Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17935 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. III, 04/07/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 04/07/2019), n.17935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4139-2018 proposto da:

PROVINCIA DI LATINA, in persona del Vice Presidente della Provincia

di Latina nella qualità di legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI CONDOTTI 91, presso lo

studio dell’avvocato VALENTINA PANNUNZIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIA ROSARIA MOZZETTI;

– ricorrente –

contro

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LERO, 14,

presso lo studio dell’avvocato VIRGILIO DI MEO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNI BATTISTA REALI;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI PRIVERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7303/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/05/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato GIOVANNI BATTISTA REALI;

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.R. e C.L., nelle rispettive qualità di conducente e di proprietaria di un’autovettura che era rimasta coinvolta in un sinistro stradale avvenuto in un tratto della strada provinciale dei (OMISSIS), convennero in giudizio, per il risarcimento dei danni, la Provincia di Latina, assumendo che la vettura era uscita di strada a causa dell’allagamento della sede stradale conseguente all’ostruzione di un fossato di scolo delle acque piovane.

Nel giudizio venne chiamato in causa – dalla Provincia – il Comune di Priverno, cui veniva addebitata la realizzazione di basi in cemento (a sostegno di pali dell’energia elettrica) che avrebbero determinato la tracimazione delle acque.

Il Tribunale di Latina rigettò le domande risarcitorie sul rilievo che non era emersa la prova certa delle modalità del sinistro.

Con l’atto di appello, la C. dichiarò di avere concluso un accordo transattivo con la compagnia assicuratrice del Comune di Priverno e chiese che venisse dichiarata la cessazione della materia del contendere. Il F. richiese, invece, la riforma della sentenza e l’integrale accoglimento della propria domanda.

La Corte di Appello di Roma, dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla posizione della C., ha riformato la sentenza in relazione alla pretesa del F., ritenendo dimostrata la responsabilità ex art. 2051 c.c. della Provincia di Latina e condannando la convenuta al pagamento dell’importo di 11.185,00 Euro (di cui 811,00 per rimborso di spese vive ed il resto per danno non patrimoniale), oltre interessi legali, e dell’ulteriore somma di 6.500,00 Euro per spese future, nonchè al rimborso delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

Ha proposto ricorso per cassazione la Provincia di Latina, affidandosi a sei motivi; ha resistito il F., con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Vanno disattese le eccezioni preliminari sollevate dal controricorrente, in quanto:

il sottoscrittore della procura alle liti risulta compiutamente individuato nel vicepresidente della Provincia Dott. B.V. (i cui poteri di rappresentanza sono attestati dall’ordinanza presidenziale indicata nella premessa della procura, che dà atto dell’avvenuta decadenza del Presidente della Provincia e del subentro del vicepresidente);

la notifica del ricorso è tempestiva in quanto il termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza – scadente in giorno festivo – è stato prorogato di diritto al lunedì 22.1.18;

il ricorso reca la sottoscrizione autografa del difensore della Provincia e il ricorso depositato contiene l’asseverazione di conformità della copia analogica all’originale notificato in via telematica;

non sussistendo litisconsorzio necessario fra la posizione del F. e quella della C. (la cui pretesa è stata peraltro definita transattivamente) non sussisteva la necessità che il ricorso venisse notificato anche alla C., nè – ovviamente – può ritenersi che la definitività della sentenza in relazione alla posizione di quest’ultima determini un giudicato preclusivo dell’esame della posizione Provincia/ F..

2. Il primo motivo del ricorso denuncia “violazione ed erronea applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.” e censura la sentenza per avere ritenuto sussistente un nesso causale (esclusivo) fra l’omessa manutenzione del fossato adiacente alla carreggiata, il conseguente allagamento della sede stradale e la perdita di aderenza e lo sbandamento della vettura; assume la ricorrente che tale conclusione “è il frutto di un malgoverno dei poteri valutativi attribuiti al giudicante dall’art. 115 c.p.c. e comunque non corrispondente ai principi dettati dall’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 2051 c.c.”; precisa che “il danneggiato ha l’obbligo di provare la condotta colposa dell’Ente, l’evento ed il danno e dunque nel caso specie l’allagamento della sede viaria a causa della omessa o cattiva manutenzione della stessa da parte dell’Ente, lo sbandamento ed il danno”.

