Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17918 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. III, 04/07/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 04/07/2019), n.17918

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22688/2017 proposto da:

UNICREDIT LEASING SPA, in persona del suo procuratore speciale

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MANUELE GIANTURCO

6, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO CATAVELLO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SPA IN LIQUIDAZIONE in persona del

Curatore Dott. I.G., domiciliato ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIAN MARIA FURLAN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 861/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 28/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/04/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 699/2010 il Tribunale di Massa rigettava domanda, proposta dal Fallimento (OMISSIS) S.p.A., di condannare Locat S.p.A. – poi divenuta Unicredit Leasing S.p.A. – alla restituzione dei canoni di un leasing mobiliare (avente ad oggetto un macchinario) risolto per inadempimento dell’utilizzatrice (OMISSIS), ritenendo non dimostrato che si trattasse di leasing traslativo anzichè di godimento, e che quindi sussistessero i presupposti per l’applicazione dell’art. 1526 c.c..

Avendo il Fallimento proposto appello, cui controparte resisteva, la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 28 giugno 2017, accoglieva parzialmente il gravame, ritenendo che il leasing fosse traslativo e condannando dunque l’appellata a corrispondere all’appellante la somma di Euro 220.600,29, oltre interessi, quali rate pagate al netto di equo compenso per l’utilizzo del bene e di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1526 c.c..

Unicredit Leasing ha proposto ricorso, articolato in tre motivi – illustrati poi anche con memoria -, da cui si è difeso con controricorso il Fallimento.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..

Il giudice d’appello non avrebbe interpretato correttamente il contratto e avrebbe fornito una motivazione insufficiente e contraddittoria. Vengono riportati gli articoli del contratto nn. 16, 17 e 18, offrendone una valutazione evidentemente alternativa a quanto ritenuto dal giudice d’appello, cui si imputano argomenti contraddittori, richiamando altresì documenti per giungere a concludere che la corte territoriale “ha erroneamente riconosciuto l’obbligo di restituzione” di trentacinque canoni omettendo di considerare “la documentazione prodotta” e “il contenuto della posizione difensiva” del fallimento.

1.2 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione delle clausole contrattuali.

Viene criticata la valutazione della corte territoriale in ordine alla quantificazione del danno risarcibile, richiamando, come violato, l’art. 21 delle Condizioni Generali di Contratto.

1.3 Il primo e il secondo motivo sono direttamente fattuali, come emerge ictu oculi dalla sintesi appena tracciata del loro contenuto. Al giudice di legittimità viene inequivocamente richiesto di operare una revisione degli accertamento di merito, traendo dal compendio probatorio – come già si è accennato – una valutazione alternativa a quella che è stato oggetto della opzione della corte territoriale, e travalicando così i confini della giurisdizione della Suprema Corte come determinati dai tassativi paradigmi di legge. Entrambe le censure incorrono, pertanto, in una evidente inammissibilità.

2.1 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1526 c.c. “e delle previsioni contrattuali”.

Per determinare l’equo compenso, la corte territoriale lo avrebbe identificato nella remunerazione del godimento del macchinario e nel deprezzamento per l’uso del macchinario stesso, ponendosi così in contrasto con la giurisprudenza per cui l’applicazione dell’art. 1526, genera in capo al concedente il diritto di pretendere, quale risarcimento ex art. 1453 c.c., comma 1, la differenza tra l’intero corrispettivo che avrebbe dovuto pagare l’utilizzatore e il valore del bene alla luce dei i prezzi correnti all’epoca della liquidazione. La giurisprudenza inoltre sarebbe concorde nel ritenere necessario, per determinare l’equo compenso, tenere conto della remunerazione del godimento del bene e del deprezzamento per la non commerciabilità del bene come nuovo, oltre al risarcimento del danno, id est il guadagno che il concedente avrebbe conseguito se l’utilizzatore gli avesse corrisposto tutti i canoni come previsto nel contratto.

Nel caso in esame, la corte territoriale avrebbe “snaturato” l’applicazione dell’art. 1526 c.c., “aderendo al criterio della capitalizzazione semplice”, che non terrebbe conto della natura finanziaria del contratto nè della regolamentazione contrattuale, così di fatto annullando il compenso per il godimento. I canoni del leasing avrebbero come funzione principale il corrispettivo per il godimento del bene, per cui gli interessi finanziari sarebbero inglobati nel canone; pertanto “la remunerazione del capitale concesso in locazione” avrebbe dovuto calcolarsi secondo le “pattuizioni contrattuali nel loro complesso numericamente sintetizzate nel piano di ammortamento utilizzato” durante le operazioni peritali, dal quale emergerebbe che, a fronte di locazione totale per Euro 1.115.934, la concedente avrebbe incassato solo Euro 896.790, oltre a Euro 77.468,55 quale prezzo di cessione.

2.2 Questo motivo a sua volta sfocia – come evidenzia la sua parte finale – in una pretesa di cognizione fattuale da parte del giudice di legittimità; e comunque – con ancor più evidenza non è autosufficiente in quanto viene a fondarsi su un “piano di ammortamento” che sarebbe stato utilizzato durante la consulenza tecnica d’ufficio di cui non indica altro che il preteso risultato finale. Ne consegue che anch’esso è inammissibile.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 10.000, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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