Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17897 del 31/08/2011

Cassazione civile sez. II, 31/08/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 31/08/2011), n.17897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

ex lege in ROMA, VIA GERMANICO 197, presso lo studio dell’avvocato

NAPOLEONI MARIA CRISTINA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BLANGETTI AGERLI MARIAFRANCA;

– ricorrente –

F.A. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, P.ZZA CAVOUR

presso la CORTE di CASSAZIONE rappresentato e difeso dall’avvocato

FAVA ANTONINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 256/2005 del GIUDICE DI PACE di MONCALIERI,

depositata il 19/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso per decreto ingiuntivo S.A. assumeva:

di essere proprietaria di un’unità immobiliare – sita nell’edificio condominiale sito in (OMISSIS)) – acquistata da A. F., originario proprietario di tutto l’edificio, il quale aveva proceduto al frazionamento dello stabile vendendo tre delle quattro unità immobiliari create e conservando la proprietà di quella posta al piano terreno; di essere condomina amministratrice e di essersi fatta carico di tutte le spese di fornitura di gas e manutenzione necessarie all’impianto di riscaldamento centralizzato relative al periodo 2003-2004 per complessivi Euro 2.411,50; di aver inutilmente chiesto al F. per la fornitura gas la somma di Euro 637,98 calcolata in base al regolamento di condominio sottoscritto dallo stesso F. e la somma di Euro 15,97 per la pulizia della caldaia.

Il giudice di pace di Moncalieri, con decreto 20/10/2004, ingiungeva al F. di pagare alla S. Euro 653,95.

Il F. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo assumendo:

che il regolamento di condominio non esisteva trattandosi solo di una bozza; che pendeva una causa avanti il tribunale di Torino avente ad oggetto la validità della scrittura denominata dalla S. “regolamento di condominio”; che esso opponente aveva dal settembre 2002 operato la separazione della propria unità immobiliare dall’impianto centrale di riscaldamento con conseguente esonero dall’obbligo di sostenere le spese per l’uso del servizio centralizzato.

La S. si costituiva e chiedeva il rigetto dell’opposizione esponendo: che l’impianto di riscaldamento era comune a tutte le quattro unità immobiliari compresa quella del F.; che l’opponente non aveva superato la presunzione legale di comunione anche dell’impianto di riscaldamento; che il distacco del F. dall’impianto di riscaldamento era illegittimo.

Con sentenza 19/5/2005 il giudice di pace di Moncalieri dichiarava invalido ed inefficace il decreto ingiuntivo opposto e condannava il F. a pagare alla S. Euro 15,97. Il giudice di pace osservava: che l’atto notarile di vendita alla S. dell’appartamento nell’edificio condominiale in questione non richiamava un regolamento di condominio; che, secondo l’opposta, l’impianto di riscaldamento era comune alle quattro unità di cui era composto il condominio, compresa quella di proprietà dell’opponente;

che quest’ultimo aveva sostenuto di aver operato il distacco dall’impianto di riscaldamento: che la S. non aveva disconosciuto tale distacco deducendo che il F. non aveva manifestato ai condomini l’intenzione di distaccarsi e poi l’avvenuto distacco; che con tale tesi la opponente aveva ammesso essere avvenuto il distacco; che la disciplina codicistica non vietava detto distacco; che il regolamento di condominio prodotto dalla S. all’art. 20 stabiliva che ogni condomino aveva “la facoltà di distaccarsi dall’impianto di riscaldamento a propria cura e spese”, per cui il distacco operato dal F. era legittimo sicchè la S. non poteva chiedere al F. la quota delle spese sostenute per le spese di fornitura gas per il riscaldamento; che l’opponente era tenuto a pagare Euro 15,97 per la pulizia della caldaia; che le spese di giudizio andavano poste a carico della opposta soccombente.

