Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17933 del 24/07/2013


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Civile Sent. Sez. U Num. 17933 Anno 2013
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: PICCIALLI LUIGI

Data pubblicazione: 24/07/2013

SENTENZA

sul ricorso 28031-2012 proposto da:
POMPILI MARIA RITA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 47, presso lo studio
dell’avvocato CARDARELLI FRANCESCO, rappresentata e
difesa dall’avvocato ZAZA D’AULISIO ALFREDO, per delega
a margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

COLOMBO PAOLA, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA ADRIANA 15, presso lo studio dell’avvocato
FERRAZZA FRANCESCO, rappresentata e difesa
dall’avvocato PAGNOTTA LAMBERTO, per delega a margine

COMUNE DI VELLETRI, in persona del Sindaco pro-tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN
l, presso lo studio dell’avvocato MAGGISANO ANDREA,
rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRA
CAPOZZI, per delega in calce al controricorso;
– controricorrentl –

avverso la sentenza n. 4167/2012 del CONSIGLIO DI
STATO, depositata il 16/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/06/2013 dal Consigliere Dott. LUIGI
PICCIALLI;
uditi gli avvocati Alfredo ZAZA D’AULISIO, Alessandra
CAPOZZI in proprio e per delega dell’avvocato Lamberto
Pagnotta;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott.
PASQUALE PAOLO MARIA CICCOLO, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

del controricorso;

N 28031.12

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La sig.ra Maria Rita Pompili,proprietaria in Velletri di un fabbricato per civile abitazione,
invocando due giudicati del G.A.(sentenze del T.A.R Lazio n. 578 del 26.1.2005 e n. 6075

violazioni urbanistiche commesse dalla vicina Paola Colombo e l’illegittimità di successivi
provvedimenti della citata amministrazione,denunciando il persistente comportamento
elusivo di quest’ultima, che con determinazione n. 46 del 30.5.2011 aveva dichiarato non
esservi luogo all’ adozione di alcun provvedimento sanzionatorio, adì nuovamente il giudice
amministrativo ex art. 112 e ss. c.p.a. per l’ottemperanza, chiedendo in via subordinata che,
previa conversione ex art. 32 del giudizio in quello ordinario, venisse annullata per
illogicità,violazione di legge e difetto di motivazione,i1 sopra menzionato provvedimento.
Tale ricorso fu respinto con sentenza del TAR Lazio n. 7970 del 2011,ritenendo
l’insussistenza sia della violazione o elusione dei giudicati,sia delle condizioni per la
conversione del giudizio ex art. 32 cit.
Adito in appello dalla Pompili,nella resistenza della Colombo,non costituitosi il Comune di
Velletri,con sentenza n. 4167 dei 26.6.-16.7.2012 il Consiglio di Stato ha rigettato il
gravame,confermando,da una parte, che l’atto come sopra denunciato non integrava una
violazione o elusione del giudicato,a1 più contenendo degli errori non sottoponibili al
giudizio di ottemperanza, dall’altra,ritenendo inammissibile in grado di appello,ostandovi il
principio del doppio grado di giurisdizione, la conversione ex art. 32 c.p.a del rito
dell’ottemperanza in ordinario giudizio impugnatorio di un atto,che originariamente era
stato indicato come elusivo del giudicato.
Ricorre contro la suddetta sentenza la Pompili per motivi di giurisdizione.
Resistono con rispettivi controricorsi il Comune di Velletri e la Colombo.

1

del 2009), con i quali erano state accertate,in contraddittorio anche del Comune di Velletri,

Sono state infine depositate rispettive memorie illustrative per la Pompili e per la Colombo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
§1. La ricorrente deduce,nell’unico motivo,”eccesso di potere giurisdizionale — violazione
del limite esterno della giurisdizione dell’A.G.A.-art. 32 c.p.c. e artt. 111,8^ comma,e 113

domande, la ropria del rito dell’ottemperanza,diretta all’accertamento che la determinazio
n. 46 del 30.5.2011 del Comune di Velletri aveva eluso o violato le sentenze del T.A.R.
Lazio nn. 578/05 e 6075/09 ),con richiesta di emissione dei conseguenti provvedimenti (di
assegnazione di un nuovo termine e nomina dell’eventuale commissario ad acta),la seconda,
tipica del giudizio di legittimità dell’A.G.A.,da decidersi previa conversione ex art. 32 c.p.a
del giudizio ex art. 112 in quello ordinario ex art. 29 c.p.a„e che il primo giudice, dopo aver
“scrutinato e respinto la prima domanda di ottemperanza”,aveva denegato quella di
conversione,che il ricorrente,con l’atto di appello aveva espressamente contestato tale
diniego,evidenziando la tempestività della ordinaria impugnazione del provvedimento
comunale e la riconducibilità dei vizi denunciati al novero di quelli (violazione di
legge,illogicità e difetto di motivazione) in via generale deducibili in sede giurisdizionale
amministrativa,si sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo
grado,proprio il mancato accoglimento della domanda di ottemperanza avrebbe integrato il
presupposto per la richiesta conversione. Pertanto,essendosi con l’atto di appello
espressamente lamentato l’indebito rifiuto del primo giudice di esaminare la seconda
domanda, della cui ammissibilità sarebbero sussistiti tutti i presupposti,si lamenta che il
C.d.S.,dichiarando inammissibile tale disamina,sarebbe incorso in un sostanziale diniego di
giurisdizione,del tutto ingiustificato,in considerazione sia dell’ampia previsione del citato
art. 32, secondo cui la conversione,comportante il passaggio da un rito all’altro, “è sempre

