Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17916 del 30/07/2010

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2010, n.17916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MIRABELLO

17, presso lo studio dell’avvocato ZARDO FULVIO, rappresentata e

difesa dagli avvocati MISCIONE MICHELE, CASADIO GIANNI, giusta

mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, NICOLA VALENTE, ANTONELLA PATTERI, giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO, in persona del Dirigente con incarico di livello

generale, Direttore della Direzione Centrale Prestazioni,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, rappresentato

e difeso dagli avvocati LA PECCERELLA Luigi, LUCIANA ROMEO, giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 707/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA

dell’11.6.09, depositata il 13/08/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/07/2010 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GOLIA

Aurelio.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con sentenza in data 11.6/13.8.2009 la Corte di appello di Bologna, in accoglimento dell’appello avverso la sentenza resa dal Tribunale di Ravenna il 15.3.2005, rigettava la domanda avanzata da S. P. ai fini del riconoscimento del beneficio di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 previo accertamento dell’esposizione ultradecennale ad amianto.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso S.P. con due motivi. Resistono con controricorso l’INPS e l’INAIL. Con il primo motivo la ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione della L. n. 257 del 1992, nonche’ vizio di motivazione, rilevando che la prova, richiesta dalla giurisprudenza, dell’esistenza nei luoghi di lavoro di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991 risulta contrastare “con la lettera e con le finalita’ della legge”.

Il motivo e’ inammissibile in quanto contrasta con consolidati precedenti di questa Suprema Corte, ed, in particolare, con l’arresto che il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 deve essere interpretato nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto spetta unicamente ai lavoratori che, in relazione alle lavorazioni cui sono stati addetti e alle condizioni dei relativi ambienti di lavoro, abbiano subito per piu’ di dieci anni (periodo in cui vanno valutate le pause fisiologiche, quali riposi, ferie e festivita’) una esposizione a polveri di amianto superiori ai limiti previsti dal D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31 (v. ex multis ad es. Cass. n. 12866/2007; Cass. n. 27451/2006; Cass. 16119/2005).

Questa linea interpretativa (che si collega con l’orientamento del giudice delle leggi, che ha ripetutamente rilevato che la norma in esame ha una portata precettiva delimitata dalla previsione del periodo temporale minimo di esposizione a rischio e dalla riferibilita’ a limiti quantitativi inerenti alle potenzialita’ morbigene dell’amianto contenuti nel D.Lgs. n. 277 del 1991 e succ. mod.: sent n. 5/2000 e n. 434/2002) si riconnette all’esigenza di individuare una soglia di esposizione al rischio che valga a dare concretezza alla nozione di esposizione all’amianto presa in considerazione dalla disposizione di legge, che non contiene, nella mera formulazione letterale, quegli elementi di delimitazione del rischio, quali sono, invece, rappresentati, nella previsione del comma 6, dal particolare tipo di lavorazione (nelle cave o nelle miniere di amianto), o, in quella del comma 7, dalla insorgenza di una malattia professionale correlata all’esposizione stessa.

In tal contesto, si e’, quindi, precisato, con orientamento che puo’ ritenersi ormai acquisito, che, del riferimento complessivo al D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 21 e 34 e’ rilevante in concreto il dato emergente dalla prima norma, la quale indica (o meglio, indicava, stante l’abrogazione di tutto il capo 3^ del D.Lgs. n. 277 del 1991, comprendente sia l’art. 24 che l’art. 31, da parte del D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257, art. 5 che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2003/18/CE del 27 marzo 2003, inserendo la novellata disciplina nel D.Lgs. n. 626 del 1994) il valore di 0,1 fibre di amianto per centimetro cubo, in rapporto ad un periodo lavorativo di otto ore, quale soglia il cui superamento implica la valutazione della relativa posizione di lavoro come esposta ad un rischio qualificato e concreto, richiedente l’adozione di apposite misure di prevenzione e monitoraggio (quali l’obbligo di notifica all’organo di vigilanza, l’informazione periodica al lavoratore circa i rischi, la delimitazione dei luoghi esposti al rischio, con restrizione di accesso ai medesimi e messa a disposizione in favore dei lavoratori dei mezzi individuali di protezione, la misurazione periodica dei livelli di esposizione, l’apprestamento di particolari misure in ordine agli indumenti di lavoro) (v. ad es. Cass. n. 16256/2003;

Cass. n. 16119/2005; Cass. n. 400/2007; Cass. n.18495/2007; Cass. n.29660/2008; Cass. n. 849/2009; Cass. 4650/2009).

Merita soggiungere che il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 59 decies introdotto dal D.Lgs. n. 257 del 2006, art. 2 ha ormai fissato (in attuazione della gia’ rammentata direttiva comunitaria) nel valore di 0,1 fibre per centimetro cubo il limite massimo di esposizione ad amianto.

E che la stessa soglia e’ stata recepita, con utilizzazione di una diversa unita’ di misura, dal D.L. n. 269 del 2003, art. 47 (conv.

con modificazioni nella L. n. 326 del 2003 e la cui portata e’ stata ulteriormente precisata dalla L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132), che, se ha modificato ratione temporis la portata e la misura del beneficio contributivo accordato, ha, da un lato, confermato la necessita’, anche con riferimento al periodo pregresso, di una soglia di esposizione quantitativamente precisata (cfr. Cass. 21257/2004;

Cass. n. 400/2007), ha, dall’altro, precisato la fattispecie costitutiva nel senso di richiedere, per l’acquisizione del beneficio previdenziale, l’esposizione all’amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro, come valore medio su otto ore al giorno, concentrazione che corrisponde a quella di 0,1 fibre per centimetro cubo espressa, con diversa unita’ di misura, dal D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24 (cfr. ad es. Cass. n. 400/2007; Cass. n. 4650/2009). Alla luce di tali precedenti, il ricorso non appare offrire elementi per confermare o mutare l’orientamento gia’ espresso dalla Corte. Il secondo motivo, con il quale la ricorrente contesta gli esiti delle indagini tecniche svolte nella fase di merito (e che la sentenza impugnata afferma esser rimaste in quella sede incontestate), e’ manifestamente infondato, contrastando con il principio per cui e’ onere del ricorrente, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, dar conto delle specifiche censure mosse, nella fase di merito, alla relazione peritale, riportandone analiticamente il contenuto, al fine di consentire a questa Suprema Corte di apprezzarne la pertinenza e la tempestivita’, e quindi, in definitiva, la decisivita’ ai fini del presente processo, in coerenza con i caratteri che riveste il giudizio di legittimita’, e che, comunque, devono ritenersi inammissibili contestazioni della consulenza tecnica d’ufficio non espresse gia’ nel giudizio di merito (cfr. ad es. Cass. N. 7696/2006;

Cass.n. 2207/2002). Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla sulle spese, in applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo (anteriore alla novella di cui del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11 conv. nella L. n. 326 del 2003, entrato in vigore il 2.10.2003) vigente ratione temporis.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 9 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2010

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