La cassazione della sentenza del giudice di pace di Moncalieri è stata chiesta da S.A. con ricorso affidato a quattro motivi. F.A. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso S.A. denuncia violazione degli artt. 115, 116, 228 e 229 c.p.c., artt. 2730 e 2733 c.c., nonchè dei principi fondamentali dell’ordinamento processuale, deducendo che il giudice di pace non ha ammesso la prova testimoniale – chiesta da entrambe le parti avente ad oggetto la circostanza relativa all’avvenuto o meno distacco dall’impianto centrale di riscaldamento – sul rilievo che essa ricorrente non aveva disconosciuto tale distacco avendolo ammesso affermando che di tale distacco il F. non aveva reso edotto il condominio. Al contrario sul punto “distacco” non vi era stata alcuna ammissione nè espressa, nè implicita e mai era stato dato per pacifico non essendo conosciuto da altri che dallo stesso F. il quale non aveva fornito alcuna prova al riguardo. Inoltre gli scritti difensivi di essa S. erano sottoscritti solo dal difensore. Il giudice di pace ha quindi violato i principi fondamentali dell’ordinamento in tema di onere della prova e di confessione giudiziale.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dei principi regolatori in materia di condominio negli edifici tra i quali vi è quello dell’indivisibilità del bene in comunione e quello del concorso dei partecipanti ai benefici ed agli oneri derivanti dalla cosa comune. Se non risulta diversamente dal titolo o da una situazione di fatto si deve presumere che il bene in comunione esista in quanto a beneficio di tutti i condomini i quali ne devono sopportare i costi. Nella specie il godimento comune dell’impianto di riscaldamento costituisce la regola e l’inutilizzo del bene è un’eccezione che deve essere dimostrata. Il giudice di pace ha rovesciato le presunzioni ricavabili dai principi regolatori della materia ritenendo, in assenza di prova, che essa S. dovesse disconoscere il presunto distacco che invece doveva essere provato dal F..

Con il quarto motivo – che sul piano logico va esaminato prima del terzo – la ricorrente denuncia vizi di motivazione e violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e art. 2702 c.c., rilevando che il giudice di pace ha affermato: a) che l’atto notarile 24/1/2003 non richiama il regolamento di condominio; b) che il distacco operato dal F. è legittimo in quanto consentito dall’art. 20 del regolamento di condominio. Il giudice di pace, però, nell’istruzione della causa ha tralasciato completamente la questione circa l’esistenza o meno del regolamento di condominio: è quindi evidente la contraddittorietà sul punto della motivazione della sentenza impugnata.

Le dette censure non sono meritevoli di accoglimento.

Occorre innanzitutto osservare che nella specie si tratta di ricorso avverso una sentenza pronunciata dal giudice di pace in una controversia di valore inferiore a 1.100,00 Euro e, quindi, secondo equità ex art. 113 c.p.c., comma 2, impugnabile in cassazione (nel regime anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, applicabile nella specie “ratione temporis”) solo per violazione di norme costituzionali, comunitarie, processuali o per violazione dei principi informatori della materia e non anche per vizi di motivazione salva l’ipotesi di motivazione del tutto mancante o puramente apparente (e quindi inesistente), ovvero fondata su argomentazioni inidonee ad evidenziarne la “ratio decidendi”, ovvero ancora perplessa o assolutamente contraddittoria per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, il che non è certo ravvisabile nella specie. Ne consegue che le censure relative alla sufficienza ed alla correttezza della motivazione non sono deducibili nei confronti di sentenze pronunciate secondo equità.

Va aggiunto che il principio informatore della materia non è la regola individuata dal legislatore, ma il principio, cui lo stesso si è ispirato. Quindi, ai fini dell’ammissibilità di una censura sotto il detto profilo è necessario che il ricorso indichi con chiarezza e specificamente quale sia il principio che si assume violato, e come la regola equitativa, individuata dal giudice di pace, si ponga in contrasto con tale regola. Il rispetto dei principi informatori della materia non vincola – infatti – il giudice di pace al rispetto di una regola ri-cavabile dal sistema, ma è soltanto un argine per evitare lo sconfinamento nell’arbitrio (e incombe, quindi, in capo al ricorrente indicare il principio e-ventualmente violato dalla regola equitativa enunciata). Deriva da quanto precede, pertanto, non identificandosi i principi informatori della materia con le regole normativamente fissate di un certo istituto, che in presenza di sentenza emessa secondo equità dal giudice di pace è inammissibile – a norma dell’art. 360 c.p.c. – il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunci che il giudice di pace non ha osservato tali norme positive, costituenti principi informatori della materia.

