Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17915 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. III, 04/07/2019, (ud. 12/04/2019, dep. 04/07/2019), n.17915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29350-2017 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLLAZIA

2-F, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO CANALINI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESARE BONA;

contro

L.M.;

– intimata –

Nonchè da:

L.E.P., quale erede legittima della sig.ra L.M.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO RIZZO, rappresentata e difesa dall’avvocato

ROBERTO CAMPAGNOLO;

– ricorrente incidentale –

contro

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, V.COLLAZIA 2-F,

presso lo studio dell’avvocato FEDERICO CANALINI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato CESARE BONA;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 4275/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito ricorso incidentale condizionato;

udito l’Avvocato RIZZO ANTONIO per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto pubblico dell’11.5.2011, L.M. e C.M. stipularono un contratto denominato “cessione con obbligo” mediante il quale la prima cedeva alla seconda la nuda proprietà di immobili siti in (OMISSIS) (conservando per sè l’usufrutto) e la C. assumeva l’impegno di assicurare alla L. (all’epoca ottantottenne) “vitto, vestiario, mantenimento in genere, compagnia (…) assistenza anche infermieristica (…) acquisto di medicinali non mutuabili ed insomma quanto altro (…) comunque attinente in genere l’assistenza, mantenimento e compagnia”; le parti precisavano che, non volendo la L. “nel modo più assoluto – essere ricoverata in futuro presso case di riposo o strutture equipollenti, la parte cessionaria si impegna(va) ad esaudire tale volontà ad ogni desiderio e costo”.

Con atto di citazione notificato nel mese di gennaio 2013, la L. convenne in giudizio la C. per sentir accertare la nullità del contratto per mancanza di causa (difettando l’elemento dell’aleatorietà) o, in subordine, per sentirne dichiarare la risoluzione per inadempimento della controparte.

Il Tribunale di Pavia rigettò le domande dell’attrice, con sentenza che venne impugnata dalla L..

La Corte di Appello di Milano ha riformato la sentenza, dichiarando la risoluzione del contratto per grave inadempimento della C. e riconoscendo la piena proprietà degli immobili in capo alla L..

La Corte ha osservato che:

nella fattispecie era ravvisabile un contratto atipico di “vitalizio alimentare”, consentito ai sensi dell’art. 1322 c.c., per il quale era ammissibile la risoluzione per inadempimento (non applicandosi analogicamente la previsione dell’art. 1878 c.c. dettato in tema di mancato pagamento di rate scadute del contratto di rendita vitalizia);

non era fondata la censura relativa al mancato accoglimento della domanda di nullità, poichè ricorreva il requisito dell’aleatorietà, non essendo stato dedotto alcun elemento “utile a pronosticare la durata e l’entità delle prestazioni del vitaliziante”; nè era possibile affermare la sproporzione tra le prestazioni, non essendo stata proposta domanda di rescissione per lesione;

doveva, invece, essere accolta la domanda di risoluzione, “sussistendo prova documentale dell’inesecuzione di obblighi assunti dalla C.”; dall’estratto del conto corrente della L. relativo al periodo maggio-settembre 2011, emergeva infatti che le utenze relative all’erogazione del gas, alla telefonia fissa e all’erogazione dell’energia elettrica – il cui costo avrebbe dovuto gravare sulla C., rientrando nell’ambito del mantenimento – erano rimaste intestate alla L.; inoltre risultava documentalmente provato che la L. aveva sostenuto le spese notarili dell’atto di cessione, sebbene fosse stato previsto che le stesse dovessero essere a carico della parte cessionaria;

la circostanza che, fin dall’inizio, la C. avesse contravvenuto ai propri obblighi costituiva un “fatto grave, perchè idoneo a porre in discussione la fedeltà della persona prescelta per l’attività di assistenza e compagnia”, incidendo pertanto sull'”elemento di fiducia determinante ai fini dello svolgimento degli impegni contemplati dall’accordo”;

la “situazione risultante dalla documentazione in atti (era) qualificabile come inadempimento grave, idoneo a giustificare la risoluzione del contratto” e, per altro verso, integrava una “giustificazione oggettiva al rifiuto della L. (…) di ricevere la prestazione della controparte” (ex art. 1206 c.c.).

