Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17907 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. III, 04/07/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 04/07/2019), n.17907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27665/2017 proposto da:

AMMINISTRAZIONE SEPARATA DEI BENI DI USO CIVICO DI COLEVANO, in

persona del Presidente e Legale rappresentante pro tempore

A.E., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARKUS

VORHAUSER;

– ricorrenti –

contro

LASA MARMO SRL, in persona del legale rappresentante p.t. G.P.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo

studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati MICHAEL WALZL, CHRISTOPH BAUR;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI SILANDRO, INTERESSENZA ALPE DI COVELANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 102/2017 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI

BOLZANO, depositata il 29/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/04/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Amministrazione Separata dei Beni di Uso civico di Colevano ricorre per la cassazione della sentenza della Corte D’Appello di Trento – sez. distaccata di Bolzano, n. 102/2017, pubblicata il 29/07/2017, affidandosi ad un motivo, illustrato con memoria.

Resiste con controricorso Lasa Marmo SRL.

La società Lasa Marmo conveniva in giudizio l’Amministrazione Separata dei Beni di Uso civico di Colevano, il Comune di Silandro e l’Interessenza Alpe di Colevano perchè venissero condanni in solido al pagamento del giusto prezzo di acquisto dell’azienda marmifera.

Deduceva, a tal fine, che:

– il Comune di Silandro, la società Interessenza Alpe di Colevano e l’Ente Nazionale per le Tre Venezie, proprietario all’epoca della società Lasa Marmo, avevano stipulato nel 1956 un contratto di concessione di sfruttamento di agri marmiferi siti presso la cava di Colevano che sarebbe scaduto il 31.12.2000;

– la cava oggetto della concessione all’epoca non costituiva un’azienda marmifera, poichè tutte le attività estrattive erano cessate;

– l’Ente per le Tre Venezie, concessionario, che già operava nella zona della cava (OMISSIS), realizzava ingenti investimenti al fine di avviare a Colevano un’attività estrattiva, costruendo la c.d. strada del marmo tra la cava di (OMISSIS) e la cava dell'(OMISSIS), una rete elettrica retta da pali, un fabbricato macchine, un albergo che potesse ospitare i lavoratori, un sistema idraulico, gallerie per la coltivazione, la ricerca e l’estrazione dei filoni di marmo in galleria piuttosto che a cielo aperto;

– nel 1992, con decreto provinciale, la proprietà degli agri marmiferi fu trasferita all’Amministrazione separata dei beni di uso civico di Colevano;

– quest’ultima, nel 1999, aveva disdetto il contratto di concessione; )9

– il Comune di Silandro, avvalendosi della clausola di cui all’art. 15 del contratto di concessione, decideva di acquistare l’azienda marmifera Cava di Marmo di Colevano al giusto prezzo del momento;

– le parti non si erano accordate sulla determinazione del corrispettivo;

– nel 2003 il Comune di Silandro deliberava una nuova concessione per lo sfruttamento degli agri marmiferi, indicendo una gara d’appalto;

– all’esito della gara il nuovo contratto di concessione veniva stipulato con la società Tiroler Marmorwerke srl;

– i concedenti davano atto delle strutture aziendali consegnate al nuovo concessionario;

– ai fini della determinazione del giusto corrispettivo per l’acquisto della cava il Comune avrebbe dovuto tener conto dei lavori effettuati dal precedente concessionario per la creazione ex novo di un’azienda per lo svolgimento dell’attività estrattiva – strada di accesso, sistema idraulico, impianto elettrico, migliorie e provvedimenti eseguiti nella coltivazione della cava -;

– ai sensi dell’art. 15 del contratto di concessione, il Comune era tenuto a versare anche un indennizzo a titolo di rimborso degli immobili realizzati – fabbricato macchine e albergo – giacchè l’obbligo di versare tale corrispettivo era subordinato risolutivamente al fatto che, entro un anno dalla scadenza della concessione, i concedenti non riuscissero ad affittare la cava e l’azienda a terzi;

– il termine di un anno era stato rispettato perchè il termine andava conteggiato non con riferimento alla data di stipulazione della nuova concessione, ma con riferimento al momento in cui era stato avviato il procedimento per la ricerca del nuovo concessionario;

– il CTU, nel procedimento per accertamento tecnico preventivo, aveva stimato in Euro 768.781,50 il valore dell’azienda acquistata dai concedenti;

– a tale somma doveva aggiungersi quella di Euro 15.814,42 quale corrispettivo per i blocchi di marmo ritrovati e l’indennizzo per il rimborso degli immobili.

