Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17908 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. III, 04/07/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 04/07/2019), n.17908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Domenico – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28846-2017 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO STORACE, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PIERTACITO RUGGERINI;

– ricorrente –

contro

D.M., G.L., B.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 634/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 03/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

Fatto

FATTI DI CAUSA

Affidandosi a sei motivi, C.L. ricorre per la cassazione della sentenza n. 634/2017 della Corte d’Appello di Brescia, depositata il 3/05/2017.

Nessuna attività difensiva è svolta da D.M. e da G.L..

C.L. e B.L. evocavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Cremona, D.M. e G.L., per ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto con cui il primo, nell’ambito della separazione consensuale, aveva ceduto alla seconda il 50% della quota di proprietà dell’immobile sito in (OMISSIS), adibito a residenza familiare, privandosi, in tal modo, della parte principale del suo patrimonio in pregiudizio delle loro ragioni creditorie, derivanti dall’esecuzione di lavori agricoli effettuati a favore di D.M. tra il 2007 e il settembre 2008.

Il Tribunale adito, con la sentenza n. 61/2014, accoglieva la richiesta attorea, ravvisando la natura gratuita dell’atto di disposizione, in ragione del fatto che con l’atto di separazione D.M. si era già obbligato a versare alla moglie Euro 300,00 mensili per mantenimento del figlio minore e l’ulteriore somma una tantum di Euro 53.000,00.

La sentenza, impugnata da D.M. e da G.L., veniva modificata dalla Corte d’Appello di Brescia, la quale, con il provvedimento oggetto dell’odierna impugnazione, riconosceva all’atto dispositivo natura onerosa, essendo esso inserito nell’ambito di una più ampia sistemazione solutorio-compensativa dei rapporti patrimoniali maturati tra i coniugi durante i quattordici anni di matrimonio; escludeva che vi fossero prove, anche di natura presuntiva, da cui desumere che G.L. fosse a conoscenza delle condizioni patrimoniali del marito, considerato che: a) gli appellati vantavano ragioni creditorie derivanti dallo svolgimento dell’attività imprenditoriale (Ndr: testo originale non comprensibile) dal marito; b) le richieste di pagamento e le notifiche dei decreti ingiuntivi erano state fatte a mani del marito; c) i crediti erano di poco anteriori alla separazione personale; d) le difficoltà economiche del marito erano iniziate nella stagione 2008, quando aveva smessa senza ragione, di coltivare i campi già seminati e quando i rapporti personali tra i coniugi erano già da ritenersi deteriorati; e) l’esposizione debitoria di D.M. non era particolarmente elevata e che egli avrebbe potuto farvi fronte con gli ordinari ricavi aziendali.

La Corte d’Appello escludeva altresì che vi fosse prova della simulazione della separazione personale, perchè ad essa aveva fatto seguito la sentenza di divorzio, perchè il fatto che D.M., per qualche tempo dopo la separazione avesse continuato ad abitare nella casa già adibita a residenza familiare, poteva dipendere dall’esigenza di tempo per procurarsi un altro alloggio e perchè nello stesso stabile abitava la madre con cui D.M. aveva abitato per qualche tempo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2425,2729 e 156 c.c. nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrenza di un errore sul fatto.

La tesi è che la Corte territoriale abbia erroneamente presunto che i redditi dei due ex coniugi non fossero equivalenti basandosi su circostanze prive dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza. In particolare, il ricorrente imputa al giudice a quo i seguenti errori: a) aver desunto dalla non indifferente capacità produttiva del terreno, a sua volta dedotta dal costo dell’affitto pari ad Euro 40.000,00 annuali, che il reddito di D.M. fosse maggiore di quello dichiarato; b) non aver tenuto conto che l’utile, quindi il reddito, doveva essere determinato, ai sensi dell’art. 2425 c.c., in base alla valutazione di tutte le voci di bilancio, cioè sottraendo al valore della produzione i costi di produzione, sommando e sottraendo i proventi e gli oneri finanziari nonchè le rettifiche di valore di attività e le passività finanziarie; c) non avere rilevato che le ingenti spese per lo svolgimento dell’attività di imprenditore agricolo emerse nel corso di causa – spese di affitto, spese per l’affidamento dei lavori agricoli a contoterzisti – piuttosto che indici di un reddito erano da considerarsi prova della ricorrenza di debiti non controbilanciati dalla prova dello svolgimento di un’attività di allevamento e di colture pregiate, atteso che il fondo era destinato alla coltivazione estensiva di cereali notoriamente poco redditizia.