Ha proposto ricorso per cassazione C.M., affidandosi a due motivi; ha resistito, con controricorso, L.E.P., in qualità di erede legittima di L.M., che ha proposto anche ricorso incidentale condizionato basato su due motivi; ad esso ha resistito, con controricorso, la C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Risulta infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente sull’assunto che, deceduta la L., l’atto non dovesse essere notificato agli eredi impersonalmente e collettivamente nel domicilio eletto dalla de cuius presso il difensore costituito in grado di appello, bensì presso l’ultimo domicilio della defunta ovvero nel luogo in cui si era aperta la successione.

Va considerato, infatti, che il ricorso risulta notificato separatamente – anche a L.M. presso il suo difensore e che, in difetto di precedente dichiarazione o notificazione del decesso dell’assistita, tale notifica era senz’altro ammissibile (per il principio di ultrattività del mandato), a norma dell’art. 330 c.p.c., comma 1, senza che rilevasse la conoscenza aliunde di uno degli eventi di cui all’art. 299 c.p.c. da parte del notificante (cfr. Cass., S.U. n. 15295/2014).

2. Il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1453,1455,2697 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..

La ricorrente sostiene di avere adempiuto all’obbligo assunto fino a quando le era stato consentito dalla L. e, per altro verso, che, avendo la cedente piena capacità di intendere e di volere ed avendo conservato la piena disponibilità dei propri conti, essa non aveva alcuna possibilità di controllo o di interferenza sull’utilizzo dei titoli e dei depositi bancari; si duole che la Corte abbia confuso la figura del vitaliziante con quella dell’amministratore di sostegno, che non poteva essere istituita per contratto e che – comunque – la L. non aveva inteso attribuire alla cessionaria; contesta inoltre la possibilità di adottare una nozione eccessivamente estesa del “mantenimento” e rileva che non vi era prova che la L. avesse chiesto alla C. di intestarsi le utenze o di rimborsare i (modesti) importi addebitati nel conto della vitaliziata; censura, altresì, un passaggio della motivazione in cui la Corte ha evidenziato che l’odierna ricorrente non aveva dato prova di avere sostenuto esborsi per il mantenimento della L. e che non era escluso che le somme prelevata) da quest’ultima dai propri conti fossero state utilizzate per far fronte alle sue necessità di vita; aggiunge, al riguardo, che la stessa Corte aveva concluso che “dai prelievi e dagli assegni in discorso non si ricava univocamente l’inadempimento della C.” ed esclude che la presunzione utilizzata risponda ai criteri della gravità, precisione e concordanza; quanto alle spese notarili, assume che non v’è alcuna relazione fra l’assegno di 600,00 Euro emesso dalla L. in favore del notaio, il 9.6.2011, e l’atto pubblico stipulato un mese prima e – altresì – che incombeva sulla vitaliziata l’onere di dimostrare che tale pagamento fosse imputabile proprio all’atto di cessione; erano, inoltre, privi di rilevanza i tre RID riportanti la data del 13 maggio 2011 – relativi a spese per utenze, giacchè evidentemente concernenti consumi generati in epoca anteriore alla stipula del contratto; quanto ai costi per utenze maturati in corso di operatività del vitalizio (ammontanti a soli 52.00 Euro), nulla poteva essere addebitato alla C., in quanto era stata la L. a conservare la domiciliazione delle bollette sul proprio conto corrente.

Quanto, poi, alla ritenuta gravità dell’inadempimento, la ricorrente ribadisce di avere regolarmente adempiuto fino a quando non le era stato fisicamente impedito e contesta la possibilità di inferire dal ritenuto inadempimento concernente le utenze e le spese notarili il futuro inadempimento degli obblighi di assistenza della vitaliziante (di cui la L. aveva goduto fino all’agosto 2011), che sarebbero stati adempiuti se – come ammesso dalla stessa attrice – la vitaliziata non avesse impedito alla C. di riprendere ad occuparsi della sua persona e della sua casa.

Esclude pertanto che vi fosse stato un inadempimento e, tanto meno, che lo stesso fosse stato grave al punto da giustificare la risoluzione del contratto.

