Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17925 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. III, 04/07/2019, (ud. 06/05/2019, dep. 04/07/2019), n.17925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1843-2017 proposto da:

G.E., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

DAVIDE FINOCCHIARO, GIANNI MARIA SARACCO;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del Dott.

C.V. nella qualità di Responsabile Settore Recupero Crediti,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BOSIO 2 presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO LUCONI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato EMANUELE BALBO DI VINADIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1651/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/05/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

RILEVATO

che:

G.E. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti, in qualità di fideiussore della (OMISSIS) s.r.l. (dichiarata fallita nel giugno 2012), ad istanza della Banca Monte Dei Paschi di Siena; dedusse, in particolare, la violazione dei doveri di buona fede contrattuale e delle norme imperative che imponevano alla Banca la rendicontazione della posizione debitoria della società garantita e, altresì, l’estinzione della fideiussione ex art. 1955 c.c. e la liberazione del fideiussore per obbligazioni future ex art. 1956 c.c.;

il Tribunale di Torino rigettò l’opposizione, confermando il decreto opposto;

la Corte di Appello ha respinto il gravame del G., confermando la sentenza di primo grado;

la Corte ha osservato, fra l’altro, che:

quanto alle comunicazioni inviate dalla Banca al fideiussore, non era controverso che il G. non aveva comunicato la variazione della propria residenza e doveva escludersi che il M.P.S. avesse l’onere di accertare dell’effettiva residenza del fideiussore; peraltro, una lettera era stata inviata presso la sede della soc. Specchidea di cui il G. era socio ed amministratore;

la deduzione che la Banca non si fosse insinuata al passivo del fallimento della società garantita era stata svolta tardivamente, solo con la comparsa conclusionale di primo grado, e non poteva, pertanto, essere esaminata;

il contrasto fra l’art. 5 delle condizioni della fideiussione (che prevedeva l’obbligo del fideiussore di tenersi al corrente delle condizioni della debitrice principali) e l’art. 119 TUB, pur comportando la nullità della singola clausola, non determinava l’invalidità dell’intera garanzia, dovendosi applicare l’art. 1419 c.c., comma 1, in tema di nullità parziale e dovendosi ritenere che il G. avrebbe prestato la fideiussione anche senza la clausola che lo pregiudicava; nè, d’altra parte, le violazioni degli obblighi informativi e di correttezza e buona fede avrebbero potuto determinare la nullità della fideiussione;

non ricorreva l’ipotesi di estinzione di cui all’art. 1955 c.c., giacchè il fatto del creditore rilevante ai fini della liberazione del fideiussore deve “concretizzarsi non già nella mera maggiore difficoltà attuativa derivante dalle diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore, ma nella perdita del diritto (di surrogazione ex art. 1949 c.c. o di regresso ex art. 1950 c.c.)”;

quanto alla applicabilità della previsione dell’art. 1956 c.c., premesso che spettava al fideiussore “l’onere di provare, ex art. 2697 c.c., che successivamente alla fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche”, nel caso di specie non vi era “alcuna prova del fatto che la Banca fosse a conoscenza di un peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore principale” e “nulla è dato conoscere, in concreto, neppure in merito alla condizione economico-patrimoniale di (OMISSIS) all’epoca in cui venne prestata la garanzia”;

ha proposto ricorso per cassazione il G., affidandosi a due motivi; la Banca Monte dei Paschi di Siena ha resistito con controricorso;

hanno depositato memoria sia il ricorrente che la Siena NPL 2018 s.r.l. (quale cessionaria dei crediti della Banca Monte dei Paschi di Siena), rappresentata dalla Juliet s.p.a.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1175,1375 e 1956 c.c. e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: il ricorrente evidenzia la violazione dei doveri di correttezza e buona fede da parte della Banca, che non aveva mai messo al corrente il fideiussore della situazione economica della società garantita e rileva che la previsione dell’art. 119 TUB non può essere derogata e disattesa da una clausola contrattuale; esclude, altresì, che l’onere di comunicazione possa essere ritenuto assolto con l’invio di raccomandate ad indirizzi diversi dal recapito effettivo del ricorrente; contesta che l’obbligo di comunicazione possa ritenersi superato per effetto del rapporto di parentela fra il fideiussore e gli amministratori e i soci della società garantita (considerato fra l’altro che, al momento del fallimento della (OMISSIS), la situazione di convivenza fra il G. e il resto della famiglia era venuto meno da due anni); si duole, infine, della mancata considerazione del fatto decisivo che la Banca aveva revocato le linee di credito prima del fallimento della (OMISSIS), con ciò manifestando di averne percepito il peggioramento delle condizioni economiche;

il motivo è inammissibile, in quanto non individua specificamente gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, ma li postula sulla base di una lettura alternativa della vicenda sul piano fattuale, che fa perno principalmente sulla violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, senza tuttavia contrastare puntualmente le considerazioni svolte, in relazione ai singoli motivi di appello, dalla sentenza impugnata; per di più, le censure non investono specificamente la ratio – chiaramente espressa a pag. 8 della sentenza – secondo cui “la violazione di norme imperative riguardanti il comportamento dei contraenti non è causa di nullità, ma può unicamente essere fonte di responsabilità”; infine, l’omesso esame di un fatto decisivo è prospettato senza investire adeguatamente l’osservazione della Corte circa il fatto che non v’era prova che la Banca avesse continuato ad alimentare le linee di credito nonostante fosse a conoscenza del peggioramento delle condizioni patrimoniali della debitrice principale;

col secondo motivo (che denuncia la violazione degli artt. 1175,1375 e 1955 c.c. e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo), il ricorrente censura la sentenza impugnata “per non aver dichiarato l’estinzione della fideiussione ai sensi dell’art. 1955 c.c., omettendo di considerare che la circostanza del fallimento della (OMISSIS) ha comportato una sensibile diminuzione (se non azzeramento) delle possibilità di soddisfarsi utilmente da parte del fideiussore”, e rileva che, “qualora la surrogazione del fideiussore nei diritti del creditore non possa più avere effetto (o sia sostanzialmente vanificata, come nel caso di specie), la disciplina codicistica prevede un’ipotesi speciale di estinzione del contratto, che opera come sanzione per il creditore che, col suo comportamento negligente, ha arrecato un pregiudizio -non solo economico, ma anche giuridico – alle ragioni del fideiussore incolpevole”;

il motivo è infondato, in quanto basa l’asserito pregiudizio al diritto di surrogazione su generiche condotte omissive della Banca (segnatamente in relazione all’obbligo di informazione circa le condizioni patrimoniali della società garantita), senza individuare come necessario – specifici fatti integranti un “un fatto quanto meno colposo, o comunque illecito, dal quale sia derivato un pregiudizio giuridico, non solo economico, che deve concretizzarsi nella perdita di un diritto (di surrogazione ex art. 1949 c.c., o di regresso ex art. 1950 c.c.), e non già nella mera maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore” (Cass. n. 28838/2008; conforme Cass. n. 21833/2017);

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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