Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 179 del 05/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 05/01/2022, (ud. 19/10/2021, dep. 05/01/2022), n.179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4683-2016 proposto da:

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI

12;

– ricorrente –

contro

F.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 221/2015 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 15/10/2015 R.G.N. 33/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/10/2021 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS.

 

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 17 ottobre 2015, la Corte d’Appello di Campobasso confermava la decisione resa dal Tribunale di Campobasso e accoglieva la domanda proposta da F.C. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avente ad oggetto l’emanazione a carico del Ministero predetto dell’ordine di ripristinare le modalità di recupero delle somme non versate a titolo di contributi di previdenza e assistenza sociale sospesi, ai sensi dell’OPCM 29 novembre 2002, n. 3253 a seguito del sisma che in quell’anno aveva colpito il Molise, modalità attuate fino all’ottobre 2011 in conformità a quanto previsto dalla stessa ordinanza PCM ai fini della restituzione rateizzata dei predetti contributi, ma arbitrariamente modificate dal MEF che, con comunicazione della Ragioneria territoriale dello Stato del settembre 2012 ne aveva preteso il recupero in un’unica soluzione o in rate limitate al 2015, con onere più gravoso a carico dell’onerato;

che la decisione della Corte territoriale discende dalle seguenti ragioni:

-. L’aver questa ritenuto sussistere la legittimazione passiva del MEF in quanto allo stesso doveva farsi risalire l’iniziativa del proprio organo decentrato della rideterminazione delle modalità di recupero del dovuto; la non attinenza al tema delle modalità della restituzione rateizzata dei contributi sospesi della norma di interpretazione autentica di cui al D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1 bis, conv. in L. n. 290 del 2003, che aveva definitivamente escluso i dipendenti pubblici dal beneficio della sospensione contributiva, così che la norma medesima era pertanto insuscettibile di porsi a giustificazione dell’intervento modificativo attuato dal MEF; l’assenza di norme regolatrici della fattispecie, attenendo la L. n. 218 del 1952, art. 19, al solo rapporto previdenziale che coinvolge esclusivamente datore di lavoro ed ente relativo; il dover definire la fattispecie medesima, ove anche si considerasse non più operativa la OPCM n. 3253 del 2002, alla luce del principio del legittimo affidamento del soggetto obbligato, da un lato, e, dall’altro, dell’insuperabilità di limiti quantitativi valevoli ad assicurare il rispetto delle esigenze di vita del lavoratore; il dover, a questa stregua, qualificare l’operato del MEF, implicante la riduzione fino ad un massimo di 60 rate rispetto alla originaria previsione di restituzione “con un numero di rate pari a otto volte il numero delle mensilità sospese”, tale da superare i predetti limiti, dato il contrasto con quanto dallo stesso Governo considerato compatibile con il regime medio di vita dei lavoratori dipendenti e comunque lesivo del principio di legittimo affidamento per aver; dapprima, operato per circa un anno trattenute in misura ridotta, dopo aver dato corso al recupero ad oltre tre anni dalla sentenza della Corte costituzionale che giustificava esclusione dal beneficio del personale pubblico ed essere, poi, tornato dal 2013 ad operare le trattenute secondo quanto originariamente previsto, dando così luogo alle ragioni di doglianza dell’istante;

che per la cassazione di tale decisione ricorre il MEF, affidando l’impugnazione a cinque motivi, in relazione alla quale la F., pur intimata, non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

– che, con il primo motivo, il Ministero ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1952, art. 19, imputa alla Corte territoriale l’erronea attribuzione in capo all’Amministrazione ricorrente della legittimazione passiva dell’azione, dovendosi ritenere la modifica delle modalità di rateizzazione conseguenza delle prescrizioni dell’INPDAP quale ente previdenziale;

che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’OPCM n. 3253 del 2002, art. 7 e D.L. n. 138 del 2002, art. 3, comma 3 bis, conv. in L. n. 178 del 2002, il Ministero ricorrente, imputa alla Corte territoriale di aver riconosciuto all’istante il diritto alla rateizzazione secondo quanto previsto da una disposizione costituente norma speciale non applicabile alla fattispecie, di modo che nessun legittimo affidamento poteva essere invocato dall’istante nei cui confronti doveva trovare applicazione la rateizzazione quinquennale prevista in via ordinaria dal D.L. n. 138 del 2002, citato art. 3, comma 3 bis;

– che, con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 2033 c.c., il Ministero ricorrente lamenta l’incongruità logica e giuridica del richiamo, ai fini della definizione della controversia, al principio del legittimo affidamento non invocabile a fronte dell’inapplicabilità della norma speciale anche ai fini della restituzione rateizzata dei contributi indebitamente non versati;

– che nel quarto motivo si deduce la nullità della sentenza per aver la Corte territoriale omesso la propria pronunzia e, di contro, dato rilievo, in contrasto con l’art. 115 c.p.c., al principio di non contestazione relativamente ad una serie di circostanze idonee ad escludere la rilevanza, ai fini della definizione della causa, del legittimo affidamento tra cui l’esistenza di precedenti giurisprudenziali sul tema favorevoli all’Amministrazione idonea ad escluderne la sancita acquiescenza alle tesi dell’istante;

