lavoro autonomo e
subordinato, senza spiegare nemmeno le ragioni dell’esclusione dell’esame degli
elementi distintivi fondamentali tra le predette tipologie di lavoro.
I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente per ragioni di
connessione dovuta alla prospettazione, sotto diversi aspetti, della stessa
questione della natura subordinata o meno dei rapporti di lavoro posti a base della
pretesa contributiva da parte dell’Inps.
Entrambi i motivi sono infondati, in quanto la ricorrente tenta una rivisitazione delle
risultanze istruttorie, adeguatamente valutate dalla Corte territoriale con giudizio
congruamente motivato ed esente da rilievi di ordine logico-giuridico, che non è
consentita nel giudizio di legittimità.
I giudici d’appello hanno, infatti, adeguatamente spiegato che il primo giudice
aveva posto a base della propria decisione quanto dichiarato in sua presenza

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adottata.

dalle testi nel corso dell’istruttoria orale, con la precisazione che la teste Vottero
Quaranta Daniela non si era limitata a confermare quanto già dichiarato agli
ispettori dell’Inps, ma aveva espressamente aggiunto che era il sig. Geninatti
(socio amministratore della DE.B0 Confezioni s.n.c) ad impartire le direttive per

attività. Inoltre, la Corte ha chiarito che dalle altre deposizioni erano emersi nel
complesso elementi di sostanziale conferma della natura subordinata del rapporto
di lavoro, a prescindere dal fatto che alcune testi avevano a volte rinnegato quanto
dichiarato nel corso dell’ispezione. A tal riguardo nella sentenza è spiegato che la
teste Canova Giselda aveva confermato che era il Geninatti a corrispondere la
retribuzione, quantificata in base alle ore di lavoro effettuate, e a versare la
contribuzione ed è, altresì, precisato che la teste Montaldo Roberta aveva
affermato che era il Geninatti a dare indicazioni sul tipo di lavorazione da svolgere.
Quindi, può affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni del materiale
probatorio operate dal giudice d’appello appaiono sorrette da argomentazioni
logiche e perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti
registrare dall’esito delle prove orali su punti qualificanti della controversia, per cui
le stesse non meritano affatto le censure di omessa, contraddittoria ed illogica
motivazione mosse dalla ricorrente.
Nè va dimenticato che “in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio
di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il
potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo
vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e
della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito,
al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle
ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi,

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l’esecuzione del lavoro e a controllare le lavoratrici durante lo svolgimento delle

dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti
(salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi
configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia,
è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e

circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione
della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con
quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un
punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da
invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia
probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la
“ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base.” (Cass. Sez. 3 n. 9368 del
21/4/2006; in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04)
3. Col terzo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art.
2094 cod. civ. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., assumendo
che la Corte d’appello non avrebbe correttamente applicato la predetta norma del
codice civile, che configura l’ipotesi della subordinazione, in quanto non avrebbe
effettuato la valutazione del “nomen iuris” del rapporto oggetto di causa e non
avrebbe acquisito la prova rigorosa della sussistenza della ravvisata
subordinazione.
Osserva la Corte che il motivo è inammissibile, in quanto a conclusione dello
stesso non è formulato il quesito di diritto prescritto dall’art. 366-bis c.p.c. nella
formulazione “ratione temporis” vigente.
Infatti, il quesito di diritto richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in
base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve essere formulato in
maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in
giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5/1/2007 n. 36), dovendosi, pertanto, ritenere come
inesistente un quesito generico e non pertinente. In particolare deve comprendere

la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella

l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del
diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto
applicare in sostituzione del primo e la “mancanza anche di una sola delle due
suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile.” (v. Cass. 30-9-2008, n.

sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa
proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di
diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v.
Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in
base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica
sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio
nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 16 aprile 2014
Il Consigliere estensore

24339). Del resto è stato anche precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso

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