Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17922 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, (ud. 04/06/2020, dep. 27/08/2020), n.17922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17838-2019 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PRISCIANO 28, presso lo studio dell’avvocato GUIDO CIPRIANI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO VERLEZZA;

– ricorrente –

contro

D.M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

FLAMINIO 34, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO NUNE’, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7186/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, F.A., aveva in locazione un immobile ad uso commerciale, di proprietà di D.M.F..

Quest’ultimo ha intimato sfratto per morosità quanto ai canoni da gennaio a giugno 2012, ed il conduttore, l’attuale ricorrente, si è difeso sostenendo che, già da prima della intimazione di sfratto, il contratto si era risolto e che lui ha continuato ad occuparlo senza titolo, corrispondendo l’indennità di occupazione al posto del canone, in attesa del pagamento della indennità di avviamento commerciale.

Questa tesi è stata accolta dal giudice di primo grado, che ha condannato il locatore a versare detta indennità, dopo averne compensato parte dell’ammontare con il debito residuo del conduttore. Su appello del D.M., la corte di secondo grado ha riformato questa sentenza, aderendo alla tesi difensiva del locatore, e dunque ritenendo risolto per morosità il contratto e tenuto il conduttore al pagamento dei canoni.

Il F. ricorre con tre motivi. Si oppone con controricorso il D.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata.

La corte di appello rileva, sulla base dei documenti prodotti, che il contratto, al momento della citazione in giudizio, non era risolto per disdetta, in quanto si era tacitamente rinnovato, e che di conseguenza, il godimento del conduttore continuava su quel titolo e non era mutato in occupazione di fatto; che conseguentemente quest’ultimo era tenuto al pagamento del canone, anzichè alla indennità di occupazione; che di tale pagamento era moroso, e che quindi il contratto andava risolto per inadempimento, con ogni altra conseguenza.

2.- Il ricorrente censura questa ratio con tre motivi.

2.1.- Con il primo motivo denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c. Assume che i motivi di appello addotti dal locatore non erano specifici, e che, nel costituirsi in giudizio, la relativa inammissibilità era stata eccepita.

La corte ha replicato citando una vecchia giurisprudenza sulla sufficienza di contenuto del motivo di appello, valida per le impugnazioni anteriori al 2012, e non per quelle successive alla riforma.

2.1.2.- Il motivo è infondato.

Va ricordato che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. 13535/2018).

La corte di appello ha invero osservato che dai motivi si capiva quali fossero le ragioni di censura mosse alla decisione di primo grado; ragioni di censura che dunque v’erano ed erano esplicite; e ciò basta a rendere sufficiente l’appello, che è tale se contiene, per l’appunto, una censura comprensibile alla ratio della sentenza impugnata.

2.2.- Con il secondo motivo si denuncia omesso esame circa un fatto rilevante e controverso.

Secondo il ricorrente, la corte non avrebbe considerato che il rapporto si era risolto per recesso unilaterale del locatore, il quale, con lettera del 4.4.2012, aveva richiamato la precedente disdetta del 6.4.2010.

La corte non avrebbe tenuto in alcun conto quest’ultima lettera, ossia la disdetta del 6.4.2010, e se lo avesse fatto, avrebbe dovuto ammettere che quella lettera produceva l’effetto di risoluzione.

Con la conseguenza che, al momento della citazione in giudizio, il contratto era già risolto ed il conduttore occupava l’immobile senza titolo in attesa di avere il pagamento della perdita dell’avviamento commerciale.

2.2.1.- Il motivo è infondato.

La corte di appello ha valutato quella scrittura del 6.4.2010, e l’ha fatto unitamente a tutti gli altri documenti di causa, giungendo alla conclusione che dopo la scadenza del giugno 2011 (quella in vista della quale sarebbe stata data disdetta con la lettera in questione) il rapporto è stato prorogato, attraverso una serie di comportamenti concludenti (p. 4).

Ossia, la corte ritiene che quella disdetta non abbia prodotto effetto risolutivo essendo stata posta nel nulla dalle condotte inequivocabili di rinnovo contrattuale.

Non v’è dunque omesso esame del fatto indicato dal ricorrente.

2.3.- Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 1597 c.c. e L. n. 392 del 1978, art. 28.

Secondo il ricorrente la corte avrebbe errato nel ritenere tacitamente rinnovato il contratto, avendo attribuito valore di comportamento concludente a fatti che invece ne erano palesemente privi, come la registrazione del contratto, il pagamento dei canoni, la dichiarazione del conduttore di aver proseguito l’attività commerciale fino al 14.1.2013.

Si tratterebbe secondo il ricorrente di elementi non sufficienti a ritenere prorogato un contratto che era stato già risolto con la disdetta di cui al precedente motivo.

2.3.1.- Il motivo è inammissibile.

Si censura, sotto l’apparenza della violazione di legge, la valutazione di alcune prove e di alcuni fatti come significativi di un tacito rinnovo; di fatto non si contesta alla sentenza impugnata una erronea interpretazione della legge (art. 1597 c.c. e L. n. 392 del 1978, art. 28), quanto piuttosto di aver dato rilievo probatorio ad elementi che non lo avevano, ossia di avere indotto la tacita rinnovazione da elementi (registrazione, pagamento canone ecc.) privi di valore presuntivo. Dunque, si contesta un accertamento in fatto che è rimesso alla valutazione discrezionale della corte di merito e che è censurabile in cassazione solo per errore percettivo o difetto assoluto di motivazione. Il ricorso va pertanto rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di Euro 2200,00 oltre 200,00 di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

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