Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17898 del 03/07/2019
Cassazione civile sez. VI, 03/07/2019, (ud. 26/02/2019, dep. 03/07/2019), n.17898
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8536-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la
rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE, 44,
presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CORBYONS, che lo rappresenta
e difende;
– controricorrente
avverso la sentenza n. 3542/13/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 07/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 26/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO
FRANCESCO ESPOSITO.
Fatto
RILEVATO
che:
Con sentenza in data 7 settembre 2017 la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto C.S. avverso la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale era stato rettificato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6, il reddito del C. in relazione all’anno d’imposta 2010.
Riteneva, in particolare, la CTR che il contribuente avesse dimostrato il possesso, negli anni immediatamente precedenti a quello oggetto di accertamento, di ingenti somme derivanti da varie operazioni nonchè la disponibilità di Euro 127.333,00 sul proprio conto corrente.
Avverso la suddetta sentenza, con atto del 7 marzo 2018, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso il contribuente.
Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale. Il contribuente ha depositato memoria.
Diritto
CONSIDERATO
che:
Preliminarmente vanno disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 360 bis c.p.c., nonchè del principio di autosufficienza, atteso che, per un verso, la decisione impugnata non si inserisce nell’ambito di un orientamento nomofilattico di legittimità e, per altro verso, il ricorso contiene tutti gli elementi necessari a porre questa Corte in grado di avere piena cognizione della controversia.
In ordine logico, va prioritariamente esaminato il secondo motivo di ricorso, con il quale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia delle entrate deduce la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente.
Il motivo è infondato, essendo le argomentazioni contenute nella pronuncia gravata idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento e a rendere, pertanto, percepibile il fondamento della decisione.
Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione ratione temporis applicabile, e dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’onere probatorio del contribuente fosse esclusivamente quello di dimostrare la disponibilità finanziaria pregressa, laddove secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente il contribuente è invece tenuto a provare anche la durata del possesso dei redditi.
Il motivo è infondato, avendo la CTR accertato che tale onere probatorio era stato adempiuto dal contribuente, il quale aveva dimostrato “la disponibilità di Euro 127.333,00 sul (…) proprio conto corrente negli anni 2008-2010”, accertamento non adeguatamente censurato dalla difesa erariale.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019