2.1. Il motivo – articolato in vari profili – è, per più ragioni, inammissibile, in quanto:

risultano prive di interesse le deduzioni relative alla presunzione circa la destinazione dei prelievi effettuati dalla L. dai propri conti, in quanto i rilievi effettuati dalla Corte sul punto non hanno integrato una ratio decidendi o un argomento a favore della fondatezza della domanda attorea: la Corte ha infatti concluso che “dai prelievi e dagli assegni in discorso non si ricava univocamente l’inadempimento della C.”;

non risulta, per altro verso, adeguatamente censurato il rilievo della Corte secondo cui la C. non aveva “dato prova di alcun esborso sostenuto per il mantenimento della L.”, che costituisce un elemento di indubbio significato nell’ambito di una controversia avente ad oggetto (anche) il mantenimento che, dal maggio al luglio 2011, la vitaliziante avrebbe dovuto assicurare all’assistita;

le censure concernenti la datazione delle spese per utenze e gli importi lasciati a carico della L. risultano svolte senza osservare la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, difettando la trascrizione dei relativi documenti o l’analitico riassunto del loro contenuto;

la circostanza che l’assegno emesso in favore al notaio Accolla fosse successivo all’atto pubblico e il fatto che fosse di modesto importo non valgono ad escludere la riferibilità del pagamento al precedente contratto di cessione; per di più, le valutazioni compiute dalla Corte sul punto involgono tipici apprezzamenti di fatto che non sono suscettibili di sindacato sotto il profilo della violazione di norme di diritto;

va escluso, in particolare, che sia stata violata la previsione dell’art. 2697 c.c., in quanto la Corte non ha errato nel riparto dell’onere della prova, ma si è limitata a valutare il dato del pagamento effettuato in favore del notaio ritenendolo riferibile al contratto, in difetto di elementi che potessero orientare verso una diversa imputazione;

la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non risulta dedotta in conformità ai parametri individuati da Cass., S.U. n. 16598/2016 e da Cass. n. 11892/2016: infatti, un’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio non determina, di per sè, la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che ricorre solo allorchè si deduca che il giudice di merito abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso (valutandole secondo il suo prudente apprezzamento) delle prove legali oppure abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass. n. 27000/2016);

nè risultano ammissibili le censure relative all’apprezzamento circa la gravità dell’inadempimento, alla luce del principio consolidato secondo cui, “in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici” (Cass. n. 6401/2015; conformi Cass. n. 14974/2006 e Cass. n. 4709/2012).

3. Col secondo motivo, viene dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, individuato nella “esplicita ammissione della L. circa l’adempimento della C. sino al mese di agosto 2011” e nel “successivo altrettanto esplicito riconoscimento della L. di avere impedito di fatto alla C. di adempiere l’obbligazione contrattuale”.

La ricorrente evidenzia che, nella lettera inviata alla C. nell’agosto 2012, la L. non aveva fatto alcun riferimento a pagamenti o prelevamenti riportati nell’estratto del conto corrente, ma aveva soltanto lamentato di essere stata “abbandonata” a partire dal mese di settembre 2011, salvo poi ammettere, nel successivo atto di citazione, di avere lei stessa impedito alla C. di riprendere ad occuparsi della sua persona e della sua casa alla fine del mese di agosto 2011.

Si duole, inoltre, che la Corte non abbia nuovamente valutato le istanze istruttorie da essa formulate già in primo grado (prove per testi, istanza ex art. 210 c.p.c. e richiesta di ammissione di c.t.u.).

3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto:

la dedotta incongruenza fra il contenuto della lettera del 2012 e quello dell’atto di citazione è priva di decisività, a fronte di una sentenza che ha valorizzato il diverso profilo dell’inadempimento relativo agli obblighi di mantenimento (per utenze) e di pagamento delle spese notarili e che, a fronte di tale inadempimento, ha ritenuto giustificato (ex art. 1206 c.c.) il rifiuto della L. di ricevere ulteriormente le prestazioni della controparte;

la mancata ammissione di istanze istruttorie non è utilmente censurabile sotto il profilo dell’omesso esame di fati decisivi, ex art. 360 c.p.c., n. 5 (come letto da Cass., S.U. n. 8053/2014) ove – come nel caso – non emerga univocamente che il rigetto delle istanze istruttorie abbia comportato l’omessa considerazione di fatti determinanti ai fini della decisione.

5. Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza.

7. Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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