Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17906 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. III, 04/07/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 04/07/2019), n.17906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17574/2016 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso lo

studio dell’avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2909/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/04/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Roma con sentenza n. 2909/2016 in accoglimento dell’impugnazione proposta da Unipol Sai spa – ha integralmente riformato la sentenza n. 19467/2009 del Tribunale di Roma; e, per l’effetto, ha condannato Poste Italiane al pagamento, in favore della compagnia, della somma portata dall’assegno per cui è processo, oltre accessori, nonchè al pagamento delle spese processuali, che ha liquidato in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.

2. Era accaduto che la Milano Assicurazioni S.p.A. (poi Unipol Sai Assicurazioni s.p.a.) aveva convenuto davanti al Tribunale di Roma Poste Italiane s.p.a., deducendo che:

– aveva ordinato (in base ad una convenzione con BANCA SAI, avente ad oggetto il servizio di liquidazione dei sinistri mediante pagamento di assegni bancari non trasferibili) l’emissione dell’assegno n. (OMISSIS) dell’importo di Euro 10.070,91, intestato a tale C.G.;

– detto assegno non era stato pagato all’effettivo beneficiario, in quanto era stato riscosso da soggetto non legittimato presso un ufficio postale (come emerso a seguito della denunzia sporta dall’effettivo beneficiano il quale aveva dichiarato di non avere mai ricevuto l’assegno);

– a seguito di detti fatti, era stata costretta all’emissione di un secondo titolo, di importo corrispondente a quello precedente.

Tanto premesso in fatto, la compagnia assicuratrice attorea aveva dedotto che le Poste Italiane s.p.a.: a) erano responsabili per quanto occorso, in quanto non avevano compiutamente accertato l’identità del soggetto che si era presentato per incassare il titolo (atteso che gli effettivi estremi anagrafici non corrispondevano a quelli declinati) e, quindi, avevano operato senza la diligenza richiesta ad un esperto banchiere; b) non potevano essere esentate da detta responsabilità per il solo fatto di avere acquisito copia del documento di identità e del tesserino fiscale in occasione dell’apertura del libretto di deposito sui cui aveva poi accreditato l’assegno. Pertanto la Compagnia aveva concluso chiedendo la condanna di Poste italiane S.p.A. al rimborso dell’importo portato dall’assegno, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

Si erano costituite Poste Italiane S.p.A., che, eccepita preliminarmente la nullità della citazione e la carenza di legittimazione attiva della Milano s.p.a., nel merito: avevano contestato la domanda, affermando di aver osservato la dovuta diligenza del bonus argentarius nell’identificazione del presentatore del titolo e nella successiva fase di negoziazione, ed avevano depositato a sostegno del proprio assunto copia dei documenti identificativi del C. (che erano stati acquisiti all’atto dell’apertura del libretto di deposito sul quale era stato versato l’importo portato dal titolo, unitamente allo specimen di firma).

Il Tribunale di Roma con sentenza n. 19467/2014 aveva rigettato la domanda della Milano Assicurazioni, condannando quest’ultima al pagamento delle spese di lite.

La Compagnia assicuratrice aveva proposto appello avverso la sentenza di primo grado, censurandone la motivazione nella parte in cui il Tribunale, disattendendo quanto enunziato dalla S.C. nella pronunzia a S.U. n. 14172/2007, aveva ritenuto che Poste avesse fornito la prova liberatoria attraverso l’identificazione del prenditore dell’assegno medesimo a mezzo patente ed acquisizione del codice fiscale.

Si erano costituite le Poste Italiane s.pa., le quali: in via preliminare, avevano eccepito l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e, nel merito, avevano contestato la fondatezza dell’appello, ribadendo di aver tenuto un comportamento diligente (al contrario della compagnia appellante, che si era avvalsa di un mezzo di trasmissione del titolo inadeguato) e contestando che fosse ex adverso stata fornita la prova del danno subito.