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Cost.” Premesso di avere proposto con il ricorso introduttivo ex art. 112 c.p.c due

ammessa”,sia della possibilità nella specie di assicurare il doppio grado di giudizio, con
l’eventuale provvedimento di rimessione degli atti al primo giudice ex art. 105 c.p.a.
Tale diniego si sarebbe dunque tradotto, da parte del G.A.,nella violazione dei limiti esterni
dei propri poteri giurisdizionali,segnatamente per l’inosservanza di quel criterio

evidenziato nell’accezione evolutiva del concetto di giurisdizione fornita da queste S.U.
§ 2. Il ricorso è inammissibile,anzitutto perché non evidenzia alcuna violazione del “limite
esterno della giurisdizione”,doglianza del tutto priva di fondamento,risultando palese come
la pronunzia, del giudice amministrativo,che,nel rigettare la domanda sotto il principale dei
dedotti profili e dichiarare la stessa inammissibile sotto quello subordinato,su cui era stato
incentrato il gravame,non ha in alcun modo travalicato i limiti dei propri poteri
giurisdizionali,in danno di altre autorità,amministrative o giurisdizionali.
Quanto al “diniego di giurisdizione”,nel quale sarebbe sostanzialmente

incorso il

C.d.S.,secondo le argomentazioni in precedenza riportate,la tesi si scontra con il consolidato
indirizzo della giurisprudenza di queste Sezioni Unite,a termini del quale l’interpretazione,sia
pure erronea,delle norme processuali,anche quando comporti la declaratoria di
inammissibilità di una domanda, non è idonea di per sé ad integrare il suddetto vizio,se non
nei casi in cui il “rifiuto” sia stato determinato dall’affermata estraneità alle attribuzioni
giurisdizionali dello stesso giudice della domanda (v. n. 3037/2013),oppure nei casi estremi,
nei quali l’errore si sia tradotto in una decisione anomala o abnorme,frutto di radicale
stravolgimento delle norme di riferimento,soltanto in cospetto della quale può ritenersi che il
giudice,ponendosi al di fuori del sistema,sia venuto meno ai suoi compiti istituzionali di dare
una risposta alla domanda di giustizia allo stesso proposta (v. n 15428/ 2012).
Tale non è il caso di specie,nel quale il Consiglio di Stato,nel confermare l’inammissibilità

della domanda di “conversione”,su cui aveva particolarmente insistito l’appellante,invertendo
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dell’effettività della tutela dei diritti e degli interessi, derivante dall’art. 111 co 8 Cost., come

in sede di gravame l’ordine di priorità delle richieste,rispetto a quello originario,ha comunque
fornito una risposta alla stessa,senza sottrarsi ai suoi compiti istituzionali,nell’ambito dei
quali rientravano non solo la disamina della fondatezza,ma anche,e più radicalmente,quella
della sussistenza dei presupposti processuali richiesti ai fini dell’ammissibilità della domanda

del procedimento amministrativo,in particolare a quello di “conversione” recepito dall’art. 32
co. 2 c.p.a., che derivando dal più generale principio iura novit curia ,non assolve alla finalità
— come sembra intendere la parte ricorrente – di un mero ripiego per l’ipotesi in cui una
domanda,formulata in via principale,si riveli infondata,bensì a quella di dare adeguata
qualificazione processuale alla domanda,nei termini di rito più appropriati,quando la stessa
sia stata impropriamente formulata,evitando la sanzione dti inammissibilità. Nella specie
tanto era stato escluso dal primo giudice,che non aveva ritenuto inammissibile,bensì soltanto
rigettato per infondatezza la principale di domanda di ottemperanza,correttamente dunque
escludendo che potesse avere ingresso quella subordinata. Conseguentemente non erronea e
del tutto in linea con i principi esposti deve ritenersi la negazione,da parte di quello di
secondo grado,che la domanda di ordinaria impugnazione,in “conversione” di quella
principale originaria,potesse avere ingresso in grado di appello,mentre l’obiezione,secondo
cui la salvaguardia del principio del doppio grado sarebbe stata nella specie possibile
rimettendo gli atti al primo giudice ex art. 105 co. 1 c.p.a,risulta prima facie destituita di
fondamento,non ricorrendo alcuna delle tassative ipotesi di “regressione” al primo grado
previste dalla disposizione (difetto di contraddittorio,lesione del diritto di difesa,nullità della
sentenza,riforma della sentenza che abbia declinato la giurisdizione o pronunciato sulla
competenza,indebita dichiarazione di estinzione o perenzione del giudizio).

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stessa. Tale disamina, peraltro ed in concreto,risulta del tutto aderente ai principi regolatori

§ 3 Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue, infine,per la soccombenza,la
condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio in favore di ciascuna delle parti
controricorrenti,che si liquidano nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.

giudizio ai controricorrenti,liquidate in favore di ciascuno in misura di E 3.200,00,oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma a sezioni unite il 25 giugno 2013.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del

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