Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17908 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, (ud. 04/06/2020, dep. 27/08/2020), n.17908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6258-2019 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato VINCENZO ALAIMO;

– ricorrente –

contro

CA.FI., elettivamente domiciliato in ROMA VIA AURELIA 45

presso lo studio dell’avvocato MARIA LUFRANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONINO PANTINA;

– controricorrente –

contro

T.F.P., D.G.A., S.M.A.,

S.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1523/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 17/7/2018, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento delle domande proposte da Ca.Fi., con l’intervento di T.F.P., D.G.A., S.M.A. e S.G., e da St.Sa.Ma. e D.V.G.M., ha dichiarato l’inopponibilità agli attori, ai sensi dell’art. 2901 c.c., degli atti con i quali C.S. (debitore degli attori e degli interventori) aveva ceduto taluni beni immobili propri in favore di C.S.R. e C.G.E.;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva rinvenuto la sussistenza di tutti i presupposti, oggettivi e soggettivi, ai fini dell’accoglimento della domanda revocatoria originariamente spiegata dagli attori;

avverso la sentenza d’appello, C.G. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico articolato motivo d’impugnazione; Ca.Fi. resiste con controricorso;

nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il motivo d’impugnazione proposto, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale: 1) erroneamente ritenuto sussistente il rapporto creditorio tra C.S. e le parti appellate (attesa la non configurabilità, del credito litigioso o non accertato, quale idoneo fondamento ai fini della proposizione dell’actio pauliana); 2) erroneamente riscontrato il requisito dell’eventus damni in relazione al compimento degli atti impugnati, non essendo stato dimostrato il rapporto di causa ed effetto tra detti atti di disposizione e il presunto nocumento arrecato alle pretese creditorie avversarie; 3) erroneamente ritenuto sussistente il requisito soggettivo del consilium fraudis delle parti disponenti (avuto riguardo alle contrari risultanze degli atti di causa); 4) illegittimamente omesso di esaminare il fatto decisivo, già oggetto di discussione tra le parti (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), consistente nell’identificazione del reale valore dei fondi trasferiti;

le censure complessivamente indicate (congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte) sono inammissibili;

con particolare riguardo alle prime due censure articolate dal ricorrente (in relazione alla dedotta pretesa insussistenza del requisito del credito degli originari attori e del presupposto dell’eventus damni ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria spiegata), varrà preliminarmente evidenziare come, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;

in particolare, in tema di giudizio di legittimità, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 1, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione che non ne contenga valide critiche (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4366 del 22/02/2018, Rv. 648036 – 02);

nel caso di specie, il giudice a quo ha rilevato la sufficienza, ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, della titolarità, da parte dell’attore, di un credito anche incerto o litigioso (ossia sottoposto a contestazione giudiziale), nonchè (ai fini del riscontro del nocumento provocato, a carico dei creditori, dal compimento degli atti dispositivi impugnati) dell’obiettiva trasformazione qualitativa del patrimonio del debitore attraverso la cessione di propri cespiti immobiliari;

in tal guisa, i giudici di merito risultano essersi uniformati al consolidato orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte (e ribadito ancora di recente), ai sensi del quale l’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, sicchè anche il credito eventuale, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 5619 del 22/03/2016, Rv. 639291 – 01 e successive conformi);

allo stesso modo, i giudici di merito risultano esserci uniformati al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il presupposto dell’eventus damni ricorre, non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (cfr., da ultimo, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019 Rv. 654318 – 01) rispetto a tali consolidati indirizzi della giurisprudenza di legittimità (che il Collegio condivide e fa proprio nella loro interezza, al fine di assicurarne ulteriore continuità), l’odierno ricorrente si è sostanzialmente limitato ad esprimere il proprio dissenso, attraverso l’articolazione di deduzioni e argomentazioni da ritenersi non decisive o pertinenti;

con riferimento alle restanti censure, osserva il Collegio come, attraverso la relativa proposizione (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), il ricorrente si sia sostanzialmente spinto a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente lo stesso nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

osserva, infatti, il Collegio, come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza, con la conseguente oggettiva inidoneità delle censure in esame a dedurre la violazione dell’art. 2729 c.c. nei termini analiticamente indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 (v. in motivazione sub par. 4. e segg.);

nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti;

si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

a tale ultimo fine, infatti, è appena il caso di sottolineare come il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 possa ritenersi denunciabile per cassazione unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

pertanto, dovendo ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianze del ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5, cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

al riscontro dell’inammissibilità delle censure esaminate segue la relativa dichiarazione in relazione al ricorso, con la condanna del ricorrente al rimborso, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 4 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

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