– che nel quinto motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,187 e 188 c.p.c., è prospettato con riguardo all’omessa pronunzia in ordine al dato, puntualmente contestato, dell’effettività del pregiudizio subito dall’istante con riferimento al proprio livello di vita e sulla mancata ammissione delle richieste istruttorie (ordine di esibizione delle dichiarazioni dei redditi dell’istante relative agli ultimi cinque anni) avanzata dall’Amministrazione ricorrente in proposito;

– che il primo motivo si rivela infondato, dovendo ritenersi, aver la Corte territoriale correttamente interpretato la L. n. 218 del 1952, art. 19 (come ammette nel proprio ricorso lo stesso Ministero ricorrente) affermando che, in tema di pagamento dei contributi agli enti di previdenza, nell’ambito del rapporto datore di lavoro/lavoratore, hanno natura retributiva anche le somme trattenute dal datore a titolo di quota contributiva a carico del lavoratore e derivandone la conseguenza che nella specie, il recupero sulla busta paga del lavoratore della quota di contribuzione a suo tempo non versati per aver indebitamente beneficiato della sospensione si risolve sul piano del rapporto contrattuale tra datore di lavoro e lavoratore sotto il profilo della correttezza della trattenuta effettuata sulla retribuzione, da cui discende che la responsabilità della modifica, per quanto sollecitata dall’ente di previdenza, va ricondotta a responsabilità del Ministero datore;

che parimenti infondato risulta il secondo motivo, atteso che, diversamente da quanto erroneamente prospettato dal Ministero ricorrente, la pronunzia resa dalla Corte territoriale non si sostanzia nel riconoscimento del diritto alla rateizzazione delle somme sulla base del disposto dell’OPCM n. 3253 del 2002, art. 7 ovvero di una norma speciale dichiarata inapplicabile nella specie, ma intende sancire, in relazione al carattere negoziale della relazione obbligatoria che la dichiarata inapplicabilità del beneficio fonda tra datore di lavoro e lavoratore, la sussistenza a carico dell’Amministrazione datrice di un obbligo di correttezza e buona fede che le impone di tener conto dell’entità del pregiudizio che le modalità di recupero dell’indebito possano determinare a carico del lavoratore nonché dell’affidamento ingenerato dall’aver di propria iniziativa adottato modalità che rendevano meno gravosa al lavoratore la restituzione dell’indebito;

che, del resto, va in proposito ricordato che la giurisprudenza amministrativa, formatasi sui rapporti di lavoro pubblico non contrattualizzato, se ha affermato che il recupero ha carattere di doverosità e costituisce, ai sensi dell’art. 2033 c.c., esercizio di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate, nondimeno ha riconosciuto che le situazioni di affidamento e di buona fede dei percipienti rilevano ai fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita del dipendente (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. 3, 9.6.2014, n. 2903), il che trova riscontro nel più generale principio per cui nei casi di indebita erogazione di somme da parte della pubblica amministrazione ai propri dipendenti la legittimità del recupero va valutata con riguardo alle connotazioni, giuridiche e fattuali, delle singole fattispecie dedotte in giudizio, tenendo conto della natura degli importi di volta in volta richiesti in restituzione, delle cause dell’errore che aveva portato alla corresponsione delle somme in contestazione, del lasso di tempo trascorso tra la data di corresponsione e quella di emanazione del provvedimento di recupero, dell’entità delle somme corrisposte in riferimento alle correlative finalità (cfr. Cons. St., 6 sez., n. 5315/2014 e Cons. St., 5 sez., n. 2118/2012);

che ne consegue l’infondatezza del terzo, quarto e quinto motivo, i quali, in quanto tutti volti e contestare la rilevanza ai fini della definizione della controversia del principio del legittimo affidamento e la correttezza del suo apprezzamento sul piano istruttorio, possono esser qui trattati congiuntamente, atteso che la Corte territoriale ha correttamente radicato il riferimento agli obblighi di correttezza e buona fede del MEF nel carattere negoziale del rapporto tra datore di lavoro e lavoratore avente ad oggetto il versamento all’ente previdenziale della quota dei contributi a carico del lavoratore e ne accerta la violazione alla stregua della ritenuta gravosità della modifica delle modalità di recupero dell’indebito, desunta dal fatto stesso dell’entità economica della variazione senza incorrere in alcun error in procedendo, né per quel che riguarda il principio di non contestazione, prescindendo la valutazione della Corte territoriale dalla prova di circostanze ulteriori rispetto a quella suddetta, né per quel che riguarda la mancata ammissione del richiesto ordine di esibizione, insuscettibile di smentire il pregiudizio economico apprezzato in sé;

che, pertanto, il ricorso va rigettato senza attribuzione delle spese per non aver svolto l’intimata alcuna attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

 

 

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