In aggiunta, la Corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 156 c.c., avendo impiegato criteri incongrui per valutare lo squilibrio reddituale tra i due coniugi, prendendo in considerazione, da un lato, il reddito effettivo, dall’altro, quello della produttività potenziale, senza un’attendibile ricostruzione della complessa situazione patrimoniale e reddituale degli ex coniugi e senza tener conto del fatto che D.M. aveva affermato nel ricorso per la separazione che i contanti da dividere erano tutti della ex moglie.

2. Con il secondo motivo il ricorrente assume la violazione dell’art. 156 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La critica riguarda quella parte della sentenza gravata che ha dato rilievo al fatto che per la prima volta nel 2010 il reddito di D.L. fosse risultato superiore a quello della moglie, in quanto proveniente da una partecipazione societaria, senza porsi il problema di valutare se il reddito del marito fosse superiore a quello della moglie al momento dell’atto di separazione e senza motivare le ragioni di divergenza rispetto alla decisione di prime cure, limitandosi a far riferimento alla particolarità del regime impositivo dell’agricoltore, senza tener conto che il precedente tenore di vita doveva essere garantito ad entrambi i coniugi.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e n. 3, la violazione degli artt. 159,161,177,178 e 179 c.c., per avere la Corte territoriale tratto prova delle sue effettive capacità reddituali dall’acquisizione di risparmi per Euro 55.000,00.

Dal ricorso di separazione e dal verbale di comparizione dinanzi al Tribunale di Cremona era emerso che i coniugi avevano provveduto a suddividere e a trasferire il denaro, frutto dei loro risparmi, nonchè i titoli e le obbligazioni acquistati durante il matrimonio; non solo: i coniugi erano in regime di comunione legale dei beni, perciò detti risparmi, in assenza di prova contraria, dovevano ritenersi di proprietà comune.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’errore attribuito al giudice a quo consiste nell’aver dato rilievo al fatto che l’atto di attribuzione, resosi necessario per evitare ipotetici contenziosi in ragione del diritto di G.L. alla corresponsione di un assegno di mantenimento, fosse stato trasfuso nella sentenza di scioglimento di divorzio, omettendo di considerare che, secondo la giurisprudenza di legittimità – Cass. 10/05/2017, n. 11504 – l’assegno di divorzio ha una funzione molto diversa dall’assegno di mantenimento, essendo destinato non a garantire lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio, bensì a sostenere economicamente l’ex coniuge che non abbia mezzi adeguati o la possibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Nel caso di specie il giudice a quo avrebbe dovuto tener conto che G.L. si vedeva attribuito un immobile del valore di Euro 300.000,00 a tacitazione di ogni sua pretesa relativamente al periodo dalla separazione al divorzio, senza avere alcun riguardo per la ricorrenza dei presupposti per l’attribuzione dell’assegno divorzile.

5. Con il quinto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 433 c.c., non avendo la sentenza gravata tenuto conto che, rappresentando l’atto dispositivo una cessione pro soluto in rapporto ad un credito futuro ed incerto, l’attribuzione patrimoniale in luogo dell’assegno di mantenimento doveva considerarsi valida, ma non per l’intero importo, essendo indisponibile la rinunzia agli alimenti. Nella sostanza, la sentenza gravata avrebbe erroneamente ritenuto che D.M. avesse disposto a favore della moglie, in sede di separazione personale, allo scopo di regolare una volta e per tutte le questioni patrimoniali, atteso che la facoltà di chiedere la revisione dell’assegno di mantenimento, qualora sopravvengano giustificati motivi, è direttamente accordata dalla legge e non può essere oggetto di rinuncia in via preventiva.

6. Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2901 c.c. derivante dall’assenza di causa dell’attribuzione patrimoniale a favore di G.L. che sarebbe emersa ove il giudice a quo avesse valutato lo squilibrio dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in rapporto all’ipotetico accoglimento della domanda.

7. I motivi possono essere oggetto di un esame unitario, essendo rivolti tutti a dimostrare che non vi fosse alcuna causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale a favore di G.L. in sede di separazione personale.

In via preliminare, vanno fatte le seguenti premesse, indispensabili per individuare la cornice dei principi di riferimento applicabili:

– la giurisprudenza di legittimità, da tempo, riconosce che le attribuzioni patrimoniali dall’uno all’altro coniuge concernenti beni mobili o immobili, in quanto attuate nello spirito degli accordi di sistemazione dei rapporti fra i coniugi in occasione dell’evento di separazione consensuale, sfuggono sia alle connotazioni classiche dell’atto di “donazione” vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sè, ad un contesto – quello della separazione personale caratterizzato dalla dissoluzione della ragioni della convivenza materiale e morale), e dall’altro, a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l’assenza di un prezzo corrisposto);

