Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17901 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/07/2017, (ud. 25/05/2017, dep.19/07/2017),  n. 17901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8746-2013 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, – C.F. (OMISSIS),

in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.L., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

e contro

S.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 10526/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha accolto l’appello proposto da F.L. e altri insegnanti nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e, in riforma della decisione di primo grado che aveva accolto l’opposizione proposta dal Ministero ai decreti ingiuntivi emessi in favore dei predetti, ha rigettato l’opposizione, dichiarando il diritto degli appellanti, docenti non di ruolo, incaricati di supplenze in forza di consecutivi contratti a tempo determinato, alla progressione stipendiale in relazione al servizio prestato in forza di tali contratti;

che la Corte territoriale, richiamato il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999, ha svolto le seguenti considerazioni: – le condizioni di impiego, rispetto alle quali sussiste il divieto di discriminazione, comprendono, in conformità con quanto chiarito dalla Corte di Giustizia, tutti gli istituti idonei ad incidere sulla quantificazione del trattamento retributivo, non essendo idonei a giustificare una diversità di trattamento tanto la mera circostanza che un impiego nel settore pubblico sia definito non di ruolo quanto la specialità del sistema del reclutamento scolastico; – la posizione del docente a tempo indeterminato e quella di chi ha lavorato con continuità nella medesima mansione in forza di una pluralità di rapporti a termine sono pertanto pienamente equiparabili, non potendo essere preclusiva la circostanza che si tratti di un impiegato non di ruolo, non assunto per pubblico concorso e non soggetto a stabilizzazione dopo un periodo di prova; – la clausola 4, in quanto precisa ed incondizionata, impone la disapplicazione del diritto interno, ed, in particolare, delle clausole del contratto collettivo che escludono per gli assunti a tempo determinato qualsiasi rilevanza dell’anzianità maturata in forza di precedenti contratti a termine;

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla base di un motivo;

che gli intimati hanno resistito con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico articolato motivo il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6,del D.L. n. 70 del 2011, art. 9, comma 18 come convertito dalla L. n. 10611, della L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 53 e della L. 3 maggio 1999, art. 4 nonchè dell’art. 526 TU istruzione, violazione della direttiva 99/70/CE in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Assume che: – i rapporti di lavoro a tempo determinato del settore scolastico sono assoggettati ad una normativa speciale di settore, sicchè agli stessi non si applica la disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001; – il principio di non discriminazione è correlato all’abuso del contratto a termine, che nella specie deve essere escluso poichè il ricorso alla supplenza e alla stipula di contratti a termine del personale scolastico trova giustificazione in ragioni oggettive e non è maliziosamente finalizzato a consentire al datore di lavoro un risparmio di spesa; – il lavoratore assunto a tempo determinato nel settore scolastico non è comparabile al docente di ruolo, perchè ogni singolo rapporto è distinto ed autonomo rispetto al precedente;

che il motivo, concernente esclusivamente la questione inerente al diritto alla progressione economica, talchè esula dalla trattazione lo specifico tema attinente all’operatività nella fattispecie della L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 53 pur menzionato nell’intestazione del motivo di censura dal ricorrente, non è fondato, osservandosi, in conformità con Cass. n. 22558/2016; Cass. n. 27387/2016; Cass. n. 165/2017; Cass. n. 290/2017 (alle cui motivazioni ci si riporta integralmente), che il Ministero ricorrente sovrappone e confonde il principio di non discriminazione, previsto dalla clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale – CES, CEEP e UNICE – e recepito dalla Direttiva 99/70/CE), con il divieto di abusare della reiterazione del contratto a termine, oggetto della disciplina dettata dalla clausola 5 dello stesso Accordo, laddove i due piani debbono, invece, essere tenuti distinti, essendo il primo principio teso a migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazionè e il divieto a creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato;

che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato condizioni di impiego che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato comparabile, sussiste, quindi, a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto, giacchè detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C-177/14, Regojo Dans, punto 32);

che la clausola 4 dell’Accordo quadro è stata più volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio rilevandone il carattere incondizionato idoneo alla disapplicazione di qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana) ed affermando l’esclusione di ogni interpretazione restrittiva, non potendo la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137, n. 5 del Trattato (oggi 153, n. 5), “impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);

che la CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive derivanti dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata) e che a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, non rilevando la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e, con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani, Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);

che l’interpretazione delle norme eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa – e valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, nel senso che esse indicano il significato ed i limiti di applicazione delle norme comunitarie, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (fra le più recenti in tal senso Cass. 8 febbraio 2016, n. 2468);

che correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha richiamato le statuizioni della Corte di Lussemburgo per escludere la conformità al diritto eurounitario delle clausole dei contratti collettivi nazionali per il comparto scuola, succedutisi nel tempo, in forza delle quali per il personale docente ed educativo non di ruolo era escluso il riconoscimento della anzianità di servizio, previsto per gli assunti a tempo indeterminato in base ad un sistema di progressione stipendiale secondo fasce di anzianità;

che anche in questa sede il Ministero, pur affermando l’esistenza di condizioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di trattamento, ha fatto leva su circostanze che prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate, le quali sole potrebbero legittimare la disparità, insistendo, infatti, sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, ossia su ragioni oggettive che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato e che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo Quadro, da non confondere, per quanto sopra si è già detto, con le ragioni richiamate nella clausola 4, che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione, in ordine alle quali nulla ha dedotto il ricorrente;

che, pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso va rigettato con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5;

che la novità e la complessità della questione, diversamente risolta dalle Corti territoriali, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità;

che nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778 del 29/01/2016);

PQM

 

rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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