Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17897 del 27/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2020, (ud. 04/06/2020, dep. 27/08/2020), n.17897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15579-2018 proposto da:

AUTOCARROZZERIA D. SNC DI D.G. E I., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA XX SE1TEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO

NICOLA SASSANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FRANCESCO PAOLO LUISO;

– ricorrente –

contro

ITAS MUTUA SPA, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio

dell’avvocato MAURO COLANTONI, rappresentata e difesa dagli avvocati

ANDREA GIRARDI, DANIELE SORGENTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1127/2017 del TRIBUNALE di TRENTO, depositata

il 23/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data non precisata nè nel ricorso, nè nella sentenza impugnata, la società D. s.n.c. di D. ed I. (d’ora innanzi, per brevità, “la D.”) convenne dinanzi al Giudice di pace di Trento P.R. (indicato come ” P.R. ” nell’epigrafe della sentenza d’appello), esponendo che:

-) V.A. il 22.11.2013 era rimasta coinvolta in un sinistro stradale, consistito in un tamponamento, provocato da P.R.;

-) V.A. aveva ceduto alla D. il proprio credito risarcitorio;

-) la società ITAS, assicuratrice del responsabile, aveva risarcito il danno consistito nei costi di riparazione del veicolo, ma rifiutato di risarcire il danno rappresentato dai costi sostenuti dalla danneggiata per il noleggio di un veicolo sostitutivo (fornito alla danneggiata dalla stessa cessionaria del credito, la società D.).

Chiese pertanto la condanna della società assicuratrice convenuta al risarcimento del danno “da fermo tecnico” patito da V.A., ed il cui credito risarcitorio era stato da quest’ultima ceduto alla D..

2. Si costituì la sola società Itas Assicurazioni, chiedendo il rigetto della domanda.

Con sentenza n. 114 del 2016 il Giudice di pace rigettò la domanda e condannò la società attrice alle spese.

La società D. propose appello.

Il Tribunale di Trento con sentenza 23 novembre 2017 n. 1127, per quanto qui ancora rileva, dopo avere dichiarato nulla la sentenza di primo grado (per avere deciso secondo equità una causa di valore indeterminabile), rinnovò la decisione e rigettò la domanda attorea, ritenendo che:

a) la danneggiata aveva ceduto alla carrozzeria il credito risarcitorio per danno da fermo tecnico;

b) il danno da fermo tecnico non è in re ipsa, ma va allegato e provato;

c) nella specie non vi era prova che la vittima, a causa della indisponibilità del veicolo, avesse avuto la necessità di noleggiarne uno sostitutivo.

3. Ricorre avverso la suddetta sentenza la D. con ricorso fondato su un motivo ed illustrato da memoria; resiste con controricorso la ITAS.

La causa, già fissata per l’adunanza camerale del 26 marzo 2020, è stata rinviata all’adunanza camerale del 4 giugno 2020 per effetto del differimento delle attività processuali disposto dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 1, e dal D.L. 8 aprile 2020, n. 23, art. 36, comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso la D. lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dei “principi regolatori” della materia del risarcimento del danno patrimoniale.

La società ricorrente non nega che colui il quale domandi il risarcimento del danno c.d. “da fermo tecnico” (e cioè del danno scaturente dalla forzosa indisponibilità di un autoveicolo) debba darne la prova, ma sostiene che tale prova è validamente fornita attraverso la sola dimostrazione di aver noleggiato un veicolo sostitutivo, sostenendo la relativa spesa.

Deduce che, una volta fornita tale prova – onere puntualmente assolto nel caso di specie -, diviene giuridicamente irrilevante la circostanza che il danneggiato avesse o non avesse necessità di noleggiare una autovettura sostitutiva di quella danneggiata.