Ciò posto, nella fattispecie la ricorrente non ha indicato (come era suo onere) chiaramente i principi informatori asseritamente disattesi, avendo invece – con il primo motivo – essenzialmente denunciato la violazione di norme sostanziali attinenti alla disciplina della confessione o dell’onere della prova e della valutazione di scritti difensivi sottoscritti dal difensore e non dalla parte.

Al riguardo è appena il caso di rilevare che – come questa Corte ha avuto modo di precisare – la violazione dell’art. 2697 cod. civ. sull’onere della prova, che pone una regola di diritto sostanziale, da luogo ad un “error in iudi-cando” non deducibile con il ricorso per cassazione avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità (tra le tante, sentenza S.U. 14/1/2009 n. 564).

Va altresì segnalato che alle ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti dal procuratore “ad litem” ben può essere attribuito valore confessorio riferibile alla parte, quando quegli scritti rechino anche la sottoscrizione della parte stessa, in calce o a margine dell’atto, dovendo presumersi che la parte abbia avuto la piena conoscenza di quelle ammissioni e ne abbia assunto – anch’essa – la titolarità. Nel caso in esame il giudice di pace ha interpretato quanto contenuto nella comparsa di costituzione della S. contenente la sottoscrizione della stessa.

Peraltro è noto che in tema di prova civile, l’indagine volta a stabilire se una dichiarazione della parte costituisca o meno confessione – e, cioè, ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante e favorevoli all’altra parte – si risolve in un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se fondato su di una motivazione immune da vizi logici.

Con il secondo motivo la ricorrente ha fatto riferimento a principi “regolatori” (e non “informatori”) in materia di condominio negli edifici deducendo che tra questi vi è quello dell’indivisibilità del bene in comunione e quello del concorso dei partecipanti ai benefici ed agli oneri derivanti dalla cosa comune. Tale deduzione, innanzitutto, non trova corrispondenza con la fattispecie concreta in esame e con i punti centrali in contestazione tra le parti concernenti l’avvenuto o meno distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento e la previsione o meno nel regolamento condominiale di una norma circa la facoltà concessa ai condomini di operare il detto distacco.

La riportata deduzione non può pertanto essere ricondotta ai principi informatori in tema di condominio essendo relativa in concreto ad un aspetto di dettaglio nell’ambito della materia generale del condominio.

Il quarto motivo di ricorso prospetta un vizio di motivazione e, quindi, è inammissibile per le ragioni sopra esposte.

La motivazione della sentenza impugnata non è nè apparente nè insanabilmente contraddittoria.

Infatti il giudice di pace ha accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo affermando – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – che la S. aveva in sostanza ammesso l’avvenuto distacco dall’impianto centrale di riscaldamento operato dal F., distacco non vietato dalla disciplina codicistica e consentito dall’articolo 20 del regolamento condominiale.

La motivazione adottata dal giudice di pace risulta logica ed adeguatamente svolta: del tutto ininfluente è il riferimento – contenuto nella prima parte della motivazione della sentenza impugnata – al mancato richiamo, nell’atto notarile relativo all’atto di acquisto dell’immobile da parte della S., del regolamento di condominio. E’ sufficiente evidenziare in proposito che la stessa ricorrente non solo non ha contestato l’esistenza di detto regolamento, ma addirittura lo ha prodotto. Correttamente, quindi, il giudice di pace ha deciso la controversia tenendo conto del prodotto regolamento e, in particolare, di quanto ivi disposto all’art. 20.

Il giudice di pace, quindi, sia pur sinteticamente, ha dato contezza del suo convincimento con motivazione adeguata che consente agevolmente di i-dentificare con immediatezza e precisione la “ratio decidendi”: il fondamento equitativo della decisione impugnata è chiaro.

In definitiva devono essere rigettati il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 88 e 91 c.p.c. e art. 24 Cost., deducendo che il giudice di pace – pur condannando il F. a pagare ad essa S. Euro 15,97 a titolo di concorso per spese conservative dell’impianto di riscaldamento – ha condannato essa ricorrente al pagamento integrale delle spese di lite.

Questa doglianza – con la quale si denunzia la debenza o meno delle spese di giudizio, ossia la violazione dell’art. 91 c.p.c., norma processuale alla cui osservanza è tenuto anche il giudice di pace quando pronuncia secondo equità – è fondata.

