Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17900 del 04/07/2019

Cassazione civile sez. III, 04/07/2019, (ud. 09/01/2019, dep. 04/07/2019), n.17900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25627/2016 proposto da:

G.V., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato IVAN

FILIPPELLI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA G. SRL, in persona del Curatore

Dott.ssa Q.M., elettivamente domiciliata in ROMA,

P.ZZA A. CAPPONI 16, presso lo studio dell’avvocato CARLO

CERMIGNANI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI SCHIAVONI

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

G.L.V.R., R.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 379/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata in data 1/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

9/01/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2006 la Curatela del Fallimento della G. S.r.l., premesso che in data 7.5.2003 G.L.V.R. e G.V., all’epoca soci della detta società, avevano ceduto le loro quote di partecipazione e successivamente, nel periodo tra il 21 novembre 2003 e il 5 marzo 2004 avevano ricevuto dalla società in bonis versamenti per complessivi Euro 309.000,00 ciascuno, chiese la revoca di tali pagamenti nonchè la declaratoria di simulazione assoluta, o comunque la revoca ex art. 2901 c.c., del rogito notarile del 4.12.2003, con il quale G.L.V.R. e G.V. si erano apparentemente spogliati delle loro proprietà immobiliari, cedendole a R.G..

Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 1542/2013, accolse la domanda.

G.V. propose appello, chiedendo il rigetto della domanda accolta in primo grado.

La Curatela chiese la conferma della sentenza.

G.L.V.R. e R.G. proposero appello incidentale di contenuto analogo a quello dell’impugnazione di G.V..

La Corte di appello di Bari, con sentenza n. 379/2016, pubblicata in data 1 aprile 2016, rigettò le impugnazioni, confermò la sentenza del Tribunale e condannò gli appellanti, in solido, alle spese di quel grado, dichiarò G.V. tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello, e confermò la sanzione ex art. 283 c.p.c., irrogata con ordinanza collegiale depositata il 30.1.2014.

Avverso la sentenza della Corte di appello G.V. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.

La Curatela del Fallimento della G. S.r.l. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso non risulta notificato a G.L.R. e a R.G., non essendo stati depositati gli avvisi di ricevimento relativi al procedimento notificatorio del ricorso nei loro confronti a mezzo posta.

Non va tuttavia fissato un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei predetti. Si osserva al riguardo che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti.

Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato o inammissibile – come nella specie, v. p. 2 -, appare superflua, pur potendone sussistere i presupposti, la fissazione del termine per l’integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (Cass. 8 febbraio 2010, n. 2723; Cass., sez. un., 22 marzo 2010, n. 6826 e Cass., ord., 13 ottobre 2011, n. 21141).

2. L’unico motivo è così rubricato: “Motivazione omessa su fatti controversi decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Con tale mezzo la parte ricorrente lamenta il vizio di motivazione “in quanto la sentenza non ha dato conto dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione… e dunque non consente la comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, non essendo stati evidenziati gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione… ed impedendo, quindi, ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Giudice”.

Il ricorrente assume di aver dimostrato la fondatezza delle proprie doglianze mentre “nulla viene analizzato nè commentato in sentenza, limitandosi la Corte a riportare unicamente le deduzioni della Curatela”.

In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondato il primo motivo di appello sul rilievo che la mancata ricusazione ha effetto sanante della pretesa nullità della sentenza, sostenendo di non aver mai chiesto la ricusazione del giudice di primo grado ma di aver eccepito in appello la nullità della sentenza per violazione dell’obbligo di astensione del giudice ai sensi della L. Fall., art. 25, nullità, a suo avviso, assoluta e rilevabile d’ufficio per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c..