L’Amministrazione Separata dei Beni di Uso civico di Colevano lamentava di non avere acquistato un’azienda marmifera funzionante, ma singoli beni non rimovibili in quanto fissi, asseriva che l’attrice non aveva avviato un’azienda marmifera, essendosi limitata ad utilizzare quella già nella sua disponibilità impiegata per estrarre marmo dalla vicina cava dell'(OMISSIS); precisava che le costruzioni immobiliari dovevano considerarsi passate gratuitamente nella proprietà nei nuovi concessionari, essendo stato l’affitto stipulato dopo il periodo di un anno dalla scadenza del primo contratto anche per il comportamento ostruzionistico dell’attrice; negava che l’indennizzo di cui all’art. 15, dovesse liquidarsi con riguardo ai valori di mercato.

Il Tribunale adito, applicando analogicamente la disciplina dell’affitto di azienda, condannava i convenuti al pagamento di Euro 191.738,00, per la differenza delle consistenze di inventario dall’inizio della concessione fino al termine della stessa, nonchè al pagamento di Euro 15.814, 42 per il valore dei blocchi di marmo già estratti; compensava le spese di lite e di CTU.

La Corte d’Appello, investita del gravame da Lasa Marmo SRL, in via principale, e dall’Amministrazione Separata dei Beni di Uso civico di Colevano, in via incidentale, riformava parzialmente la decisione di prime cure, ritenendo che la fattispecie dovesse essere regolata non con l’applicazione analogica della disciplina dell’affitto di azienda, giacchè i beni retrolasciati da Lasa Marmo, in assenza di un’adeguata organizzazione non erano configurabili come azienda, bensì come beni produttivi, cui applicare, in virtù della espressa dizione letterale dell’art. 1615 c.c., la disciplina della locazione. Tale disciplina, quanto ai miglioramenti ed alle addizioni era stata derogata dai contraenti, con la previsione inserita nell’art. 15 del contratto di concessione, con cui le parti, modificando la disciplina legale, avevano pattuito che al termine del contratto di concessione fosse dovuto il valore del momento degli immobili costruiti, semprechè gli stessi fossero utili all’esercizio della nuova concessione. Il valore di tali beni, espressamente riconosciuti come utili dalla nuova concessionaria, avrebbe dovuto essere riconosciuto, in applicazione della disciplina delle migliorie, sulla scorta delle stime operate dal CTU, in complessivi Euro 335.704,35. La Corte territoriale escludeva che la domanda attrice comprendesse anche il corrispettivo per i blocchi di marmo già estratti, non trattandosi di beni aziendali, nè di migliorie alla cava. Poneva, diversamente dal giudice di prime cure, le spese di CTU a carico degli appellati, così come le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo parte ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rappresentato dal fatto che la conclusione del contratto con il nuovo concessionario era stato stipulato nel settembre 2003, ben più di un anno dopo la scadenza della prima concessione risalente al 31.12.2000.

Il motivo è inammissibile per più ragioni:

a) non ha colto la ratio decidendi della sentenza impugnata;

b) non è stato riferito un fatto omesso, inteso come accadimento in senso storico-naturalistico.

Sotto il primo profilb(lett. a), vanno correttamente riassunte le posizioni delle parti.

La società Lasa Marmo aveva chiesto la condanna dei convenuti al pagamento del corrispettivo per l’acquisto dell’azienda marmifera ed in aggiunta la corresponsione dell’indennizzo per il rimborso degli immobili costruiti dalla concessionaria – fabbricato macchine e albergo – da corrispondersi alle condizioni stabilite dall’art. 15 del contratto di concessione.

Costituendosi in giudizio l’Amministrazione Separata dei Beni di Uso civico di Colevano deduceva che la società Lasa Marmo aveva lasciato beni che non poteva portare con sè, in particolare la cava con i giacimenti marmiferi, una strada di accesso, un impianto elettrico, un impianto idraulico, un fabbricato per la custodia macchine, l’albergo (OMISSIS) e le migliore apportate, per questo lamentava l’impossibilità di acquistare l’intera azienda marmifera, ma solo un complesso di beni relitti. Essa stessa deduce che avvalendosi dell’art. 15 aveva inteso acquistare l’intera azienda, ma che non essendovi un’azienda il contratto era da considerarsi impossibile per l’inesistenza dell’oggetto. Asseriva che le costruzioni immobiliari dovevano considerarsi passate gratuitamente nella proprietà dei concedenti, essendo l’affitto a terzi intercorso quasi tre anni dopo la scadenza del contratto di concessione e che il quantum dell’obbligazione indennitaria di cui all’art. 15 non avrebbe dovuto quantificarsi ricorrendo ai valori di mercato.

