Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1792 del 20/01/2022

Cassazione civile sez. II, 20/01/2022, (ud. 10/06/2021, dep. 20/01/2022), n.1792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26119/2018 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in Roma, via R. Boscovich

n. 3, presso lo studio dell’avvocato Lelio Placidi, rappresentato e

difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

PR.PA., elettivamente domiciliata in Roma, via della

Balduina n. 7, presso lo studio dell’avvocato Concetta Trovato,

rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Pasqualini;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1555 della Corte di appello di Bologna,

depositata il 7 giugno 2018 e notificata l’11 giugno 2018;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale non

partecipata L. n. 176 del 2020, ex art. 23, del 10 giugno 2021 dal

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista,

che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Avv. P.M. proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Bologna, avverso il decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto dall’Avv. Pr.Pa. per la somma di Euro 4.582,08 a titolo di compensi professionali, eccependo che la procura alle liti era stata rilasciata dalla comune cliente, Pa.Mo., ad entrambi i legali, diversamente da quanto affermato dalla Pr..

Il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 1555 del 2018, nella resistenza dell’opposta, respingeva l’opposizione perché infondata e dava atto dell’avvenuto pagamento della somma di Euro 5.888,00 in corso di causa. In virtù di gravame interposto dal P., la Corte di appello di Bologna, nella resistenza dell’appellata, rigettava il gravame e per l’effetto confermava il decreto ingiuntivo ritenendo non provata l’esistenza di accordi tra le parti in merito ad un mandato congiunto che avrebbe posto l’obbligo di, pagamento dei compensi della Pr. a carico della Pa..

Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna il P. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi, cui replica la Pr. con controricorso.

Fissata adunanza camerale in data 9 gennaio 2020 e depositata memoria illustrativa dal ricorrente, con ordinanza interlocutoria n. 14174/2020, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per essere rimessa alla trattazione in pubblica udienza per insussistenza dell’evidenza decisoria, anche quanto alla questione di procedibilità del ricorso dedotta dalla controricorrente. In prossimità dell’udienza – fissata ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, conv. con modificaz. in L. n. 176 del 2020, senza che parte ricorrente né il P.G. depositassero istanza per la trattazione della causa in pubblica udienza sicché la stessa è stata riservata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata – sono state acquisite le conclusioni della Procura Generale, motivate nel senso dell’accoglimento del ricorso, ritualmente comunicate alle parti. Sia il ricorrente che la controricorrente hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Va preliminarmente esaminata la questione della procedibilità del ricorso per averne la Pr. nel controricorso escluso la regolarità.

In effetti, occorre rilevare che la notifica della gravata sentenza a cura dell’avv. Andrea Pasqualini, difensore della Pr., ha avuto luogo a mezzo posta elettronica certificata, secondo quanto risulta dagli atti messi a disposizione di questa Corte dal ricorrente, in data 11 giugno 2018. Deve allora farsi applicazione al caso di specie del principio di diritto elaborato da questa Corte (Cass. 14 luglio 2017 n. 17450), sostanzialmente confermato da numerosa giurisprudenza successiva (ex multis, Cass. 22 dicembre 2017 n. 30765), a mente della quale, “ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena d’improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche deve depositare nella cancelleria della Corte di cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonché della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio” (solo precisando che non è “necessario anche il deposito di copia autenticata del provvedimento impugnato estratta direttamente dal fascicolo informatico”).

Quindi, il ricorrente deve allegare al ricorso per cassazione copia autenticata sia della sentenza che della relazione di notificazione della sentenza. La mancata allegazione di uno di questi atti determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione.

L’improcedibilità può essere evitata con un deposito successivo, purché ciò avvenga entro il limite temporale di 20 giorni dalla notifica del ricorso per cassazione (il termine cioè entro il quale il ricorso deve essere depositato, dopo essere stato notificato). La mancanza del deposito dell’uno o dell’altro atto, anche se non eccepita, deve essere rilevata d’ufficio dalla Corte.

Ai fini della procedibilità del ricorso rileva la presenza negli atti della copia autentica della sentenza con relazione di notifica, perché depositata dal controricorrente o presente nel fascicolo d’ufficio. Invero, le Sezioni unite, più di recente, con sentenza 2 maggio 2017, n. 10648, hanno precisato che non si applica la sanzione della improcedibilità quando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice perché prodotto dalla controparte o perché presente nel fascicolo d’ufficio acquisito su istanza della parte. E, nell’occasione, hanno confermato che l’improcedibilità non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza (e, quindi, nel rispetto del termine breve per l’impugnazione), perché in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. 10 luglio 2013 n. 17066).

Nella specie, dagli atti inseriti nel fascicolo di parte ricorrente emerge che sebbene rechi lo stesso il deposito dell’attestazione di notifica della sentenza impugnata, la medesima però è priva di sottoscrizione, oltre a risultare che siffatta attività non è stata svolta dallo stesso avvocato notificante. Inoltre mancano anche le copie di messaggi PEC di avvenuta consegna; sicché difettando i requisiti del deposito degli uni e delle altre, non depositati entro il termine perentorio previsto dall’art. 369 c.p.c., il ricorso è improcedibile.

Peraltro la copia autentica con relata di notifica non si rinviene nemmeno nella produzione di parte controricorrente, né la notifica del ricorso è avvenuta entro i 60 giorni dal deposito della pronuncia che scadeva il 2 settembre 2018, prorogato al giorno successivo, 3 settembre, perché giorno festivo (domenica).

Neppure può ritenersi che nella controversia possa spiegare efficacia quanto alla correttezza del rilievo dell’improcedibilità quanto precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8312 del 2019.

Tale decisione, riferita alla specifica ipotesi in cui la sentenza impugnata sia stata notificata a mezzo PEC, ha, infatti, avuto modo di precisare alla pag. 42, sub 2) che ai fini della procedibilità del ricorso si palesa comunque necessario il tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica e del corrispondente messaggio pec con annesse ricevute, ancorché prive di attestazione di conformità del difensore oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, posto che solo in tal caso è dato al ricorrente provvedere al deposito sino all’udienza dell’attestazione di conformità del messaggi cartacei.

Deve quindi reputarsi che il ricorso resti improcedibile laddove, pur essendosi depositata copia autentica della sentenza, che però si assume essere stata notificata, non siano stati tempestivamente depositati nel termine di cui dell’art. 369 c.p.c., comma 1, anche i detti messaggi pec con annesse ricevute.

Nel caso in esame, come rilevato, risulta prodotta solo copia della sentenza d’appello, non rinvenendosi copie cartacee dei messaggi di ricezione a mezzo pec della stessa sentenza, né nella produzione del ricorrente né in quella di parte controricorrente (e ciò anche a voler soprassedere circa il fatto che in assenza di attestazione di conformità, attesa la presenza di una parte intimata, non potrebbe ovviarsi alta detta carenza per effetto della sola condotta processuale delle altre parti).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato improcedibile.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

 

 

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