Come è noto la violazione delle norme relative all’onere delle spese processuali è configurabile e denunciarle in sede di legittimità solo quando queste vengano poste, in tutto o in parte, a carico di ohi sia risultato vittorioso, mentre, all’infuori di questa ipotesi, la compensazione totale o parziale delle spese rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito. E’ altresì pacifico che la nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92 cod. proc. civ., comma 2,), sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti ovvero anche l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorchè essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero quando la parzialità dell’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo.

Pertanto nella specie non doveva sfuggire al giudice di pace – ai fini dall’individuazione della parte rimasta soccombente, nel senso di parte avverso la quale interviene la pronuncia giuri sdizionale, a tutela di un interesse non altrimenti realizzabile dal suo titolare – che il merito della controversia era stato definito con la condanna dell’opponente F. al pagamento in favore della opposta S. di una somma (sia pure di appena Euro 15,97) per una delle causali fatte valere con il decreto monitorio che la attuale ricorrente era stata costretta a chiedere non avendo il debitore spontaneamente adempiuto, pur se a tanto più volte invitato. Dalla detta condanna emerge che una parte, sia pure modesta, della pretesa avanzata dalla opposta era rimasta insoddisfatta prima del giudizio e anche durante il giudizio di opposizione avendo l’opponente F. concluso (come riportato nella stessa ¯ sentenza impugnata) chiedendo la revoca del decreto opposto e l'”assoluzione da ogni pretesa avversaria”.

In esito a tale statuizione di condanna dell’opponente non poteva pertanto essere ravvisata a carico della opposta una posizione di soccombenza idonea a giustificarne un onere di rimborso di spese processuali in favore del suo debitore: detto onere palesemente contraddice quella integrità di restaurazione patrimoniale conclamata dalla statuizione del giudice.

In siffatta situazione, di accoglimento parziale della domanda della opposta S., secondo pacifico insegnamento giurisprudenziale, il giudice avrebbe potuto, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ. ed in applicazione del cd. principio di “causalità” escludere la ripetizione di spese sostenute dalla parte vittoriosa (anche se limitatamente) ove le avesse ritenute eccessive o superflue, ma non anche condannare quest’ultima ad un rimborso di spese sostenute dalla controparte, indipendentemente dalla soccombenza poichè tale condanna è consentita dall’ordinamento (dall’articolo citato, ex comma 1) solo per la ipotesi di eccezione – a la cui ricorrenza richiede specifica espressa motivazione – che tali spese siano state causate all’altra parte per via di trasgressione al dovere di cui all’art. 88 cod. proc. civ..

E d’altra parte, nel rispetto dei limiti ora ricordati, il comportamento processuale dei contendenti, la circostanza che la parte opposta (attrice nel giudizio di opposizione) fosse rimasta vittoriosa in misura significativamente inferiore rispetto alla entità del bene che attraverso il processo ed in forza della pronunzia giurisdizionale si proponeva di conseguire, come la circostanza che la parte opponente (convenuto nel giudizio di opposizione) abbia adottato posizioni difensive concilianti o di parziale contestazione degli avversari assunti, possono – secondo il discrezionale apprezzamento, ad opera del giudice, del loro vario atteggiarsi – concretare soltanto quei “giusti motivi” atti a legittimare la compensazione, prò quota o per intero, delle spese tra le parti.

Ma anche nella ricorrenza della suindicate circostanze sarebbe comunque erroneo ravvisare una ipotesi di soccombenza reciproca, posto che “tale concetto sottintende una pluralità di pretese contrapposte, rigettate dal giudice a svantaggio di entrambi gli istanti, mentre la resistenza del convenuto alla pretesa attorea perchè eccessiva o comunque solo in parte fondata, anche quando trova successo nella statuizione giurisdizionale che accolga solo in parte la domanda, non per questo si trasforma in pretesa (riconvenzionale) rispetto alla quale sia ravvisabile nell’attore una posizione di reciproca soccombenza” (in tali sensi, tra le tante, sentenza di questa Corte 26/5/2006 n. 12629).

Pertanto l’impugnata sentenza – che ha condannato la opposta S. (ritenuto soccombente) al pagamento in favore dell’opposto F. delle spese del giudizio di opposizione – deve essere cassata e la causa deve essere rimessa per un nuovo esame ad altro giudice di pace di Moncalieri il quale dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altro giudice di pace di Moncalieri.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2011

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