Diversamente argomentando, prosegue la società ricorrente, il risarcimento del danno verrebbe subordinato ad “un inammissibile sindacato circa le ragioni che hanno indotto il soggetto leso ad acquistare un’autovettura Il senso della affermazione – per come desumibile dalla lettura dell’intero ricorso e della memoria illustrativa – è che colui il quale abbia la disponibilità di un autoveicolo ha il diritto di usarlo, e se tale diritto viene leso dal fatto del terzo, la spesa sostenuta dal danneggiato per noleggiare un veicolo sostitutivo costituisce sempre un danno risarcibile, quale che fosse l’uso che il danneggiato intendesse fare del proprio mezzo.

2. Il motivo è infondato.

L’assunto su cui poggia la censura prospettata nel ricorso è che colui il quale, essendo stato privato del godimento d’un bene patrimoniale, se ne procacci a pagamento uno equivalente, patisce sempre e comunque un danno patrimoniale.

E’ una tesi che non può essere condivisa.

L’art. 1227, comma 2, c.c., esclude la risarcibilità dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

L'”ordinaria diligenza” di cui è menzione nell’art. 1227 c.c., comma 2, è quella del bonus paterfamilias, e qualunque bonus paterfamilias deve presumersi che si astenga dal sostenere spese inutili, secondo una massima d’esperienza bimillenaria, (paterfamilias vendacem, non emacem esse oportet, ammoniva già M. Porcio Catone, De re rustica, I, 2). Sostenere una spesa inutile è quindi una condotta contraria all’ordinaria diligenza di cui all’art. 1227 c.c., comma 2. Noleggiare un autoveicolo senza averne la necessità è certamente una spesa inutile, e come tale irrisarcibile ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2.

Resta solo da aggiungere che una spesa sostenuta per procacciarsi un bene patrimoniale non cessa di essere inutile, sol perchè attraverso quella il danneggiato abbia inteso non già realizzare un lucro od evitare una maggiore perdita, ma appagare una necessità non patrimoniale. In tal caso, infatti, la spesa sarebbe stata sostenuta per evitare un pregiudizio non patrimoniale, irrisarcibile quando il fatto illecito non abbia leso interessi della persona costituzionalmente garantiti: e certamente tra questi non rientra l’interesse a disporre d’un autoveicolo.

Erra, pertanto, la società ricorrente là dove ascrive al Tribunale di Trento di avere preteso di esercitare un “inammissibile sindacato circa le ragioni che hanno indotto il soggetto leso” a voler disporre di una autovettura. Quel sindacato era infatti esattamente quanto esigeva dal giudicante il combinato disposto degli artt. 1223 e 1227 c.c..

3. Completezza di argomentazione impone di rilevare come l’argomento ad absurdum speso dalla ricorrente a p. 3 della memoria ex art. 380 bis c.p.c. (“se mi distruggono una Mercedes, il giudice potrebbe liquidare il danno corrispondente al prezzo di una banda perchè per me una banda sarebbe stata sufficiente, e non avrei avuto alcun bisogno di acquistare una Mercedes’), per quanto la reductio ad absurdum sia una ammissibile tecnica argomentativa del ragionamento giuridico, in questo caso appaia specioso.

Esso, infatti, confonde il valore di scambio col valore d’uso.

La distruzione di un bene patrimoniale rappresenta per il danneggiato la perdita d’un valore di scambio, la quale deve essere risarcita con l’equivalente pecuniario del bene perduto, quale che sia l’uso che di esso facesse od avrebbe potuto fare il danneggiato.

La temporanea rinuncia al godimento di un bene patrimoniale, invece, rappresenta per il danneggiato la perdita d’un valore d’uso, la quale in tanto potrà essere risarcita, in quanto l’uso di quel bene consentisse al danneggiato un lucro od un risparmio di spesa, e l’uno e l’altra siano venuti a mancare in conseguenza del fatto illecito.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

4.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna la D. s.n.c. Di D.G. e I. alla rifusione in favore di ITAS Mutua Assicuratrice delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 845, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. n. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte della D. s.n.c. Di D.G. e I. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 4 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2020

 

 

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