2.1. Il motivo è inammissibile e, per il resto, infondato;

inammissibile, nella parte in cui deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in quanto tale violazione non risulta dedotta in conformità ai parametri individuati da Cass., S.U. n. 16598/2016 e da Cass. n. 11892/2016: infatti, un’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio non determina, di per sè, la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che ricorre solo allorchè si deduca che il giudice di merito abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso (valutandole secondo il suo prudente apprezzamento) delle prove legali oppure abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass. n. 27000/2016);

infondato, nella parte in cui pone erroneamente a carico del danneggiato, la prova della condotta colposa del custode della strada, senza tener conto che, nell’ambito della responsabilità ex art. 2051 c.c., l’onere probatorio del danneggiato è limitato alla dimostrazione dell’evento dannoso e del suo collegamento causale col modo di essere della cosa (incombendo, invece, al custode la prova del caso fortuito);

ulteriormente inammissibile, nella parte in cui contesta la valutazione degli elementi probatori (anche presuntivi) sulla cui base la Corte ha individuato la causa dell’allagamento e ha ritenuto provato il nesso causale fra lo stesso e lo sbandamento della vettura, giacchè le censure si risolvono in una non consentita sollecitazione ad una diversa lettura di merito in sede di legittimità.

3. Col secondo motivo (“violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 omessa motivazione”), la ricorrente assume che la Corte ha del tutto omesso di motivare in ordine alla sussistenza del nesso di causalità, non potendosi affermare che la presenza di pozze d’acqua comporti in ogni caso lo sbandamento dei veicoli.

3.1. Il motivo è infondato: la Corte ha motivato adeguatamente seppur sinteticamente – facendo riferimento alla estensione (circa 20 metri) dell’allagamento e all’altezza dell’acqua (circa 10 centimetri), richiamando un analogo sinistro avvenuto un mese prima in circostanze analoghe ed evidenziando la “massiccia presenza d’acqua sul manto stradale” per ritenerla sufficiente ad escludere l’ipotesi di un concorso colposo del F..

4. Il terzo motivo deduce la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 1176 e 1227 c.c. nonchè dell’art. 142 C.d.S.: la Provincia si duole che la Corte abbia “del tutto omesso di considerare la condotta tenuta in occasione del sinistro dal F.”, rilevando che “una persona di normale avvedutezza secondo lo schema di cui all’art. 1176 c.c. avrebbe dovuto, come prescritto dall’art. 141 C.d.S., vista la pioggia battente e considerato che lo stato della strada era pienamente visibile a chiunque (trattavasi di strada rettilinea ed illuminata) arrestare il mezzo o regolare la propria velocità”.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non individua specificamente errori in iure in cui sarebbe incorsa la Corte, ma li postula sulla base di una diversa lettura fattuale della vicenda, in tal modo investendo un accertamento di merito non sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di norme di diritto.

5. Col quarto motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 116 c.p.c., art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4: la ricorrente si duole che la Corte, pur in presenza di rilievi critici del consulente di parte della Provincia (cui non era stata data risposta dal consulente d’ufficio), si sia limitata a richiamare apoditticamente le conclusioni del c.t.u., dichiarando di condividerne le conclusioni “poichè prive di errori logici e giuridici”.

5.1. Il motivo è infondato: diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte di merito ha tenuto conto delle osservazioni del c.t.p. della Provincia e li ha motivatamente superati (cfr. pag. 7), valorizzando le risultanze documentali (segnatamente, quelle dell’Ospedale di Priverno ove il F. venne ricoverato subito dopo l’incidente), formulando un giudizio di piena compatibilità degli esiti documentati con le modalità del sinistro ed evidenziando – da ultimo – che le conclusioni del c.t.u. erano prive di errori logico-giuridici.

6. Il quinto motivo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.: premesso che, in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, l’attore si era limitato a richiamare la domanda formulata in atto di citazione (con cui il risarcimento era stato richiesto in 5.000,00 Euro o nella maggiore o minor somma ritenuta di giustizia) e che soltanto in comparsa conclusionale il danno era stato quantificato in 25.000,00 Euro, la Provincia si duole che la Corte abbia ritenuto che la clausola concernente la maggiore o minor somma di giustizia consentisse di liquidare un importo maggiore di 5.000,00 Euro; la ricorrente sostiene che una clausola siffatta, giustificata in origine dall’incertezza sulla esatta determinabilità del danno e funzionale a non precludere l’attribuzione di un quantum maggiore di quello inizialmente individuato, risulta di mero stile una volta che – all’esito dell’istruttoria – vengano superate le iniziali ragioni di incertezza e conclude che “il F., al momento della precisazione delle conclusioni, era in possesso di tutti i dati utili alla determinazione del quantum (risultanze CTU da liquidarsi secondo criteri tabellari), di talchè il richiamo alle conclusioni rassegnate nell’atto introduttivo (…) non aveva più alcuna valenza funzionale a non precludere pronunce attributive di un quantum maggiore rispetto a quello originariamente richiesto”.

