Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17920 del 31/08/2011
Cassazione civile sez. lav., 31/08/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 31/08/2011), n.17920
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –
Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
C.A.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata
in ROMA, PIAZZA FRIGGERI 18, presso lo studio dell’avvocato BONACCIO
GIOVANNI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ANTONIO RUGGIERO, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
INCA SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 47, presso
lo studio dell’avvocato CORTI PIO, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato NEGRI MARCO MARIA, giusta procura a margine
della seconda pagina del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1091/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO
dell’8/04/2008, depositata il 30/09/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
28/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. FILIPPO CURCURUTO;
udito l’Avvocato Raffaella Baccaro, (delega avvocato Pio Corti),
difensore della controricorrente che si riporta agli scritti;
è presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO
IANNELLI che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
Che:
C.A. con ricorso per un motivo, al quale TINCA s.r.l. resiste con controricorso, impugna la sentenza della Corte d’Appello di Milano che, confermando la decisione di primo grado, ha respinto, la domanda della C. diretta a conseguire il risarcimento del danno dall’INCA quale proprio datore di lavoro per la violazione dell’art. 2087 c.c. non avendola tutelata nella propria integrità psico-fisica, adottando le cautele idonee a proteggerla dai rischi su di lei incombenti, considerata l’aggressione e gli altri attacchi subiti per effetto delle mansioni svolte.
La Corte d’Appello ha ritenuto che la C. non avesse assolto all’onere probatorio che le incombeva. Non era stato confermato il preteso svolgimento da parte della C. di mansioni di controllo sul corretto operato dei colleghi, che sarebbe stata la ragione del clima conflittuale creatosi nell’ambiente di lavoro. Non vi era prova che la C. avesse subito lesioni conseguenti ad una aggressione nei locali aziendali: il relativo certificato medico era di tre giorni posteriore al fatto e conteneva diagnosi di contusione con ematoma al ginocchio destro e al seno sinistro, evidentemente incompatibile con percosse brutali, peraltro non confermate. Tale diagnosi inoltre non aveva alcuna coerente relazione con il successivo certificato medico attestante una lombalgia acuta.
Le ulteriori successive certificazioni mediche erano posteriori di sette anni, sicchè era da escludere qualunque collegamento con le precedenti diagnosi.
L’unico motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. e si conclude con un quesito di diritto nel quale si chiede a questa Corte di “statuire in merito all’applicazione dell’art. 2087 c.c. e in specifico se tale norma verta in ipotesi di responsabilità contrattuale, e pertanto se incomba sul datore di lavoro provare di avere adempiuto correttamente la propria prestazione mentre alla lavoratrice compete unicamente provare la lesione subita e il nesso di causalità tra questa e la prestazione lavorativa”.
Il ricorso è inammissibile, in quanto tardivo, come eccepito nel controricorso.
La sentenza impugnata è stata resa pubblica mediante deposito in cancelleria, nel testo completo di dispositivo e motivazione, il 30 settembre 2008.
Il ricorso per cassazione è stato avviato alla notifica a mezzo del servizio postale il 13 novembre 2009, e quindi oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., nel testo allora vigente, termine che, trattandosi di controversia di lavoro non è soggetto a sospensione feriale.
La parte ricorrente deve esser condannata alla spese del giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente alle spese in Euro 30 per esborsi, ed in Euro 3000 per onorari, oltre ad IVA, CPA e spese generali.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2011