Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17900 del 31/08/2011

Cassazione civile sez. II, 31/08/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 31/08/2011), n.17900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A., P.D. e D.M.N., i primi due

quali eredi di P.G. e la seconda in proprio e nella qualità

di erede dello stesso P.G., rappresentati e difesi dall’Avv.

Porru Daniele, in virtù di procura speciale rilasciato per notar

Antonio Verde il 2 marzo 2011 (rep. 32947), tutti elettivamente

domiciliati presso lo studio dell’Avv. Alessandro Porru, in Roma, v.

Paolo Emilio, n. 34;

– ricorrenti –

contro

ITALFONDIARIO S.p.a., in persona del legale rappresentante pro-

tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in

calce al controricorso, dall’Avv. Picozzi Alessandro ed elettivamente

domiciliato presso il suo studio, in Roma, v. Gregorio VII, n. 384;

– controricorrente –

ADN KRONOS COMUNICAZIONE s.p.a. (OMISSIS) e ADN KRONOS LIBRI

s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore,

rappresentate e difese entrambe dall’Avv. Massimo Ozzola in virtù di

procura speciale apposta a margine del controricorso ed elettivamente

domiciliate presso il suo studio, in Roma, v. Germanico, n. 172;

– controricorrenti –

nonchè

I.G. e I.M.;

– intimati –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 3689/2005,

depositata l’8 settembre 2005;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 23

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

uditi gli Avv. ti Barbara Silvagflui (per delega), nell’interesse

delle controricorrenti ADN Kronos Comunicazione s.p.a. e ADN Kronos

Libri s.r.l., e Alessandro Picozzi, per la controricorrente

Italfondiario s.p.a.;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione in riassunzione, a seguito di sequestro conservativo “ante causam” concesso in data 8 novembre 1995, l’avv. P.G. e la sig.ra D.M.N., coniugi, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma i sigg. I.G. e I.M. nonchè la CARIPLO s.p.a., l’Istituto di Credito Fondiario s.p.a. e la s.p.a. ADN KRONOS per sentir accertare la nullità e/o l’inesistenza dell’operata cessione delle quote della Colonna Antonina s.r.l. da parte di essi attori a favore dei due menzionati sigg. I., nonchè la nullità del due ipoteche iscritte “a non domino” unitamente al trasferimento delle quote alla suddetta s.p.a. ADN KRONOS, oltre che per sentir dichiarare la condanna al risarcimento dei danni dei medesimi sigg. I. nell’ordine di L. 5.000.000.000, con conseguente ordine di cancellazione delle ipoteche iscritte e di condanna della stessa ADN KRONOS al rilascio dell’immobile di proprietà della Colonna Antonina s.r.l., sito in (OMISSIS).

Instauratasi la controversia, all’esito dell’istruzione probatoria, il Tribunale adito, con sentenza n. 593 del 2001, respinse le domande dei coniugi P. contro le due banche per carenza di legittimazione attiva; rigettò la domanda nei confronti dei sigg.

I. volta a far valere la nullità degli atti di cessione per abusivo riempimento del libro dei soci; respinse, di conseguenza, le domande risarcitorie avanzate dagli stessi attori, che condannò all’integrale rifusione delle spese giudiziali.

A seguito di appello interposto da P.G. e D.M.N., nella resistenza degli appellati (ad eccezione della s.p.a. CARIPLO), la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3689 del 2005 (depositata l’8 settembre 2005), respingeva l’appello e, per l’effetto, confermava la gravata decisione, rigettava la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c., proposta dalla s.p.a. Italfondiario e regolava le spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale rilevava, innanzitutto, che doveva dichiararsi l’inammissibilità – per tardività – della querela di falso proposta da P.G. e D. M.N. con atto contestuale al deposito delle memorie illustrative di replica e, nel merito, che era rimasta confermata la fondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva di essi appellanti nei confronti degli istituti di credito.

Avverso la suddetta sentenza di appello (non notificata), hanno proposto ricorso per cassazione P.G. (al quale sono subentrati gli eredi P.A. e P.D.) e D. M.N. (in proprio e nella qualità sopravvenuta di erede di P.G.), articolato in due motivi, al quale hanno resistito con controricorso la s.p.a. Italfondiario, l’ADN Kronos Comunicazione s.p.a. e l’ADN Kronos Libri s.r.l. Gli altri intimati non si sono costituiti in questa fase. Il difensore dell’ADN Kronos Comunicazione s.p.a. e dell’ADN Kronos Libri s.r.l. ha depositato doppia memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione o falsa applicazione dell’art. 221 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sul presupposto che la Corte territoriale aveva ritenuto illegittimamente inammissibile, siccome tardiva, la querela di falso proposta dai coniugi P. con la memoria di replica avverso alcuni documenti prodotti in giudizio, dalla lettura dei quali sarebbe stato possibile evincere la condotta di raggiro che avevano subito da parte di I.G. e I.M.. Con la stessa doglianza i ricorrenti hanno denunciato l’erroneità della suddetta declaratoria di inammissibilità per non aver previamente consentito, a pena di nullità del procedimento, l’intervento obbligatorio del P.M..

