Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17925 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. II, 27/08/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 27/08/2020), n.17925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20124/2017 R.G. proposto da:

M.L., e P.L., rappresentati e difesi dagli

Avv.ti Alessio Pezcoller, Luisa Malacarne e Silvia Maria Cinquemani

del Foro di Roma, elettivamente domiciliati presso lo studio di

quest’ultima sito in Roma, via Varrone 9;

– ricorrenti –

contro

M.C., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Ilaria

Deflorian, e Silvio Falqui Massidda, ed elettivamente domiciliata in

Roma via della Balduina 66 presso lo studio dell’Avv. Silvia

Spagnuolo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Trento n. 128/2017

depositata l’11 maggio 2017 e notificata il 30 maggio 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre

2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– M.C. evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Rovereto, il fratello M.L. e la cognata P.L. per sentire accertare e dichiarare la simulazione dell’atto di compravendita immobiliare stipulato tra i convenuti ed i genitori dei germani, deceduti in data (OMISSIS), dissimulante in realtà una donazione, in considerazione del modico valore della rendita pattuita – peraltro mai versata – a fronte di quello dei beni e, per l’effetto, chiedeva disporsi la riduzione dell’atto di liberalità;

– instaurato il contraddittorio, i convenuti preliminarmente eccepivano la mancata proposizione nelle conclusioni della domanda di accertamento della simulazione del contratto di compravendita con costituzione di rendita, inoltre deducevano la validità ed efficacia dell’atto assumendo l’avvenuto versamento delle rendite e la concessione in comodato d’uso ai genitori di uno degli immobili oggetto della vendita, con pagamento delle relative utenze, con conseguente sussistenza dell’aleatorietà, difese che escludevano la fondatezza dell’azione di riduzione e della lamentata lesione della quota di legittima;

– il Tribunale adito, con sentenza n. 86/2016, in accoglimento della domanda attorea, accertava e dichiarava che l’atto denominato “di compravendita di proprietà con costituzione di rendita “vitalizia””, in quanto integrante una rendita vitalizia mista con donazione e, quindi, una donazione indiretta, aveva leso la quota di legittima della M. per l’importo di Euro 169.328,50 con riferimento alla successione del fratello e per l’importo di Euro 117.654,00 con riferimento alla successione della cognata e, per l’effetto disponeva la riduzione dell’atto per i medesimi importi;

– in virtù di gravame interposto dai M. – P., la Corte di appello di Trento, nella resistenza della M.C., con sentenza n. 128/2017, rigettava l’impugnazione e per l’effetto confermava la pronuncia di primo grado, condividendo gli argomenti esposti dal giudice di prime cure;

– per la cassazione della sentenza di appello ricorrono i M.- P. sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso M.C.;

– in prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno curato il deposito di memorie illustrative.

Atteso che:

– con il primo motivo i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per extrapetizione ai sensi dell’art. 112 c.p.c., nonchè la violazione dell’art. 190 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto proposta dalla M. domanda di accertamento della simulazione del contratto di compravendita con costituzione di rendita vitalizia, qualificandolo poi quale negozio misto con donazione.

Il motivo è privo di pregio.

Come si evince dalla illustrazione dei fatti esposti nella medesima sentenza impugnata, la M. aveva agito in giudizio chiedendo che venisse accertato che la compravendita stipulata dal fratello M.L. con la moglie in data 6 marzo 1991 dissimulava una donazione, allegando a sostegno di tale richiesta il fatto che le rendite pattuite non erano state mai versate. Non vi è dubbio pertanto che, sulla base di questa formulazione, la domanda della parte avesse ad oggetto l’accertamento della simulazione relativa del negozio impugnato e non la sua dichiarazione di simulazione assoluta. L’affermazione della Corte territoriale che ha fondato la statuizione di ammissibilità della domanda di simulazione relativa proposta in appello, si basa sul rilievo che la stessa parte aveva proposto in primo grado una domanda di simulazione e detta statuizione appare corretta in quanto poggia sulla qualificazione giuridica della domanda proposta in giudizio, come sopra riassunta, ed anche, almeno implicitamente, su una doppia circostanza.

Da un lato il fatto che la parte attrice nel proprio atto di citazione in primo grado, dopo avere chiesto la dichiarazione di simulazione della compravendita, aveva comunque domandato che fosse riconosciuto il suo diritto alla riduzione per lesione della quota di legittima; dall’altro, nell’atto di appello veniva indicato il negozio dissimulato non più come donazione, ma come contratto misto di vendita e donazione.

Si tratta in entrambi i casi di elementi che potevano validamente giustificare la conclusione cui sono pervenuti i giudici del merito.

Infatti, la domanda era pur sempre collegata strumentalmente alla richiesta di accertamento della simulazione relativa del contratto di compravendita formulata dalla parte, vale a dire ancorata alla richiesta di accertamento della natura del contratto intercorso tra le parti, che in realtà celava una donazione, sicchè la sua valenza non poteva esaurirsi unicamente con riferimento agli effetti che sarebbero derivati dalla dichiarazione di simulazione relativa.

Tanto più che il giudice era chiamato, una volta che avesse accertato che effettivamente la vendita dissimulava una donazione, ad applicare nella fattispecie concreta gli effetti giuridici scaturenti da tale accertamento, operando una valutazione squisitamente giuridica, rientrante nel compito specifico del giudice di trarre dai fatti allegati dalle parti la connotazione e le conseguenze giuridiche previste dalla legge.

