Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17919 del 12/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 12/09/2016, (ud. 14/06/2016, dep. 12/09/2016), n.17919

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23113/2011 proposto da:

G.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato GERARDO VESCI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONIO PUGLIESE e

PAOLO PUGLIESE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA FIDEURAM S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

SCOGNAMIGLIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

RENATO SCOGNAMIGLIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 312/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 31/05/2011, R.G. N. 356/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato LEONARDO VESCI per delega orale GERARDO VESCI;

udito l’Avvocato VINCENZO PORCELLI per delega RENATO SCOGNAMIGLIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza 31 maggio 2011, la Corte d’appello di Genova rigettava l’appello proposto da G.M. (incaricata dell’attività di produttore assicurativo per contratto stipulato il 31 agosto 1999 con Banca Fideuram s.p.a., integrato da contratto di agenzia 1 marzo 2000 per la promozione dei prodotti finanziari della banca e dimissionaria per gravi motivi di salute con telegramma del 30 marzo 2004 ed accettazione della preponente il 21 aprile 2004) avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto le domande di pagamento delle indennità sostitutiva del preavviso, suppletiva di clientela, meritocratica e di fine rapporto ed invece condannato la predetta al rimborso, in favore della banca, degli anticipi corrispostile sulle provvigioni, del 50% delle somme erogate per manleva dell’agente dagli esborsi relativi al patto di non concorrenza con la banca precedente datrice e al pagamento di penale per mancata restituzione di un computer.

A motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva la prova dell’impossibilità assoluta di prosecuzione dell’attività lavorativa, sulla base della stessa documentazione prodotta dalla lavoratrice, attestante una riduzione della capacità lavorativa al 2008 del 67% (con una residua di lavoro impiegatizio anche in autonomia totale, a condizione dell’assenza di responsabilità), giustificante il rigetto delle sue domande, per le ragioni specificamente indicate e la correlativa fondatezza delle pretese di rimborso della banca sulla base delle previsioni contrattuali, in riferimento al recesso dell’agente ante tempus e delle facoltà dalle medesime attribuite alla preponente.

Con atto notificato il 30 settembre 2011, G.M. ricorre per cassazione con unico motivo, cui resiste Banca Fideuram s.p.a. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, L. n. 52 del 1996, artt. 8 e 21 e art. 2236 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per la non corretta valutazione della residua capacità lavorativa dell’agente in riferimento ad attività non comportante responsabilità, invece prevista da quella di promotore finanziario, senza neppure considerazione della documentata coesistenza di sindrome metabolica (sindrome X), inibente la prosecuzione dell’attività svolta da G.M., nè esperimento di idonea C.t.u. in ordine all’accertamento della compatibilità tra detta attività lavorativa e le condizioni di salute della predetta.

Il motivo è inammissibile.

Non si configurano, infatti, le violazioni di norme di legge denunciate, per insussistenza dei requisiti loro propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme, nè di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, nè tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).

Il ricorso è teso, in realtà, all’essenziale censura della valutazione degli elementi di prova individuati dalla Corte territoriale, per la sua modulazione alla stregua di contestazione del ragionamento argomentativo svolto, in modo corretto ed esauriente, privo di vizi logici nè giuridici, dalla Corte territoriale (per le ragioni esposte in particolare al punto 2 di pgg. 5 e 6 della sentenza).

Sicchè, esso si risolve in una sostanziale richiesta di riesame dell’accertamento in fatto, insindacabile in questa sede, spettando al giudice di legittimità, non già il riesame nel merito dell’intera vicenda processuale, ma la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066).

Ma il motivo viola pure il requisito di specificità, rivelandosi assolutamente generico, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 6 luglio 2007, n. 15952).

Ed infatti, esso non confuta puntualmente il ragionamento motivo della Corte (in particolare ai primi due capoversi di pg. 6 della sentenza), pure difettando la formulazione di un vizio di motivazione esplicitamente argomentato (e non soltanto formalmente enunciato nel numero della rubrica) ed in riferimento ad una normativa denunciata del tutto inconferente rispetto alla questione controvertita.

Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna G.M. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2016

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