1.1. La doglianza, così come complessivamente formulata, è infondata e deve, pertanto, essere respinta.

Innanzitutto, occorre rilevare che il motivo difetta del necessario requisito dell’autosufficienza dal momento che, al di là della deduzione della circostanza che la querela di falso era stata proposta con atto contestuale al deposito delle memorie illustrative e delle repliche, i ricorrenti non hanno indicato quali specifici documenti avrebbero inteso impugnare e da quale delle parti (e in quale grado o fase) erano stati prodotti, limitandosi a rappresentare, in modo del tutto generico, che trattavasi di “alcuni documenti prodotti in giudizio, dalla lettura dei quali sarebbe stato possibile accertare inequivocabilmente il comportamento vergognosamente truffaldino degli I., senza, peraltro, riportare il contenuto effettivo dell’atto di querela con l’indicazione degli inerenti elementi di prova che avevano inteso sottoporre al vaglio della Corte capitolina.

In ogni caso, al di là di questo assorbente rilievo, la doglianza è comunque infondata anche in punto di diritto. Infatti, se è corretto ritenere (v., da ultimo, Cass. 21 ottobre 2008, n. 25556) che la querela di falso, giusta la previsione dell’art. 221 c.p.c., può essere sempre proposta in qualsiasi stato e grado del giudizio, a nulla rilevando nè che il querelante abbia tacitamente od espressamente riconosciuto la sottoscrizione del documento di cui allega la falsità, nè che venga proposta dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie, nè, infine, che la relativa istanza venga formulata per la prima volta solo in grado di appello, non può essere messo in dubbio che la proposizione della querela non può più considerarsi ammissibile una volta che la causa sia stata assegnata in decisione dal collegio all’esito del giudizio di secondo grado, come rilevato dalla Corte territoriale. In proposito deve rilevarsi l’inconferenza del precedente giurisprudenziale (Cass. 15 marzo 1974, n. 743) richiamato dai ricorrenti sulla questione poichè riferito a controversia a cui era applicabile la disciplina processuale antecedente alla Legge Novellatrice n. 353 del 1990 (cd.

“vecchio rito”), secondo la quale la comunicazione delle reciproche comparse ai sensi del pregresso art. 190 c.p.c. avveniva prima dell’udienza di discussione collegiale nella quale la causa veniva rimessa in decisione. Nell’assetto processuale successivo a cui è soggetto il giudizio in esame (la cui litispendenza risale pacificamente a data posteriore al 30 aprile 1995), invece, una volta precisate le conclusioni, la causa veniva (come è, effettivamente, accaduto: cfr. pag. 7 della sentenza) trattenuta per la decisione con la concessione dei termini contemplati dallo stesso art. 190 c.p.c., demandati all’esercizio della facoltà del deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Da questa ricostruzione e dalla valorizzazione del contenuto di cui all’art. 221 c.p.c., comma 2 (alla stregua del quale la querela di falso, se proposta in via incidentale, deve essere comunque formalizzata con dichiarazione “da unirsi al verbale di udienza”), si ricava che, in ogni caso, la previsione della proponibilità della querela di falso in corso di causa “in qualunque stato e grado di giudizio” deve essere intesa nel senso che siffatta proponibilità, sia in primo che in secondo grado, è ammissibile purchè la relativa istanza intervenga prima della rimessione della causa in decisione e, quindi, al più tardi – qualora si opti per l’osservanza del sistema ordinario della fase decisoria in appello – entro la relativa udienza di precisazione delle conclusioni. Pertanto, con riferimento al caso di specie e tenendo presenti anche le imprescindibili esigenze di garanzia del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, costituzionalmente tutelate, la Corte territoriale non avrebbe potuto qualificare come ammissibile una querela di falso proposta soltanto in memoria di replica, dalla quale, quindi, non poteva conseguire il rispetto dell’obbligo di consentire l’intervento del P.M.. A quest’ultimo proposito, peraltro, bisogna rilevare che, sulla scorta dell’univoca giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. 7 marzo 1984, n. 1593, e Cass. 20 settembre 2000, n. 12444), nel giudizio di querela di falso l’intervento del P.M. è necessario nella fase relativa propriamente all’accertamento del falso e non anche nella fase preliminare (relativa alla “proposizione” della querela) in cui si decide dell’ammissibilità dell’azione e della rilevanza del documento, poichè soltanto con l’effettiva promozione degli accertamenti della falsificazione denunciata (e, quindi, a seguito della “presentazione” della querela formalizzata successivamente all’interpello di cui all’art. 222 c.p.c.) si coinvolge il generale interesse all’intangibilità della pubblica fede dell’atto, che l’organo requirente è chiamato a tutelare.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non aver preso in considerazione la richiesta di rinnovazione della c.t.u. grafologica e per aver mancato di rilevare apposite incongruenze nelle conclusioni della relazione di c.t.u. di primo grado con riguardo alla prospettata artefazione della sovrapposizione della firma dell’avv. P.G. apposta alla dichiarazione di cessione delle quote.

