Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17925 del 20/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/07/2017, (ud. 21/04/2017, dep.20/07/2017),  n. 17925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BALASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16714-2012 proposto da:

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI C.F. (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

R.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1732/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/03/2012 R.G.N. 400/10.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1732/2012, riformando la sentenza di primo grado, in accoglimento del gravame proposto da R.M. – proveniente dal Ministero dei Lavori Pubblici e transitato al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti a seguito di accorpamento ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999 e del D.P.R. n. 177 del 2001, ha dichiarato la nullità parziale del CCNL 1996/1997, art. 3 CCNL 1998/1999, art. 33 e CCNL 2002/2003, art. 22; ha dichiarato il diritto dell’appellante all’indennità di amministrazione in misura pari a quella riconosciuta ai dipendenti provenienti dai ruoli del personale del Ministero dei Trasporti, Direzione Generale della Motorizzazione Civile; ha condannato il Ministero convenuto a corrispondere al ricorrente le differenze tra quanto percepito e quanto dovuto a titolo di indennità di amministrazione a decorrere dal 23 marzo 2001;

che tale sentenza è ora impugnata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con due motivi di ricorso; il R. è rimasto intimato;

che il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, a seguito di ordinanza dalla Sezione 6^ emessa ex artt. 375 e 380 bis c.p.c. (nel regime anteriore al D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modificazioni, nella L. 25 ottobre 2016, n. 197), sull’assunto del carattere non ostativo della suddetta rimessione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 177 del 2001, art. 9, comma 5 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, in relazione al D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 4, censura la sentenza per avere ritenuto violato il principio di parità di trattamento contrattuale, posto che il D.P.R. n. 177 del 2001 (Regolamento di organizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), art. 9, comma 5, aveva demandato alle parti sociali la omogeneizzazione delle indennità di amministrazione, nell’ambito di un processo perequativo che escludeva l’irragionevolezza delle temporanee differenze ed al quale si era provveduto coerentemente con i vincoli della finanza pubblica, ossia in base alle risorse finanziarie a disposizione; peraltro tale processo di graduale riallineamento retributivo era giunto al termine con la stipula del CCNL 2006-2009, giusta la previsione dell’art. 31 che, al fine di eliminare le differenze tra le indennità corrisposte al personale in servizio presso la medesima amministrazione, aveva disposto, con decorrenza 31 dicembre 2007, la omogeneizzazione delle indennità. Nè il D.P.R. n. 177 del 2001, imponeva alcun obbligo di immediata parificazione dell’indennità di amministrazione, ma solo una progressiva omogeneizzazione realizzata con le modalità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45. Destinataria di tale precetto è l’amministrazione, non la contrattazione e, conseguentemente, questa, come espressione dell’autonomia privata, ha il potere di differenziare i trattamenti retributivi;

che con il secondo motivo è denunziata violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, nonchè degli artt. 1418 e 1419 c.c.. Si afferma che, quand’anche si ritenesse violato il principio di parità trattamento e fossero ritenute nulle le clausole che prevedono tale disparità, non sarebbe comunque possibile per il giudice di merito sostituirsi alle parti sociali nel determinare la misura dell’indennità ritenuta spettante a seguito della declaratoria di nullità parziale della clausola contrattuale;

che il ricorso è fondato e va accolto, poichè sulla questione controversa questa Corte si è già espressa in molteplici occasioni, cassando le decisioni di merito che avevano ritenuto contrario al principio di parità il prolungato mantenimento di differenze dell’indennità di amministrazione corrisposta ai dipendenti del Ministero delle Infrastrutture provenienti dai soppressi Ministeri dei Trasporti e dei Lavori Pubblici. E’ stato affermato che il principio espresso dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell’ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, restando quindi vietato, non ogni trattamento differenziato per singole categorie di lavoratori, ma solo quello contrastante con specifiche previsioni normative. (Cass. n. 4971 del 2012, conf. Cass. n. 10105 del 2013, v. pure Cass. 472 e 479 del 2014 e numerose altre successive);

che detti principi devono essere ribaditi, per le ragioni tutte indicate nella motivazione delle sentenze sopra richiamate, da intendersi qui trascritte ex art. 118 disp. att. c.p.c.; che tali precedenti giurisprudenziali, espressi in fattispecie analoghe a quella in esame, si collocano nel contesto nella costante giurisprudenza di questa Corte che enunciata con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 (cfr., ex plurimis, Cass., SU, n. 10454/2008; Cass., nn. 22437/2011; 11149/2011;12336/2009; 5726/2009; 16504/2008); che pertanto il ricorso deve pertanto essere accolto, con la conseguente cassazione della impugnata sentenza; non essendovi necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda originaria;

che vanno compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito, i quali hanno avuto esito diverso, mentre la parte intimata va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda; compensa le spese dei giudizi di merito e condanna R.M. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2017

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