Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17924 del 20/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/07/2017, (ud. 21/04/2017, dep.20/07/2017),  n. 17924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BALASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13250-2012 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– ricorrente –

contro

C.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

POMPONIO LETO 2, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO STRONATI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO MANZO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7727/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/01/2012 R.G.N. 1583/08;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 7727/2011, ha rigettato l’appello proposto dal Ministero della Pubblica Istruzione avverso la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta da C.A. – assistente amministrativo appartenente al comparto Scuola, distaccato presso il Provveditorato agli Studi di Napoli -, aveva riconosciuto il diritto del ricorrente a percepire l’indennità di amministrazione di cui all’art. 34 CCNL Ministeri 1995/1998 e all’art. 33 CCNL Ministeri 1998/2001 ed aveva condannato la Pubblica Amministrazione convenuta al pagamento della somma di Euro 12.466,32 per il periodo dal 1 luglio 1998 al 31 dicembre 2005, nonchè al pagamento degli ulteriori importi maturati dal 1 gennaio 2006 alla cessazione del servizio presso la P.A. di destinazione;

che, per quanto ancora rileva nella presente sede, la Corte di appello, premesso che il C. aveva svolto per molti anni mansioni proprie dei dipendenti dell’Amministrazione periferica del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca con compiti e responsabilità pari a quelli dei colleghi che però percepivano la retribuzione comprensiva dell’indennità rivendicata, ha osservato che l’originario provvedimento di distacco risaliva al 1985, epoca di gran lunga antecedente all’emanazione del d.lgs. 470/1993 che aveva aggiunto, al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 31, il comma 6 – bis, secondo cui “fino alla revisione delle tabelle di cui al comma 1, lett. c), è consentita l’utilizzazione nei provveditorati agli studi di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola in mansioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza; le stesse utilizzazioni possono essere disposte dai provveditori agli studi fino al limite delle vacanze nelle dotazioni organiche degli uffici scolastici provinciali, sulla base di criteri definiti previo esame con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a norma dell’art. 10 e, comunque, con precedenza nei confronti di chi ne fa richiesta” (norma poi abrogata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 72, comma 1, lett. T); che pertanto, alla data di entrata in vigore di tale disposizione, la situazione di utilizzo era già in atto e tanto era sufficiente al riconoscimento del diritto di cui all’Alt. A, n. 7, lett. b) del C.C.N.L. comparto Ministeri sottoscritto 22 ottobre 1997, secondo cui “il personale che presta servizio in struttura della stessa amministrazione non coincidente con quella di appartenenza ed avente diversa indennità di amministrazione, percepisce l’indennità della struttura ove presta servizio purchè vi sia stata assegnato con atto formale e legittimo, in base alla normativa in vigore”; difatti, non vi era dubbio che il C. fosse stato distaccato in virtù di un atto legittimo e formale, ossia mediante un provvedimento non disconosciuto dall’Amministrazione, ed anzi il distacco fu prorogato con nota 29 agosto 2005 fino al 31 agosto 2006 e con successivo provvedimento del 30 agosto 2006 fino al 31 agosto 2007, con espresso riconoscimento dell’utilità della prestazione lavorativa effettuata;

che avverso tale sentenza il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha proposto ricorso affidato ad un motivo, al quale resiste il C. con controricorso;

che il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il ricorso, denunciando violazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 31, comma 6 – bis, del C.C.N.L. Ministeri 1995/1998, art. 34 e del C.C.N.L. Ministeri 1998/2001, art. 33, addebita alla sentenza impugnata di avere erroneamente interpretato ed applicato la disciplina suddetta, la quale prevede che le utilizzazioni del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola da parte dei provveditorati gli studi vengano effettuate con atto formale e legittimo; nella specie, successivamente all’entrata in vigore della norma, erano stati emanati provvedimenti formali, ma per periodi (dal 29 agosto 2005 al 30 agosto 2006 e, da qui, fino al 31 agosto 2007) diversi e non coincidenti con il periodo per cui il C. aveva chiesto l’identità amministrativa (dal 1° luglio 1998 fino al 31 dicembre 2005 e dal 1 gennaio 2006 alla cessazione dal servizio presso la P.A. di assegnazione);

che, come osservato dal P.G. nelle sue conclusioni, che questo Collegio condivide, l’Amministrazione ricorrente non censura correttamente la ratio decidendi sottesa alla sentenza di merito: la Corte territoriale ha affermato che esisteva in atti un provvedimento di distacco formale e legittimo (allegati 6-11) precedente all’entrata in vigore dell’art. 31, comma 6-bis, provvedimento più volte prorogato; il fatto che la norma sopravvenuta consentisse l’utilizzazione presso i provveditorati agli studi di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario della scuola con le limitazioni attinenti alle dotazioni organiche ed ai criteri definiti previo esame con le OO.SS. non determinava – ad avviso della Corte di appello – alcuna necessità di revoca o reiterazione dei provvedimenti in precedenza adottati; che, per implicito, la Corte territoriale ha fatto applicazione del principio secondo cui lo ius superveniens è applicabile (solo) ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorchè conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore (cfr., Cass. n. 2433 del 2000; n. 16620 del 2013, n. 16039 del 2016); difatti, il principio dell’irretroattività previsto dall’art. 11 preleggi fa sì che la nuova legge non possa essere applicata, oltre ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente e ancora in vita ove, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle sue conseguenze attuali o future (così, sull’operatività del principio di irretroattività, Cass. n. 301 del 2014 e n. 9462 del 2015);

che tale ratio decidendi, sottesa alla decisione impugnata, non è stata validamente censurata, poichè il ricorso muove da un presupposto – non sostenuto da alcuna specifica argomentazione – che il provvedimento originario avesse perso efficacia e dovesse essere rinnovato al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina, sì da potere assumere rilievo nella fattispecie solo i provvedimenti emessi dall’Amministrazione nel 2005 e nel 2006, riguardanti un periodo non coincidente con quello di cui alla pretesa azionata;

che, avendo la Corte territoriale esposto le ragioni giuridiche e di fatto per le quali non era applicabile l’art. 6-bis alla fattispecie dedotta in giudizio, deve rilevarsi l’inammissibilità del ricorso che non censura in modo specifico la ratio decidendi suddetta, assumendo in modo meramente assertivo ed apodittico l’applicazione al distacco in corso della norma sopravvenuta senza spiegarne le ragioni, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (Cass. n. 17125 del 2007, n. 4036 del 2011);

che, in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dell’Amministrazione ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, da distrarsi in favore del procuratore antistatario, avv. Francesco Manzo.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2017

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