A ciò si aggiunga che la stessa sentenza impugnata precisa che parte attrice, evidentemente nel corso del giudizio, aveva chiesto che fosse riconosciuta la sua quota di legittima sull’asse calcolato collazionando il valore del bene oggetto della vendita apparente, per cui ogni profilo di perplessità al riguardo dovrebbe comunque ritenersi superato dalla espressa proposizione di una domanda in tal senso.

Quanto al secondo aspetto sopra menzionato, va detto che il richiamo fatto nell’atto di appello alla figura del negozio misto con donazione, che trovava causa nell’accertamento del giudice di primo grado, costituiva all’evidenza una mera precisazione della domanda, consentita come tale in appello, dal momento che essa conservava sostanzialmente intatto il fatto costitutivo e modificava solo quantitativamente, riducendolo, il petitum, una volta considerato che la nuova qualificazione del contratto dissimulato non incideva sulla sussistenza dell’obbligo di collazione.

La figura del negotium mixtum cum donatione ha infatti lo scopo, nelle intenzioni dei contraenti, di raggiungere per via indiretta, attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, l’arricchimento, per puro spirito di liberalità, del contraente che riceve la prestazione di maggior valore (Cass. n. 23297 del 2009; Cass. n. 13337 del 2006; Cass. n. 6416 del 1988). Tale figura rientra, pertanto, nel novero delle donazioni indirette, sottoposte ai sensi dell’art. 737 c.c. all’obbligo di collazione (Cass. n. 4021 del 2007).

Nel caso di specie, ciò che i ricorrenti sostengono è, in realtà, proprio l’errata qualificazione della domanda in concreto proposta, cui i giudici del merito sono pervenuti attraverso la contestata valutazione degli atti processuali introduttivi del giudizio, mentre risulta del tutto estranea al contenuto del motivo la contestazione dell’individuazione (e dell’interpretazione) della astratta fattispecie della simulazione relativa, che in ogni caso costituiva il presupposto per l’azione di riduzione.

In tale quadro, dunque, le doglianze formulate attengono propriamente alle tipiche valutazioni del giudice di merito, che risultano tuttavia insindacabili nella presente sede di legittimità; nè sarebbe prospettabile, nella specie, la sussistenza di un vizio di motivazione (peraltro non dedotto) sul punto, dovendo trovare applicazione ratione temporis l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134;

– con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1872,769 e ss., 554 e 555 c.c., per avere la Corte di appello ritenuto che l’atto potesse essere ricondotto nell’alveo della rendita vitalizia mista con donazione, difettandone invece i requisiti di aleatorietà e sproporzione.

Il motivo è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha chiarito, con motivazione logica ed ampiamente argomentata, che il contratto in esame era da ritenere simulato, dovendo essere qualificato in via interpretativa come una donazione indiretta e non come un vitalizio assistenziale.

Al riguardo osserva il Collegio che, per costante giurisprudenza, il contratto con il quale una parte, dietro corrispettivo della cessione di un immobile, si obbliga, anche per i propri eredi e aventi causa, a prestare all’altra, per tutta la durata della vita, una completa assistenza materiale e morale, provvedendo ad ogni sua esigenza, integra un negozio atipico qualificabile come vitalizio improprio o assistenziale.

Detto contratto è caratterizzato: dall’aleatorietà, che può essere accertata comparando le prestazioni dedotte sulla base di dati omogenei, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento alla data di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, a detta epoca, della durata della vita e delle esigenze assistenziali del vitaliziato; dall’infungibilità di quanto pattuito, intesa come insostituibilità con una somma in denaro ed incoercibilità; dalla non patrimonialità, dovuta all’elemento di fiduciarietà che informa la scelta dell’obbligato e all’incertezza derivante dalla variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto allo stato di bisogno del beneficiario (Cass., Sez. Un., n. 6532 del 1994 e Cass. n. 1503 del 1998).

La differenza fra il contratto de quo ed una donazione va apprezzata, soprattutto, avendo riguardo all’elemento dell’aleatorietà, poichè il vitalizio assistenziale è caratterizzato dall’incertezza obiettiva iniziale in ordine alla durata di vita del beneficiario e dalla correlativa eguale incertezza del rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dall’obbligato ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio, potendosi, peraltro, ritenere presuntivamente sussistere lo spirito di liberalità, tipico della donazione, proprio tramite la verifica della originaria sproporzione tra le prestazioni (Cass. n. 7479 del 2013).

Nello specifico, la Corte d’appello ha ritenuto che il negozio in questione fosse ispirato “da un intento di liberalità”.

Tale intento è stato desunto dalla corte territoriale, coerentemente con i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, sulla base di una serie di elementi di fatto, quali soprattutto, la macroscopica differenza fra il minor valore della prestazione gravante sull’obbligato e quello, ben maggiore, dell’immobile trasferito.

La corte territoriale ha, inoltre, messo in evidenza che il valore dei cespiti, al quale il primo giudice è pervenuto a mezzo di CTU, non è stato oggetto di alcuna specifica censura, essendosi gli appellanti limitati a richiamare le riserve già espresse in primo grado, in modo generico.

Peraltro, gli odierni ricorrenti non hanno contestato in maniera dettagliata le considerazioni della Corte d’appello, ma hanno domandato semplicemente una diversa lettura degli elementi di causa, preclusa in sede di legittimità.

Non vi sono, quindi, elementi per ritenere che la Corte territoriale sia incorsa nel denunciato malgoverno dei principi di diritto e giurisprudenziali in materia.

Il ricorso va, dunque, respinto.

Le spese relative a questo giudizio, quindi, devono essere poste a carico della parte rimasta soccombente, nonchè liquidate come da seguente dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali che liquida in favore della controricorrente in complessivi Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

 

 

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