– tali attribuzioni, sempre secondo l’oramai consolidato indirizzo di legittimità, svelano una loro “tipicità”, la quale, di volta in volta, può colorarsi dei tratti della obiettiva “onerosità”, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all’art. 2901 c.c., in funzione della eventuale ricorrenza, nel concreto, dei connotati di una sistemazione “solutorio – compensativa” più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati (o eventualmente, solo riflessi) patrimoniali, i quali, essendo maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale, per lo più non si rendono perciò sempre – guardati con sguardo retrospettivo immediatamente riconoscibili come tali” (così, testualmente, già Cass. 23/03/2004 n. 5741);

– l’onerosità dell’attribuzione patrimoniale non può farsi discendere tout court dall’astratta sussistenza di un obbligo legale di mantenimento, ma può emergere dall’esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo apportato da un coniuge al mènage familiare e non adeguatamente rappresentato dalla situazione patrimoniale formalmente in essere fino al momento della separazione. E tale accertamento, solo se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. 10/04/2013, n. 8678).

Se ne trae la conseguenza che la qualificazione dell’atto dispositivo per cui è causa come atto a titolo oneroso dipende dalla possibilità di ricondurlo, in concreto, ad una causa che, trovando titolo nei pregressi rapporti anche di natura economica delle parti e nella necessità di darvi sistemazione nel momento della dissoluzione del vincolo, giustifichi lo spostamento patrimoniale fra i coniugi.

Ebbene, la Corte territoriale ha individuato le ragioni che l’hanno indotta a concludere per la gratuità dell’atto nella sostanziale disparità dei redditi dei due coniugi – rivelata dal fatto che il reddito della moglie era quello effettivamente percepito quale lavoratrice part time, quello del marito era, invece, un reddito figurativo svincolato dall’effettiva entità del reddito percepito, risultato maggiore di quello della moglie solo nel 2010, per effetto di una sua partecipazione azionaria; la volontà del marito di garantire alla moglie, anche in ragione dell’affidamento del figlio minore, una definitiva stabilità abitativa, attribuendole il diritto di proprietà sulla casa familiare – e nella esigenza di evitare futuri conflitti, regolando in via definitiva le questioni patrimoniali.

I fatti allegati dall’odierno ricorrente, contrastanti con quelli posti dalla sentenza gravata a fondamento del rigetto della domanda di inefficacia, sono orientati a contestare l’esito del ragionamento presuntivo, per avere il giudice a quo sussunto erroneamente i caratteri della gravità, della precisione e della concordanza da fatti concreti non rispondenti a quei caratteri.

Le censure meritano accoglimento: la Corte per desumere la capacità reddituale di D.M. ha fatto riferimento alla non indifferente capacità produttiva del fondo coltivato, a sua volta desunta dal fatto che per il relativo canone di affitto annuale D.M. pagasse la consistente somma di Euro 40.000,00.

L’errore non risiede tanto nell’aver desunto una presunzione da un’altra presunzione – giacchè ciò che conta non è che il fatto noto assunto a premessa di un’inferenza derivi a sua volta da una inferenza, ma che la concatenazione di inferenze presuntive non sia debole, cioè inattendibile e infondata e si basi, invece, su una serie lineare di inferenze, ciascuna delle quali, nella sua conclusione sia la premessa di una inferenza successiva (Cass. 5/10/2018, n. 24555) – quanto nel non aver tenuto conto dei criteri di determinazione del reddito agrario, costituito Testo Unico 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 32 “dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso”.

Il ragionamento della Corte territoriale risulta, per di più, inficiato da una evidente contraddizione, perchè, per un verso, fa leva sul particolare regime impositivo per gli agricoltori, per l’altro, utilizza proprio una delle voci che, secondo la legge, determinano il reddito agrario allo scopo di presumere che le entrate del marito fossero maggiori di quelle della moglie ed omette di valutarne altre, altrettanto decisive in ordine alla determinazione del reddito agrario: l’elevato canone di affitto e il ricorso per la coltivazione del fondo all’attività di terzi.

Un’altra censura che merita accoglimento è quella che attiene alla violazione dell’art. 156 c.c., comma 2.

Posto che l’assegno di mantenimento in sostituzione del quale era stata attribuito a G.L., in aggiunta alla sua quota, il 50% della proprietà dell’immobile adibito a residenza familiare doveva intendersi finalizzato a garantirle la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto durante la convivenza matrimoniale, esso andava riconosciuto solo ove fosse emerso che G.L. non era in grado, con i propri redditi, di mantenere tale condizione e che versava effettivamente in una situazione di disparità economica rispetto al marito.