E la Corte territoriale con la impugnata sentenza, ritenuta l’ammissibilità dell’appello, ha accolto quest’ultimo nei termini sopra precisati.

3. Avverso la sentenza emessa dalla Corte territoriale Poste Italiane ha proposto ricorso.

Nessuna attività difensiva è stata svolta dalla compagnia intimata.

E questa Corte, ad esito della adunanza svoltasi in data 30 gennaio 2018, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, in quanto il primo motivo di ricorso sottendeva questione di diritto, concernente la corretta interpretazione del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, sulla quale si erano già pronunciate le Sezioni Unite con sentenza ancora non depositata.

Diritto

RITENUTO

che:

1. Il ricorso è affidato a due motivi.

1.1. Con il primo motivo Poste Italiane censurano la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., commi 1 e 2, in relazione al combinato disposto di cui al R.D. n. 1736 del 1933, art. 43 e art. 1922 c.c., comma 2, nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che le Poste, quale banca negoziatrice dell’assegno, non avevano provato di aver osservato la dovuta diligenza. Deducono di aver pagato l’assegno (peraltro successivamente al pagamento dell’assegno da parte della trattaria) a soggetto che aveva depositato sul rapporto il titolo in originale e che risultava titolare del credito in virtù di documento di identificazione che non dava adito a dubbi circa la sua validità. Dunque, secondo le Poste, nessuna ulteriore indagine poteva e doveva essere da essa svolta in occasione dell’identificazione del presentatore oltre a quelle in concreto svolte, tanto più che l’assegno non riportava i dati anagrafici completi del beneficiario (per cui non potevano neppure sorgere dubbi circa l’identità di colui che si presentava come il legittimo possessore del titolo) ed il pagamento non era avvenuto immediatamente (essendo stata depositata la somma in un rapporto). L’assegno (che recava indicazione del solo nome e cognome del beneficiario) era stato pagato (non a soggetto diverso dal beneficiario, ma) al beneficiario apparente, cioè a soggetto che aveva dimostrato con idonea documentazione di indentificarsi con il beneficiario indicato nel titolo.

1.2. Con il secondo motivo le Poste ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 40 e 41 c.p., nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che l’aver inserito l’assegno sbarrato e non trasferibile in una corrispondenza ordinaria non avrebbe avuto rilievo causale rispetto all’evento produttivo del danno.

2. I motivi – che, in quanto connessi, sono qui trattati congiuntamente – sono infondati.

2.1. In punto di fatto, risulta dalla impugnata sentenza che l’assegno per cui è processo (assegno non trasferibile, emesso da BANCA SAI in data 21/3/2015, peraltro erroneamente in favore di persona fisica, C.G., anzichè giuridica, C.G. s.r.l.): è stato portato all’incasso da parte di soggetto, che ha contestualmente aperto un libretto di deposito, esibendo, quale documento di identificazione, la patente di guida ed il tesserino fiscale (entrambi intestati a C.G., nato ad (OMISSIS), indicato, sul fronte dell’assegno, quale beneficiario dello stesso); ed è stato quindi regolato in stanza di compensazione.

L’importo del titolo è stato quindi accreditato sul libretto. E’ poi risultato che le suddette generalità non corrispondevano ad alcun soggetto esistente.

2.2. Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente statuito che, ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43,comma 2 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2 (Sez. U, Sentenza n. 12477 del 21/05/2018, Rv. 648275-01).

Detta statuizione si pone in continuità con altra sentenza, emessa dalle Sezioni Unite ormai più di dieci anni fa, con la quale era stato affermato che: “la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 Legge Assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso.