6.1. Al riguardo, il controricorrente non ha contestato che la quantificazione nell’importo di 25.000,00 sia stata effettuata solo in comparsa conclusionale, ma ha affermato che quella era la sede “deputata all’effettiva quantificazione dopo che (era) stata espletata la (…) c.t.u. medico-legale”, rilevando altresì che “il richiamo della clausola di salvaguardia di cui all’atto di citazione, effettuata in sede di precisazione delle conclusioni, in primo grado (aveva) mantenuto la sua originaria giustificazione volta a consentire al Giudice di procedere alla valutazione estimatoria senza apposizione di vincoli limitativi”.

6.2. Il motivo è fondato alla luce del principio secondo cui “la formula “somma maggiore o minore ritenuta dovuta” o altra equivalente, che accompagna le conclusioni con cui una parte chiede la condanna al pagamento di un certo importo, non costituisce una clausola meramente di stile quando vi sia una ragionevole incertezza sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi, mentre tale principio non si applica se, all’esito dell’istruttoria, sia risultata una somma maggiore di quella originariamente richiesta e la parte si sia limitata a richiamare le conclusioni rassegnate con l’atto introduttivo e la formula ivi riprodotta, perchè l’omessa indicazione del maggiore importo accertato evidenzia la natura meramente di stile dell’espressione utilizzata” (Cass. n. 19455/2018; conformi Cass. n. 12724/2016 e Cass. n. 6350/2010; cfr. anche Cass. n. 22330/2017).

Atteso che le conclusioni vanno definitivamente precisate nell’apposita udienza, mentre la comparsa conclusionale riveste funzione meramente illustrativa delle già prese conclusioni, deve ritenersi irrilevante la quantificazione effettuata con la detta comparsa e deve aversi riguardo esclusivamente al tenore delle conclusioni precisate; con la conseguenza che, non residuando -all’esito dell’istruttoria – i dubbi che giustificavano inizialmente la clausola relativa al “maggiore o minore importo di giustizia”, detta clausola doveva considerarsi di mero stile e la domanda doveva intendersi limitata all’importo di 5.000,00 Euro.

Nè, nella specie, ricorre l’ipotesi – considerata da Cass. n. 22330/2017 con riferimento alla liquidazione di un danno non patrimoniale per perdita di relazione parentale – della persistente difficoltà di procedere ad una puntuale determinazione ex ante del quantum liquidabile, in ordine alla quale questa Corte ha riconosciuto la perdurante utilità della clausola di salvaguardia: nel caso in esame, infatti, si è trattato di liquidare un danno non patrimoniale “biologico” (per inabilità temporanea e per invalidità permanente), rispetto al quale il criterio tabellare consente di prefigurare con sufficiente approssimazione l’importo risarcitorio, e un danno patrimoniale (per spese sostenute e per esborsi futuri) rispetto al quale non è ipotizzabile alcun margine di “incertezza” tale da giustificare la persistente utilità e la conseguente efficacia della clausola di salvaguardia.

La sentenza va dunque cassata sul punto, con rinvio alla Corte territoriale, che si atterà ai principi sopra richiamati.

7. Il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c. sul rilievo che l’attore, per sua stessa ammissione, aveva ottenuto dalla compagnia assicuratrice del Comune un importo trattenuto in acconto del maggiore avere e che la sentenza non ne aveva tenuto conto nel procedere alla liquidazione del danno, conseguendone una “maggiorazione non dovuta, tanto in punto di sorte tanto in punto di interessi e rivalutazione”.

7.1. Il motivo è inammissibile perchè dedotto in difetto di autosufficienza, in quanto non trascrive il contenuto della dichiarazione da cui risulterebbe il pagamento dell’acconto.

8. La Corte di rinvio provvederà anche sulle sperse di lite.

P.Q.M.

La Corte, rigettati gli altri motivi, accoglie il quinto, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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