Dal percorso motivazionale ed argomentativo della sentenza gravata non emerge affatto la ricorrenza delle condizioni per assegnare a G.L. un quid a titolo di mantenimento, se si esclude la menzionata presunta ricorrenza di una disparità reddituale tra i due coniugi. La Corte d’Appello, pur dimostrando di avere consapevolezza della specificità della natura dell’attribuzione patrimoniale effettuata in sede di separazione personale, non ha offerto una giustificazione compiuta, ai fini della sottrazione, della fattispecie, all’area della disciplina che l’art. 2901 c.c. riserva agii atti a titolo oneroso e non ha congruamente motivato sulle ragioni per cui ha ritenuto di dover modificare la decisione di prime cure che aveva, invece, posto l’accento sulla sproporzione tra il valore dell’attribuzione patrimoniale e quello che G.L. poteva attendersi in ragione della separazione personale; anche in considerazione dell’ulteriore attribuzione una tantum della somma di Euro 53.000,00 per il mantenimento suo e del figlio, per il quale era disposto altresì l’obbligo di D.M. di corrispondere un assegno mensile di Euro 300,00.

La giurisprudenza è ferma nel ritenere che,al fine di individuare l’esigenza di uno dei coniugi di vedersi assegnato un quid per il mantenimento, deve tenersi conto della situazione economico patrimoniale di entrambi i coniugi, deducendola “non solo” dalla valutazione dei redditi, ma da ogni altra circostanza rappresentata da elementi di ordine economico, o suscettibili di apprezzamento economico, idonei ad incidere sulle condizioni delle parti.

Orbene, non solo la Corte territoriale non risulta aver valutato se G.L. avesse titolo per vedersi attribuito il mantenimento – il giudice a quo si è limitato a presumere che il reddito del marito fosse maggiore di quello dichiarato, ma non ha tenuto conto che la moglie aveva già percepito la metà dei risparmi comuni, dei titoli azionari e delle obbligazionari acquistati da entrambi i coniugi durante il matrimonio e che risultava già comproprietaria al 50% della casa adibita a residenza familiare – ma non ha neppure tenuto conto di quale sarebbe stata la situazione patrimoniale del marito all’esito dell’atto di separazione.

D.M. si era privato della propria quota di comproprietà della casa adibita a residenza familiare, assegnandola alla moglie a titolo di mantenimento una tantum; si era impegnato a corrisponderle un assegno mensile per il mantenimento del figlio minore; aveva trasferivo titoli obbligazionari ed azionari per Euro 53.022,22 alla moglie per il suo mantenimento e per quello del figlio minore; aveva trasferito a G.L. Euro 2.750,00 in contanti, in quanto denaro personale di quest’ultima.

In pratica D.M., come riconosce la stessa Corte territoriale, si era spogliato di tutte le sue sostanze trasferendole alla moglie (p. 12 della sentenza), rendendosi di fatto impossidente.

Sempre la Corte d’Appello ammette che l’atto di separazione appariva anomalo, nell’ambito delle separazioni personali spesso caratterizzate da aspra rivalità tra coniugi (p. 14 della sentenza), e che l’intento di D.M. era volutamente diretto a danneggiare i creditori, anche in considerazione del fatto che le somme che aveva risparmiato e che poi aveva attribuito alla moglie erano largamente sufficienti a pagare integralmente i suoi debiti (p. 12 della sentenza). Nonostante l’evidenza con cui D.M., rispondendo ad un impulso squisitamente arbitrario aveva deciso della sorte giuridico-economica delle proprie sostanze, sì da incidere negativamente nella propria sfera patrimoniale, la Corte territoriale non ne trae, come, invece, avrebbe dovuto, elementi atti a confermare la peculiare natura “gratuita” dell’atto di disposizione assunto con l’atto di separazione. Anzi, attribuisce rilievo a giustificazioni dell’atto dispositivo che contrastano con la giurisprudenza di legittimità, data l’immanenza del principio del rebus sic stantibus che permea i procedimenti in materia di famiglia (Cass. 06/03/2019, n. 6537): ritiene che la loro giovane età al momento della separazione (41 e 37 anni) poteva oggettivamente avere indotto i coniugi ad evitare successivi motivi di conflitto e di contrasto regolando una volta per tutte le questioni patrimoniali che avrebbero potuto avere ripercussioni personali piuttosto significative soprattutto nel caso in cui l’uno od entrambi avessero intrapreso una nuova relazione sentimentale coniugi.

Tanto basta per ritenere il ricorso meritevole di accoglimento, anche a prescindere dalla circostanza dedotta con il motivo numero quattro che, essendo intervenuto tra le parti il divorzio, le pattuizioni assunte in sede di separazione personale fossero state trasfuse nella sentenza di divorzio e dalla contestazione che non è più sostenibile, nel solco della giurisprudenza di legittimità più recente, la necessità di comparare i mezzi patrimoniali di un coniuge con quelli dell’altro al fine di verificare l’an debeatur dell’assegno divorzile.

La sentenza impugnata va cassata e la controversia rinviata alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione che provvederà anche a liquidare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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