2.3. Tali principi di diritto sono stati tenuti presenti dalla Corte di Appello di Roma, che – dopo essersi soffermata sulla natura dell’assegno di traenza e dopo aver puntualmente richiamato precedenti di questa Corte – ha correttamente ritenuto che il R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 43, commi 1 e 2 (in base al quale: “l’assegno bancario emesso con la clausola non trasferibile non può essere pagato se non al prenditore o, a richiesta di costui, accreditato nel suo conto corrente; colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento”):

– prevede una disciplina speciale per l’ipotesi del pagamento dell’assegno non trasferibile, in deroga non soltanto alla disciplina generale posta dall’art. 1992 c.c., per il pagamento dei titoli di credito con legittimazione variabile ma anche alle regole del diritto comune delle obbligazioni (e, in particolare, dell’art. 1189 c.c., che prevede la liberazione del debitore che esegua in buona fede il pagamento nelle mani del creditore apparente): la specificità della disciplina consiste nel fatto che, in caso di assegno non trasferibile, la banca che abbia effettuato il pagamento in favore di chi non era legittimato a riceverlo, non è liberata dall’obbligazione finchè non paghi all’ordinatario esattamente individuato, ovvero al banchiere suo giratario per l’incasso, a prescindere dalla sussistenza di una colpa nell’errore d’identificazione del prenditore;

– individua (letta in combinato disposto con l’art. 43, u.c., dove chiaramente si dice “il trattario o il banchiere”), come soggetto responsabile della violazione “colui che paga” e, quindi, quindi non soltanto la banca trattaria ovvero la banca emittente ma anche, in caso di assegno circolare, l’eventuale banchiere giratario per l’incasso (anche se quest’ultimo non esegue un vero e proprio pagamento, limitandosi piuttosto ad anticipare la valuta acquistando la legittimazione all’esercizio del diritto cartolare);

– sottende la natura contrattuale (da contatto sociale) della responsabilità in cui incorre il banchiere giratario per l’incasso, derivando il danno “dalla violazione di una precisa regola di condotta, imposta dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell’attività svolta dal danneggiante” e dunque collegandosi la responsabilità alla violazione di un obbligo di protezione che opera nei confronti di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione del titolo ed al buon fine della sottostante operazione.

Facendo buon governo dei principi richiamati, la Corte di appello ha quindi affermato la responsabilità contrattuale di Poste Italiane, in quanto nel caso di specie era indubbio che l’assegno bancario non trasferibile era stato pagato nelle mani di persona diversa, persino dall’apparente beneficiano, senza richiedere alcun ulteriore documento (come pure prescritto nelle circolari dell’Abi in mancanza di pregressa conoscenza) e senza nemmeno verificare la corrispondenza ed esattezza del codice fiscale. Ed il relativo importo era stato successivamente addebitato alla compagnia assicuratrice, alla quale non era stato successivamente riaccreditato. Donde, la responsabilità della banca negoziatrice dell’assegno, alla quale era imputabile, come anche alla banca trattaria (estranea al giudizio), di non aver tenuto quella condotta che, ove eseguita con la particolare diligenza imposta dalla legge, si sarebbe conclusa con l’incasso dell’assegno da parte del legittimo destinatario.

A fronte del rilievo che precede la Corte di merito ha ritenuto irrilevante l’eventuale negligenza della compagnia assicuratrice nella scelta delle modalità di spedizione del titolo, in quanto l’evento produttivo del danno era conseguenza (non dell’avvenuto inserimento dell’assegno sbarrato e non trasferibile in una corrispondenza ordinaria, ma) del comportamento posto in essere dagli istituti di credito coinvolti: detto comportamento aveva interrotto il nesso causale tra la precedente condotta di inserimento del titolo nella corrispondenza ordinaria ed il pagamento dello stesso a soggetto estraneo al rapporto cartolare.

Trattasi di motivazione che, in quanto immune da vizi logici e giuridici, supera positivamente il sindacato di legittimità demandato a questa Corte.

3. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo. In difetto di attività difensiva da parte della compagnia assicuratrice, nulla invece può essere disposto a favore di quest’ultima.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla per le spese in difetto di attività difensiva da parte della compagnia intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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