2.1. Pure questo motivo è privo di pregio e va, quindi, rigettato.

Anche con riferimento a questa doglianza va rilevato che i ricorrenti, pur intendendo far valere vizi di motivazione della sentenza impugnata, hanno omesso di provvedere, in modo sufficiente, alla precisa indicazione delle carenze o lacune nelle argomentazioni poste a fondamento della decisione stessa. In particolare, essi si sono essenzialmente limitati a contestare l’attendibilità e le risultanze della c.t.u. grafologica svolta nel giudizio di primo grado, lamentando che il giudice di appello non aveva valutato l’istanza di rinnovo della stessa c.t.u. e che allo stesso erano sfuggite alcune incongruenze idonee ad inficiare la prospettazione a cui aveva aderito lo stesso ausiliario del giudice.

Rileva, tuttavia, il collegio che la Corte territoriale ha adottato una motivazione logica e sufficiente in ordine alle doglianze sollevate con l’atto di appello circa la valutazione sia delle risultanze istruttorie attinenti al procedimento di sequestro conservativo “ante causam” che di quelle relative al giudizio di merito, avendo rilevato che la circostanza secondo cui non erano stati i coniugi P. a redigere la dichiarazione di cessione di quote (ancorchè fosse emerso che essi l’avevano sottoscritta) non poteva ritenersi influente ai fini della decisione dal momento che il Tribunale, in primo grado, aveva, da un lato, verificato se fosse stata proposta un’azione di annullamento per abuso di convenzione di riempimento, e, dall’altro, se dalla relazione del c.t.u. si fossero potuti trarre degli elementi di convincimento in ordine alla pretesa posteriorità della sottoscrizione – quanto meno del P.G. – rispetto alla suddetta dichiarazione. Pertanto, non avendo posto a critica i passaggi qualificanti della sentenza in relazione al richiamati passaggi argomentativi, la doglianza egli appellanti incentrata su una diversa considerazione delle prove testimoniali era da ritenersi sostanzialmente irrilevante.

In ogni caso, con la censura in questione, che si risolve in una richiesta di rivisitazione e rivalutazione (peraltro essenzialmente generica) delle emergenze istruttorie, i ricorrenti tendono a sollecitare un riesame del merito della causa che non è ammissibile nella presente sede di legittimità, tenendo, comunque, conto che la Corte territoriale ha osservato un percorso argomentativo ispirato a criteri di logicità ed adeguatezza. L’altro profilo dedotto con il motivo in esame è inammissibile.

Secondo l’impostazione dei ricorrenti la perizia grafologica non sarebbe stata attendibile perchè il c.t.u. avrebbe svolto i relativi accertamenti non sull’originale bensì su una copia fotografica dell’originale per come rilevabile da pag. 3 dell’elaborato, senza che la Corte avesse preso in considerazione le loro censure, essendosi limitata a recepire acriticamente le risultanze dell’accertamento grafologico.

Nel prospettare tale doglianza, però, i ricorrenti hanno omesso di indicare, innanzitutto, in quale fase e in quale atto avrebbero formulato le critiche a cui hanno posto generico riferimento, quale era il contenuto delle relative censure, in modo da poterle rapportare alla valutazione della Corte territoriale, e hanno mancato di riportare il testo de passaggio della pagina 3 della relazione del c.t.u. dal quale si sarebbe dovuta evincere la circostanza dell’avvenuto accertamento grafologico esclusivamente su copia dell’originale. In virtù di dette omissioni la censura non può ritenersi “in parte qua” ammissibile per difetto di autosufficienza (v., da ultimo, Cass. 30 luglio 2010, n. 17915, ord.). In proposito, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. 30 agosto 2004, n. 17369, e Cass. 13 giugno 2007, n. 13845), deve ribadirsi che, in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (o nella sentenza che l’ha recepita) ha l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente d’ufficio; pertanto, le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso. Ad ogni modo, secondo le risultanze (non contraddette dai ricorrenti) della relazione peritale riportate dalle controricorrenti ADN Kronos Libri s.r.l. e ADN Kronos Comunicazione s.p.a., era comunque emerso che il c.t.u. aveva visionato (e, perciò, considerato) anche l’originale del documento in questione e che aveva tratto copia fotografica dello stesso, dal cui esame era scaturito il medesimo risultato conseguente all’osservazione dell’originale. Peraltro, la Corte territoriale, nella motivazione della sentenza impugnata (v. pag. 9), ha adeguatamente rilevato che i coniugi P. non avevano, con l’atto di appello, nemmeno sottoposto ad adeguata critica le argomentazioni (oltretutto confortate da diverse foto) poste a base della c.t.u. per escludere il ricalco oggetto di doglianza, così implicitamente escludendosi, unitamente al rilievo delle altre univoche emergenze peritali, la necessità di rinnovare le operazioni di c.t.u. in sede di gravame.

3. In definitiva, per le esposte complessive ragioni, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei soccombenti ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di ciascuna delle costituite controricorrenti, che si liquidano nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di ciascuna delle controricorrenti, liquidando le stesse, per l’ADN Kronos Libri s.r.l. e ADN Kronos Comunicazione s.p.a., in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge, e, per l’Italfondiario s.p.a., in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2011

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