Inoltre, dopo aver riportato alcuni brani della sentenza impugnata relativi ai versamenti revocati e al disconoscimento operato dalla Curatela in relazione alla copia non autentica della Delib. Assembleare 13 giugno 2013, da cui, secondo il ricorrente, risulterebbe che tali versamenti non costituivano atti a titolo gratuito o comunque indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., bensì rimborsi di precedenti versamenti in conto futuro aumento di capitale sociale, G.V. sostiene che “un semplice riferimento non può certamente equipararsi a pronuncia su una dettagliata e delicata impugnativa”, assumendo che, in realtà, la curatela non avrebbe disconosciuto le firme apposte in calce al verbale di assemblea ma solo la conformità all’originale dello stesso, sollevando un generico disconoscimento, che “il deposito dell’originale del libro dei soci non… (era) affatto tardivo in quanto… (la) copia del suddetto verbale… (era) stata tempestivamente depositata nei termini ex art. 183 c.p.c.” e che il disconoscimento non aveva alcuna rilevanza giuridica, essendo generico e privo della specifica indicazione dei motivi in virtù dei quali la copia sarebbe stata difforme dall’originale.

Dopo aver riportato il passo della sentenza impugnata in cui la Corte territoriale ha evidenziato che la sentenza di primo grado aveva precisato che, pur a voler ritenere la tempestività di quella produzione, sussisterebbe sia il carattere indebito che la gratuità dei detti pagamenti, avuto riguardo alla mancanza del diritto degli ex soci a ricevere denaro dalla società, la quale, non avendo riconosciuto loro alcunchè, non aveva deliberato la restituzione dei conferimenti e non poteva restituirli, dovendo invece coprire ingenti perdite, e ha, altresì, rilevato che tali argomentazioni del Tribunale non erano state oggetto di specifica contestazione negli atti di appello, la parte ricorrente sostiene che “tale conclusione appare non veritiera e smentita da quanto precisato negli atti dove tali argomentazioni sono state ampiamente e specificamente impugnate”.

Infine, dopo aver riportato la parte della sentenza impugnata relativa alla contestazione, ad opera degli appellanti, della prova della simulazione del rogito del 4 dicembre 2003 e in cui la Corte del merito ha evidenziato che solo una delle argomentazioni (la modestia del prezzo) in base alle quali il Tribunale ha ritenuto la simulazione in parola è stata contestata in modo apodittico mentre le ulteriori circostanze, ormai pacifiche, erano da sole sufficienti a sorreggere la pronuncia di simulazione, il ricorrente sostiene che “non (sarebbe dato) comprendere quali siano i presupposti che fanno presumere la simulazione, anzi dalla documentazione agli atti si può evincere unicamente la buona fede dei G.”.

Il ricorrente ha quindi concluso sostenendo che “la corretta interpretazione dei fatti, e non come nel caso di specie un’esegesi oggettivamente erronea del quadro probatorio, in quanto in aperto contrasto con le univoche emergenze processuali, avrebbe determinato una decisione differente”.

3. Il motivo proposto è inammissibile sotto vari profili.

3.1. Si rileva che risultano inammissibili le censure motivazionali proposte, evidenziandosi al riguardo che, essendo la sentenza impugnata in questa sede stata pubblicata in data 1 aprile 2016, nella specie trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

Alla luce del nuovo testo della richiamata norma del codice di rito, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione e, nel caso all’esame, tale anomalia non sussiste, alla luce della motivazione della decisione impugnata.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ma il mezzo all’esame non risulta articolato secondo i dettami dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, evidenziandosi che non integra, di per sè, il vizio introdotto da tale norma e appena ricordato l’omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., ord., 29/10/2018, n. 27415) e che nel paradigma della ricordata norma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. 14/06/2017, n. 14802).

3.2. Il motivo difetta pure di specificità, essendo in esso richiamati atti del giudizio di primo e secondo grado senza che ne sia stato trascritto il contenuto, almeno per la parte rilevante in questa sede, e senza indicare dove tali atti siano ora reperibili.

3.3. Il motivo, inoltre, al di là del richiamo nella rubrica al vizio motivazionale, pone questioni di fatto e tende chiaramente, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede, come si evince con tutta evidenza dall’ultima parte dell’illustrazione del mezzo.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente, in Euro 8.500,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2019

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