Ciò stando, la Corte d’Appello escludeva che i beni retrolasciati da Lasa Marmo fossero organizzati in azienda, negava che tra le parti fosse intercorso un contratto di alienazione immobiliare, non trovando ingresso nel nostro ordinamento la proprietà temporanea, riqualificava il contratto, stipulato in conformità a quanto stabilito dall’art. 15, comma 1 e comma 2, del contratto di concessione, come affitto di (singoli) beni produttivi ai sensi dell’art. 1615 c.c., il valore dei quali al momento in cui era cessato il contratto di concessione doveva essere riconosciuto alla società Lasa. Per la individuazione di questi beni riteneva di poter fare riferimento all’elenco dei beni riconosciuti come utili dalla nuova concessionaria. Per la determinazione del relativo valore riteneva che le parti si fossero avvalse della facoltà di derogare gli artt. 1576,1592 e 1593 c.c., pattuendo che, al termine del contratto, a Lasa Marmo fosse dovuto il valore degli immobili costruiti, semprechè gli stessi fossero risultati utili all’esercizio della nuova concessione. Rifacendosi alle stime del CTU riconosceva a Lasa Marmo Euro 73.500,00 per la strada di accesso al terreno oggetto della concessione, Euro 137.076,05 per le migliorie eseguite nelle gallerie (OMISSIS). Aggiungeva le somme ritenute congrue dagli appellati: Euro 11.019,50 per il sistema idraulico, Euro 53.683,50 per l’impianto elettrico ed Euro 60.425,30 per il fabbricato macchine.

Le censure dei ricorrenti non colgono nè aggrediscono la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale non ha accolto la domanda di indennizzo, ai sensi dell’art. 15, comma 4, del contratto di concessione, formulata dalla società Lasa Marmo nè quella avente ad oggetto il corrispettivo per i blocchi di marmo estratti ed abbandonati nel piazzale della cava.

E’ evidente che il giudice a quo si è avvalso del suo potere di riqualificare la domanda, dando al rapporto dedotto in giudizio un nomen iuris difforme rispetto alla prospettazione formulata dalle parti, lasciando, tuttavia, inalterati il petitum e la causa petendi azionati. Proprio accertando e valutando il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile dal tenore letterale degli atti e dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante nonchè dal tenore letterale del contratto, in particolare dall’art. 15, e dalle precisazioni formulate nel corso del giudizio, ha riconosciuto a Lasa Marmo il diritto ad ottenere il valore dei beni risultati produttivi – tali anche perchè riconosciuti utili dalle parti stipulanti la nuova concessione – quale risultante al momento della scadenza del primo contratto di concessione.

Per quanto riguarda il profilo sub lett. b), il fatto rilevante a fini cassatori deve intendersi quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate.

A tale ultimo proposito è da evidenziare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, prevede “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” non più “circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio” bensì circa un “fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Come questa Corte ha più volte avuto occasione di precisare – di recente, cfr. Cass. 03/10/2018, n. 24035 – si tratta di una “innovazione di non poco momento, posto che il termine “punto” è un termine atecnico col quale è possibile individuare qualunque fatto, elemento, questione, situazione o circostanza in ordine alla quale la motivazione possa essere viziata, mentre il concetto di fatto è più specifico, sia dal punto di vista naturalistico che da quello giuridico”.

Ora, la assunta carenza motivazionale della sentenza impugnata è dedotta con riferimento alla non debenza dell’indennizzo per non essere stato il nuovo contratto di affitto stipulato entro un anno dalla cessazione del primo contratto di concessione, bensì quasi tre anni dopo. Si chiede, dunque, a questa Corte di verificare il mancato avveramento della condizione cui era subordinato l’obbligo di versare l’indennizzo per le strutture immobiliari realizzate dal precedente concessionario che aveva rappresentato – per giunta solo con riferimento al fabbricato macchine e all’Albergo (OMISSIS), quest’ultimo neppure preso in considerazione dalla Corte d’Appello – non un fatto controverso, bensì un punto controverso, come riconoscono espressamente i ricorrenti, i quali riferiscono a p. 19 che la clausola era stata fatta oggetto di una diversa interpretazione da parte di Lasa, secondo cui il decorso di un anno andava “computato dal momento in cui i Concedenti avevano effettivamente iniziato a cercare un nuovo Concessionario”.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico della parte ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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